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«Caspita!». Angus sta leggendo il giornale della domenica. È una tradizione vecchia come il nostro matrimonio, che vede la partecipazione di caffè caldo, uova strapazzate e due o tre giornali. D’estate sul tavolo in giardino, d’inverno davanti al fuoco.
Oggi, né l’uno né l’altro. Fa abbastanza caldo, ma piove. Perciò abbiamo optato per il divano di fronte al camino spento.
«Cosa?». Ha preso lo stesso brutto vizio di sua madre, quello di leggermi le notizie.
«So che non si deve credere a tutto quello che c’è scritto, ma qui dicono che un paio di mesi prima della morte di Rosie Jo ha avuto un’overdose di farmaci. Pensavo fosse successo di recente, no? Quando sei andata a trovare Grace».
«Infatti… Posso vedere?».
Mi passa un supplemento, aperto su un articolo intitolato Padre di famiglia. Lo leggo alla svelta, e le prime righe mi bastano per classificarlo come totale spazzatura.
«Dice che Neal è stato allontanato dall’orfanotrofio perché ha molestato una delle residenti. Una minorenne». Guardo Angus. «Non l’avrà fatto davvero? È troppo persino per lui».
«Probabilmente sono tutte cavolate», risponde.
«Se Jo ha avuto sul serio un’overdose, probabilmente è successo perché ha scoperto cos’aveva combinato lui», dico io per difenderla. «A quel tempo non la conoscevo ancora bene, no?»
«Immagino di no». Angus prende un altro supplemento e si rimette a leggere. «Santo cielo! Kate, sapevi che…».
«Angus! Shh! Tesoro, sto provando anch’io a leggere qualcosa, sai?»
«Ho solo pensato che potesse interessarti», risponde in tono di scuse.
«Lo so, caro, ed è molto carino da parte tua, però…».
«Però ti dà sui nervi», dice, piombando subito in un silenzio di tomba.
Poi leggo io qualcosa che mi sconvolge completamente. «Oh mio Dio!».
Angus mi lancia un’occhiataccia, con tanto di sopracciglio alzato. Ma non riesco a trattenermi. «Dicono che Jo è la figlia di Edward Pablo, il famoso scienziato. Non ci posso credere. Tutti lo conoscono e lei non ne ha mai parlato. In effetti, non parla mai dei suoi genitori… di nessuno dei due…».
«Magari hanno litigato», dice Angus. «Ora che ci penso, è da anni che non sento parlare di lui».
Io non ne ho idea. Angus legge molti più giornali di me. Poi mi viene in mente una cosa curiosa: oltre a non parlare mai della sua famiglia, Jo non ha nemmeno una foto in giro a casa sua.
Tiro fuori l’argomento direttamente con lei. «Come mai non ci sono foto?»
«Che foto?»
«Di famiglia. O che ne so, delle ragazze…».
«Ne avevamo un po’. Ma le ho tolte dopo la morte di Rosanna… Non riuscivo a guardarle».
«E che mi dici dei tuoi genitori?».
Si volta e mi guarda negli occhi. «Che c’entrano loro?».
Scuoto la testa, sentendomi un po’ stupida. Decido di lasciar perdere. «Scusa, è solo che ho letto questo articolo in cui si diceva che Edward Pablo è tuo padre. Non ne avevo idea. Era un grand’uomo, no?».
In un certo senso, mi aspetto quasi che neghi, che dica che è solo un’altra delle bugie inventate dalla stampa. Ma con mia grande sorpresa, non lo fa. «È vero. Era mia padre. Lui e mia madre sono morti cinque anni fa. Preferisco non parlarne».
«Dio». Sono mortificata. «Mi dispiace. Dev’essere stata dura».
«All’epoca sì. Ma non dispiacerti troppo, Kate, era un uomo vile e crudele».
Dopo quella frase, vorrei assolutamente saperne di più, ma adesso le sue labbra sono cucite. È chiaro che non ha voglia di parlarmi di lui e cambia subito argomento, proprio come fa quando le chiedo del processo.
«Be’, almeno adesso la casa è pronta».
«Quando iniziano le visite?»
«La prossima settimana. Ma se ne occuperà l’agente: non voglio trovarmi qui quando arriveranno».
Mi immagino la fila di sconosciuti che puntano il dito e bisbigliano alle sue spalle. È già abbastanza brutto quando esce, non ha certo bisogno di subire lo stesso supplizio qui a casa sua.
«Hai già trovato qualche posto carino a cui dare un’occhiata?»
«Non proprio, ma ho parlato con Carol. Probabilmente staremo da lei per un po’, quando la casa verrà venduta».
Persino ora, mi sembra di sentire la presenza di Rosie – in genere quando sono con i cavalli. Ormai non mi sconvolge più. Ho la mente abbastanza aperta da credere che se in questa dimensione si instaura un legame sufficientemente forte magari può essere mantenuto anche nell’altra. E poi, un pomeriggio, quasi mi prende un colpo quando mi pare di vederla nei campi.
Mi strofino gli occhi, e continuo a vedere tra gli alberi i suoi capelli chiari che risplendono al sole. Non si tratta di un fantasma. È davvero Rosie? Magari c’è stato un errore? Potrebbe essere ancora viva?
Per un attimo temo di essere impazzita e poi, con un certo stupore, mi rendo conto che è semplicemente Delphine. Le corro incontro, ma Oz solleva il muso e subito tutti e tre i cavalli cominciano a corrermi dietro e poi mi superano, chiudendomi la strada.
Mi avvicino e inizio a urlare, nel timore che i cavalli possano travolgerla. Delphine si ferma e si gira trovandoseli proprio davanti. I cavalli deviano appena in tempo, girandole intorno. Quando alla fine la raggiungo, l’afferro per un braccio. «Che stai facendo? Potevano calpestarti». O peggio.
«Non lo sapevo. Non so niente di cavalli», risponde sprezzante. Controllata e spaventosamente calma.
«Da quello che ho appena visto, avrei detto il contrario». Parlo con voce severa, sentendomi anche un po’ in colpa dato che Rosie invece era sempre la benvenuta qui. Però poi penso che Rosie non si sarebbe mai comportata così. Non dava mai niente per scontato, lei.
«Non volevo farli arrabbiare». Li osserva mentre tornano a pascolare, calmi ora che tutta l’eccitazione è svanita.
«Non credo che fossero arrabbiati. Si stavano solo divertendo con te, come fanno tra loro, solo che a volte si lasciano trasportare un po’ troppo. Prendi Shilo per esempio. Quello più grande. Lui non si rende conto di avere le zampe lunghissime. Quando inizia a correre, fila via come un pazzo. Non è che vuole farti male, ma non è colpa sua se ti trovi in mezzo».
Annuisce. «Devi pensare come loro, non è vero? Lo diceva sempre Rosie».
«Ah sì? Aveva ragione. Ci sapeva fare. I cavalli la adoravano».
«Sì, me l’ha detto». Delphine annuisce di nuovo. «Vorrei imparare anch’io. Solo che non credo che mamma me lo permetterebbe mai».
«Perché no? Glielo posso chiedere io, se vuoi… So che vi state trasferendo, ma credo ci vorrà ancora un po’».
Noto qualcosa negli occhi di Delphine. Qualcosa di puro e candido. Tipo la speranza.
«Lo faresti davvero? Probabilmente dirà di no…».
«Lascia fare a me. Ho un’idea».
Quando torno a trovare Jo, so esattamente come mettere la questione.
«Jo, posso chiederti un favore? Ora che Grace è via, con tutto il tempo che ho passato nel tuo giardino, mi sono resa conto di essere indietro con i lavori a casa mia. Che ne dici se mi prendo Delphine? Mi serve proprio una mano, ci sono le solite cose che si fanno in questo periodo dell’anno, e se non ci penso ora la situazione potrebbe sfuggirmi di mano. E bisogna anche far fare esercizio ai cavalli, se abbiamo tempo…».
Jo aggrotta la fronte. «Avresti dovuto dirmelo prima. Mi dispiace tanto, non mi ero resa conto della situazione. Non credo che Delphine ti sarà molto d’aiuto, non sa nulla di cavalli».
«Oh, più che altro si tratta di spazzare il fienile e pulire la selleria. Probabilmente non cavalcheremo neanche, ma se ci fosse l’occasione potrei sempre prestarle la tenuta di Grace».
Jo non risponde. Non ho idea di quali siano le sue riserve, ma sta chiaramente cercando una scusa per dirmi di no.
«Potrebbe farle bene. Cambiare un po’. Ha dovuto affrontare parecchi traumi ultimamente, no?». Stavolta non dico altro che la verità.
«D’accordo. Grazie, Kate. Hai ragione».
«Perfetto! Facciamo questa domenica, allora – sempre se non avete piani. Oh, eccola qui! Glielo vuoi dire tu o lo faccio io?».
Delphine regge il gioco, guarda incuriosita prima sua madre poi me.
«Kate chiede se puoi andare a darle una mano domenica».
Delphine non fa una piega.
«Solo se ti va», aggiungo un po’ confusa. «Altrimenti ce la faccio da sola, non preoccuparti».
«Per me va bene», dice, impassibile.
Chissà perché di fronte a sua madre Delphine sembra così priva di emozioni. E come mai Jo è così riluttante. Resterà sempre un mistero per me. Mi chiama venerdì sera, dicendo che le previsioni non sono buone e che Delphine è raffreddata. Forse è meglio rimandare e aspettare una giornata migliore, dice. Alla fine, riesco a convincerla ad aspettare e vedere come si mette il tempo l’indomani mattina.
Quando mi sveglio il giorno seguente, il sole sorge in un cielo terso. Chiamo Jo e le dico che si può fare.
Viene a portarmi Delphine, e sembra tutto tranne che felice. Non appena se ne va, scopro che la ragazza non è diversa da sua sorella, proprio come avevo immaginato. È più controllata, questo è vero, soprattutto tenendo conto che è così giovane. Dopo tutto quello che è successo alla sua famiglia, però, non c’è da sorprendersi.
«Che cosa facciamo?»
«Oh, cavalchiamo, pensavo. Tu no? Ho tirato fuori la vecchia tenuta di Grace e ti troveremo un cappello. Ti va?».
Delphine annuisce, con un’aria contenta. «Sì, grazie».
Le mostro dov’è la stanza degli ospiti, così può cambiarsi; poi infiliamo gli stivali e andiamo subito verso la stalla, dove prendo Reba perché è stabile come la roccia. Delphine resta a guardarmi.
«Rosie cavalcava lei?», mi chiede.
«Sì, ma solo una volta. Avevo proposto di darle qualche lezione, ma non voleva. Non so perché».
Forse per le stesse ragioni per cui Delphine pensava che Jo non l’avrebbe mai fatta venire? La osservo, cercando qualche indizio nel suo volto, ma sotto la visiera del cappello è tornata quella maschera inespressiva.
Durante la giornata che passa con me, abbassa la guardia soltanto una volta: quando finisce di cavalcare e smonta.
«Le puoi accarezzare il naso», le dico. «A lei piace».
Ma non appena Delphine le si mette davanti, Reba abbassa il muso e lo preme dolcemente contro di lei. Mentre Delphine le stringe le braccia intorno al collo, vedo che Reba chiude gli occhi in totale beatitudine. Restano così per qualche minuto, entrambe senza muoversi, finché Delphine non alza lo sguardo. Il viso rigato da una singola lacrima.
E proprio come con Rosie, io non chiedo nulla e lei non dà spiegazioni.