Capitolo quattordici
Giovedì
Georgie passa da uno sbadiglio a un sorriso smagliante mentre apre la porta d’ingresso. Poi si picchietta con una mano sulla bocca, come a voler ricacciare dentro di sé la stanchezza. I suoi capelli sono ancora più disordinati di ieri, con ciocche di ricci rossi che puntano in ogni direzione.
«Olivia, tesoro. Non mi aspettavo di rivederti così presto. Se stai cercando Natalie, è al bar. Era messa proprio male stamattina, poveretta. Ma comunque, se le va a cercare».
«Volevo vedere te, in realtà».
Questa frase le fa spuntare un sorriso ancora più ampio. Tiene la porta spalancata e mi accoglie all’interno, prima di condurmi verso la cucina.
«È così carino che voi due passiate del tempo insieme», commenta. Impiego un attimo per capire che sta parlando di Nattie. «Nonostante tutti questi anni, il legame è ancora vivo».
Non c’è molto che io possa dire, quindi sorrido e alzo le spalle. Mi domanda se desidero qualcosa da mangiare o da bere e poi mi chiede se ho dormito bene – vuole sapere se la sistemazione al Black Horse sia abbastanza confortevole. All’improvviso mi sembra di avere due madri, ma non posso fingere che non sia apprezzabile sentirsi amata. Poi, finalmente, mi chiede perché sono passata a trovarla.
«Stavo parlando con Nattie, ieri, prima di andare al pub, e lei ha accennato al fatto che mia madre è scomparsa per un’intera estate…».
Georgie si irrigidisce, il suo sorriso si trasforma in una smorfia preoccupata. «Ha detto così?»
«Stavamo parlando un po’ di tutto. Cercavo di capire cosa fosse successo tra mia mamma, mio padre e Max».
Tutt’a un tratto, Georgie comincia a pulire lo scolapiatti. Si tuffa sotto il lavandino, estrae un flacone di detergente per superfici, lo spruzza su una spugnetta e inizia a strofinarla sul metallo. Sono seduta sullo sgabello alto vicino al bancone della colazione e aspetto che lei abbia finito. Strizza la spugnetta, torcendola con forza, poi, finalmente, si rivolge a me.
«Non ci pensavo da un sacco di tempo», afferma.
«Non sono sicura di cosa intendesse Nattie con “sparita”. Mia mamma è andata da qualche parte?».
Un’altra pausa. La donna continua ad armeggiare con la spugnetta, infine si lava le mani.
«È stato un momento strano… Tu e Nattie ormai l’avete superato, ma sai come ci si sente a quattordici o quindici anni con gli ormoni impazziti. Sembra tutto così grande, così importante. Credo che Max abbia sempre avuto un debole per tua madre, ancora prima che comprendessimo quei sentimenti. Era l’età in cui avere un fidanzato non voleva dire altro se non fare la strada verso la scuola insieme. Max e tua mamma sono passati da quella fase a una relazione vera e propria quando avevano sedici anni».
Giocherella con i capelli, arricciando le labbra e guardando in alto, come se stesse pescando i ricordi nell’aria. «Mi ricordo che noi quattro eravamo andati al cinema e poi a mangiare un hamburger o qualcosa di simile. Avevamo trascorso la giornata insieme, e siamo finiti al parco quando ormai stava diventando buio. Ero seduta sull’erba, mentre Sarah e Max erano sulle altalene. All’improvviso lui si è fermato e ha aspettato che lo facesse anche lei. Io e Ashley eravamo lì e abbiamo sentito entrambi. Lui le ha detto che l’amava».
Mi serve un momento per elaborare l’informazione.
«Quando aveva sedici anni, Max ha detto a mia madre che l’amava?»
«Esatto, così, dal nulla. Mi ricordo la faccia di Sarah, il suo sguardo perso, tipo un cerbiatto che fissa i fari di una macchina. Sembrava che non sapesse cosa rispondere».
«E poi cos’è successo?»
«C’è stato un lungo silenzio. Mi ricordo di aver guardato Ashley, ma lui stava fissando Sarah, e per un po’ niente si è mosso. Lei pareva essersi dimenticata come si fa a parlare. Dopo qualche minuto Max disse: “Non me lo dici anche tu?”, e lei non ha avuto scelta».
Georgie si ferma e si gratta la testa, come per rinfrescarsi la memoria. Poi riempie il bollitore e lo mette sui fornelli.
«Ovviamente tua mamma ha dovuto dirglielo. Si è scusata, dicendo che l’aveva colta di sorpresa, ma che anche lei lo amava. Max ha risposto che sarebbero rimasti insieme per sempre e tutte quelle cose lì. Non ne abbiamo mai più parlato, in seguito».
Si appoggia al bancone e aspetta che il bollitore fischi, poi versa l’acqua bollente in una tazza e la coccola tra le dita come fosse un neonato.
«Cosa è successo tra te e Ashley?», domando.
Georgie sbuffa. «Diciamo che i due fratelli sono agli antipodi per tante cose. Max seguiva Sarah come un cagnolino; suo fratello passava da una ragazza all’altra. Anche ora non saprei dire perché avessi iniziato a uscire con lui. In ogni caso, lui è andato avanti con la sua vita, quindi si può dire che così io abbia schivato una pallottola».
Non sono sicura di capire cosa intenda. Forse solo che Ashley non è molto amato in paese, ma non so se valga la pena approfondire la questione.
«Qual è stata l’estate in cui è sparita?», domando.
Georgie scuote la testa. «Ora ci arrivo, ma ogni cosa prende senso quando metti tutto insieme. È successo a Pasqua. Non mi ricordo la data precisa, era aprile o giù di lì. Il tempo stava cambiando e rimanevamo in giro dopo la scuola. Passavamo le ore al parco, o ci sedevamo sotto il ponte, vicino al fiume. Qualche volta fumavamo, oppure Ashley ci portava una bottiglia di sidro». Strizza l’occhio. «Non lasciare che tua madre ti racconti che era un angelo, alla tua età. Nessuno di noi lo era».
«Aveva già avuto una figlia, alla mia età».
Georgie conta sulle dita di nuovo. Dev’essere un vizio di famiglia. «Entrambe avevamo già figli. Mia madre è andata su tutte le furie quando le ho detto di essere incinta…». Si blocca e agita una mano per allontanare il pensiero.
Mi rendo conto di non avere alcuna idea dell’identità del padre di Nattie, ma non mi sembra proprio il momento di chiederlo – e, in ogni caso, non sono fatti miei.
«Comunque, quel giorno sulle altalene, era intorno a Pasqua», continua Georgie, «e deve essere successo circa tre o quattro mesi dopo, durante le vacanze estive, quando tua madre non aveva più il permesso di uscire».
«Cioè?»
«Ogni volta che passavo da lei, sua mamma diceva che non poteva uscire. Era malata, o aveva delle faccende da sbrigare, oppure era in punizione. C’era sempre una scusa. Poi ha semplicemente detto che a Sarah non era più permesso uscire. Mi ricordo di averle domandato il motivo, ma lei mi lanciò un’occhiataccia e m’intimò di non tornare mai più».
«È questo il periodo in cui è sparita?»
«Esatto».
«È rimasta a casa tutto il tempo?».
Georgie allarga le mani, con i palmi verso l’alto. «Non lo so. Un giorno l’ho vista dietro i vetri della sua stanza. Ero in strada e la salutavo con la mano. Pensavo che se ne fosse accorta, ma si limitò a tirare le tende. Fu molto strano».
«E non l’hai vista per tutta l’estate?».
Scuote la testa. «L’ho incrociata una volta sola durante il resto dell’anno. Non so se fosse a casa o se fosse andata altrove. In seguito, ci siamo incontrate in paese, poco dopo il suo diciassettesimo compleanno. Dopo Capodanno».
«È sparita per sei mesi?»
«Credo…».
Georgie butta nel lavandino l’acqua calda e riempie di nuovo il bollitore. Estrae la scatola dei biscotti dalla credenza e lascia il coperchio aperto; poi sovrappone due Digestive al cioccolato e li addenta. «È passato così tanto tempo», commenta.
«Ma hai detto che una volta l’hai vista in quel periodo…».
Un altro morso al doppio biscotto. «Esatto. Non credo che a sua madre – tua nonna – facesse piacere che Sarah avesse degli amici. A un certo punto, verso la fine dell’estate, Max e io abbiamo deciso di andare a casa sua e aspettare. Abbiamo immaginato che sua madre dovesse uscire prima o poi, quindi ci siamo nascosti tra i cespugli sul ciglio della strada. Fu molto noioso – in più lui aveva l’abitudine di mangiare dei pezzi di carne essiccata che puzzavano tantissimo. Non uscivamo mai insieme se non quando c’era Sarah, ma quella volta mi aveva convinta perché eravamo entrambi preoccupati per lei. Siamo rimasti lì tutto il giorno e non è successo niente. Ci siamo tornati anche il giorno seguente. Dopo un paio d’ore, la mamma di Sarah è uscita. Credo che stesse andando a fare la spesa, aveva delle borse con sé. Abbiamo aspettato finché è sparita dalla nostra vista e poi abbiamo bussato alla porta».
Il bollitore fischia per la seconda volta, Georgie prepara una tazza di tè. Prende altri due biscotti, li sovrappone e li inzuppa.
«Sarah ha impiegato un’eternità ad aprire», spiega. «Poi, ci ha guardati come dei perfetti sconosciuti e ci ha intimato di andarcene. Mi ricordo di averle chiesto se sarebbe andata al college, dato che erano appena usciti i risultati degli esami. Ma ha alzato le spalle e ha detto che non aveva il permesso di parlare con me. Ci ha chiesto di andare via, al che Max se n’è uscito con qualcosa tipo: “Quindi questo significa che ci siamo lasciati?”. Lei l’ha guardato e ha risposto: “Be’, secondo te?”. Fine. Ha chiuso la porta e non l’ho rivista fino all’anno successivo».
Mi dondolo avanti e indietro sullo sgabello, cercando di mettere insieme tutte quelle informazioni. È una storia molto strana… ma una delle mie principali domande ha trovato una risposta. Forse la più importante. Georgie non deve essersene neanche resa conto.
«Ti ha mai raccontato cosa fosse successo?», chiedo.
«No… Ma l’anno dopo è stato tutto diverso. Non penso che le importasse più molto di cosa pensasse la madre, allora. Se voleva uscire, usciva. Ha incontrato tuo padre alla fine di quell’anno, ed è andata come è andata. La gravidanza, il matrimonio… Siamo cresciute abbastanza in fretta, direi». Inzuppa i biscotti. «Be’… sotto certi punti di vista, almeno».