Capitolo trentotto
Martedì
Nattie mi sta aspettando sui gradini della centrale di polizia. Ha i capelli sciolti e indossa gli occhiali da sole. Quando li toglie, ha gli occhi assonnati – i postumi della sbronza di ieri sera.
«E io che pensavo di aver passato una nottata difficile», commenta con un debole sorriso. Non me la sento di ridere, ma lei mi stringe tra le braccia e sussurra che c’è la polizia a casa della mamma. Non è un buon momento per andarci, quindi ci rechiamo da lei dove faccio una lunga doccia calda prima di prendere in prestito un suo vestito. A volte non c’è niente di meglio che indossare capi puliti, anche se appartengono a qualcun altro.
È una bella giornata, ma il mio umore è nero e tutto mi appare troppo luminoso e soleggiato dopo gli eventi della scorsa notte.
Non parliamo molto mentre camminiamo per il paese, seguendo il fiume verso il memoriale di Olivia. La grafia con cui sono state scritte le lettere del nome è bellissima e sono contenta di non aver bruciato la ghirlanda quando Nattie ha suggerito di farlo.
Non è mia.
Ci sediamo e appoggiamo la schiena all’albero, la mia testa sulla spalla di Nattie. Ci sono un paio di genitori con i figli che giocano nel parco. Mi sembra che ci stiano guardando, cercando di non darlo a vedere – ma è un’impressione che ho da giorni. Nessuno ha il coraggio di avvicinarsi.
«Sei sulla bocca di tutti», esclama Nattie.
«Cosa c’è di nuovo?».
Ride sotto i baffi, ma non c’è nulla di ironico.
«Vuoi parlarne?».
Sì. Lo voglio davvero, perché è troppo da tenere dentro. Racconto a Nattie di essere stata stordita nel vicolo dietro il Black Horse e poi di essermi svegliata nel bagagliaio di un’auto. Dico del parco e di Max col coltello. Che abbiamo camminato nel bosco e che voleva uccidermi; infine, della comparsa del papà, che mi ha salvata.
Non menziono Olivia e la sua tomba. Quelli sono i miei segreti.
«Ashley è in custodia», la informo. «Non credo che lo tengano dentro a lungo, perché effettivamente non ha fatto niente».
«Non ci posso credere».
C’è molto a cui Nattie non riesce a credere, ma non mi sorprende. Neanche io sono sicura di riuscirci.
«Credo che la polizia vorrà parlare anche con te e Rhys per ricostruire i movimenti della nostra serata», la avviso.
La testa di Nattie ciondola contro la mia e sospetto che in ogni altra circostanza starebbe ancora dormendo.
«Non ricordo quello che è successo dopo aver lasciato il pub», mi confessa.
«È tutto ciò che devi dire».
«Cos’altro è accaduto?»
«La macchina di Max era ancora al parcheggio quando me ne sono andata, con la plastica nel bagagliaio e tutto», aggiungo. «Hanno anche trovato il coltello».
«E tuo padre?»
«Non so cosa ne sarà di lui».
È difficile pensarci, figuriamoci parlarne. Non sapevo che possedesse una macchina, ma c’era una Opel arrugginita nell’autoparco, vicino al taxi di Max. Ha avuto qualche momento di lucidità prima che la polizia arrivasse, ma tutto ciò che sono riuscita a capire è che mi stava cercando. A un certo punto, sono sicura che spiegherà tutto… lo spero. Ho strusciato i piedi sul sentiero per lasciare una traccia dietro di me, e se ha seguito l’auto di Max allora con ogni possibilità è stato in grado di starci dietro.
Io e Nattie stiamo sedute tranquille per un po’, e guardiamo i bambini che giocano. Ora sono otto, tutti tra i cinque e i sei anni, e non è difficile pensare alla piccola Olivia che si diverte felice nel suo giardino. Deve essere stata così innocente, inconsapevole del fatto che qualcuno come Max potesse macchiarsi di un crimine tanto orribile. Come per Iain: un attimo prima stava giocando da sola, quello successivo… niente.
Le risate dei bambini riecheggiano nel parco giochi. Chiudo gli occhi, in ascolto, penso alla bambina a cui ho rubato l’esistenza. In quell’istante, Nattie mi pone la domanda che mi sentirò rivolgere da tutti. Quella che l’ispettore McMichael era così impaziente di farmi.
«Perché?».
Ma non potrò mai raccontare il vero “perché”. Ho detto all’ispettore che Max continuava a urlare parlando di soldi, dicendo che non ne avrei mai ottenuti e che se ne sarebbe assicurato. E Ashley ha fatto la stessa cosa, a casa della mamma, davanti a tutti.
Per molti aspetti, è una storia perfetta. Tutti in paese conoscono la verità. Ci crederanno, perché metà delle persone ha comunque la propria opinione sui fratelli Pitman. Rhys ha detto che si vive di vendette come in una soap opera, qui. Gli abitanti ricorderanno Ashley che mette in giro pettegolezzi, la sua irruzione al Black Horse e Pete che lo scaccia.
Tutto ha un senso.
Ma non è la verità.
Ci sono delle ossa nel bosco. Olivia non c’è più, e neanche Lily. Mia madre è stata costretta a darmi via, e poi la sua seconda figlia le è stata sottratta. Sa cosa significa perdere qualcuno, e ora è vedova. Ha sofferto troppo per perdere di nuovo ogni cosa. Non sa neanche che un uomo è stato talmente infatuato di lei da arrivare a uccidere due volte. Se l’avesse lasciato, sarebbe successo tutto questo? O lui si sarebbe legato a qualcun altro per rovinare anche delle altre vite?
E io?
Non potevo rischiare di tornare a Stoneridge come Lily per scoprire di essere una figlia non voluta allora e ancora invisa. Dovevo essere quella da accogliere. Quella adorata.
«Soldi», affermo. Questa sarà per sempre la mia storia. «Max pensava che volessi i suoi soldi».
Nattie deglutisce, e crede alla bugia proprio come faranno tutti.
Restiamo sedute al sole ancora un po’, ascoltando le urla di gioia dei bambini, poi il suo telefono squilla. Risponde, pronuncia poche parole prima di riattaccare.
«Hanno finito, a casa di tua madre».
Camminiamo fino all’ufficio postale, poi prendo la macchina per andare dalla mamma. Sono appena arrivata sul vialetto, quando esce correndo in un bagno di lacrime. Mi stringe fino a togliermi il respiro.
Quando si stacca, ha gli occhi rossi e il volto rigato dalle lacrime. «Mi dispiace», mi dice.
«Tu non c’entri nulla».
Scuote la testa e guarda Nattie, appoggiata al cofano. Parla a entrambe, con la voce rotta e rauca. «In fondo, sapevo che Max avesse un lato oscuro».
«Non potevi immaginare che sarebbe arrivato a tanto».
La mamma deglutisce e scaccia un altro singhiozzo. Mi tiene per mano e non so bene chi stia consolando chi, in questo momento. «Volevo solo essere amata», continua. «Quando sei scomparsa, dopo tutto quello che è successo con tuo padre… Volevo essere amata, e Max era lì».
Stringo le sue dita, e trascorriamo un istante perfetto nelle circostanze peggiori. I nostri sguardi si incrociano per un attimo: scorgo la sua anima, e capisco che, più di ogni altra cosa, io sono la figlia di mia madre.