Capitolo trentuno

Io e Rhys aiutiamo Nattie a tornare a casa. Georgie è ancora sveglia e ho l’impressione che di rado, se non mai, vada a letto senza sapere che sua figlia è rientrata sana e salva.

Le abitudini di tredici anni fanno fatica a sparire, suppongo.

Ringrazia Rhys e sembra un evento ricorrente, ma conserva il meglio per me, prolungando il tema sdolcinato della giornata: mi attira in un abbraccio e aggiunge che neanche lei aveva mai avuto alcun dubbio. Non credo che Nattie le abbia raccontato i dettagli, ma non mi stupisce che la notizia del test del DNA si sia già diffusa in paese.

Dopo, io e Rhys ci trasciniamo fino a High Street. Mi spiega che vive poco oltre l’Angry Sheep, quindi facciamo la stessa strada. Le stradine secondarie di Stoneridge sono ancora più silenziose di quanto fossero domenica. Ci sono poche luci accese e il tepore del giorno è stato rimpiazzato da un freddo pungente.

«Tu e Nattie state insieme?», gli domando.

Ride, ma educatamente. Le sue parole sono chiare e non biascicate. «Passiamo un sacco di tempo insieme, ma non stiamo insieme. Ho iniziato ad andare al bar a prendere un panino ogni giorno quando lavoravo in un cantiere vicino alla scuola. Ci siamo incontrati così, e abbiamo cominciato a parlare un giorno in cui la caffetteria era vuota. Dopo, siamo usciti a bere qualche sera. Veniva a casa da me per scappare da sua madre e guardavamo la TV, o frequentavamo l’Horse. Prima di rendercene conto, era diventata una routine».

“Scappare da sua madre” mi sembra molto appropriato.

«Hai una ragazza?». Cerco di farla sembrare una domanda innocente, ma appena le parole escono dalla mia bocca sprofondo nell’imbarazzo.

Rhys sorride e mi prende la mano. La sua pelle è ruvida, come quella di un lavoratore. «È complicato», accenna. Fa una pausa lunga e rivelatrice, poi aggiunge: «Non sono sicuro che le ragazze facciano per me».

«Oh».

Mi stringe le dita e poi le lascia andare. Incrocio le braccia sul petto, nella speranza di recuperare un po’ di calore, ma non è molto data la brezza della sera. Rhys indossa solo dei pantaloncini e una T-shirt, ma non sembra soffrire.

«Sto ancora cercando di capire», prosegue.

«Non intendevo dovessimo… sai…». Sono patetica.

Rhys mi accarezza la spalla. L’insulto definitivo.

«Lo so…», conclude.

Non vuole essere maleducato, ma gli scappa una risatina. Forse per il nervosismo o l’imbarazzo, o forse no. Magari ricevere delle avances da una ragazza e rifiutarle è divertente per lui.

Il freddo ha definitivamente annientato ogni senso di ebbrezza. Sto balbettando e sono sopraffatta dall’imbarazzo. Le case, i lampioni e le macchine sembrano incombere su di noi, come se il paese si stesse restringendo.

«Stai bene?», chiede Rhys, e mi accorgo di essere rimasta qualche passo indietro.

Siamo vicini a High Street e indico il vicolo che porta sul retro del Black Horse. «Devo entrare dalla porta posteriore», lo informo.

«Posso accompagnarti».

«No!».

Dondola leggermente all’indietro, colpito dalla forza della mia risposta. Mi scuso subito, ma l’umiliazione è troppa. E non so cosa avevo in mente, in ogni caso. L’avrei attirato nella mia stanza attraverso il pub, o sarei andata io nel suo appartamento? È questo ciò che desideravo, o ho solo bevuto troppo?

Avevo un amico e ora ho rovinato tutto perché non sono stata capace di tenere la mia stupida bocca chiusa. E se Rhys lo raccontasse a Nattie? Rideranno di me?

Non credo di saper accettare un rifiuto.

L’ultima settimana ha riguardato l’esatto contrario: essere accettata e desiderata, diventare parte di una famiglia. Adesso ho distrutto tutto.

Siamo immobili all’imbocco del vicolo, Rhys girato verso High Street. «Io… preferirei non lasciarti da sola», dice.

«Non sono una ragazzina».

«Lo so, ma…».

Agito una mano verso la via. «È un tratto breve. Va tutto bene».

«Non intendevo…».

Sorrido. «È tutto a posto, davvero! Ci becchiamo».

«Se non hai voglia di andare a dormire possiamo vedere un film da me, che dici? Ti accompagno a casa poi quando vuoi, o dormo sul divano e tu puoi usare il letto. Nattie lo fa qualche volta».

Scuoto la testa. È allettante, e se l’avesse proposto prima che avessi aperto la mia stupida bocca, avrei immediatamente accettato. Non ora, però.

Simulare uno sbadiglio è abbastanza facile. Gli dico che sono stanca. Si allontana di poco e replica che allora ci vedremo presto. Mi incammino nel vicolo e attendo finché non sento i suoi passi farsi più distanti, prima di sporgere la testa da dietro il muro per essere sicura che se ne sia andato.

Che scema.

Solo quando rientro nel vicolo comincio a desiderare di avergli permesso di accompagnarmi alla porta del Black Horse. Lo spazio angusto è immerso in una spessa coltre nera. Ci sono i cassonetti, e la via è così stretta che devo camminare a zig-zag per farmi strada.

Su un lato c’è il retro dei negozi e dei bar di High Street, sull’altro alcune case, i cui cortili sono preceduti da alti muri, che mi impediscono di vedere altro se non la sommità triangolare dei tetti. Fa ancora più freddo qui, e stringo forte le braccia al petto mentre continuo a scansare i bidoni sparsi.

Mi fermo solo quando mi accorgo di essere dietro al Via’s. Il cortile è stato trasformato in un dehors, ma non riesco a immaginare che qualcuno possa voler sorseggiare il suo cappuccino in un vicolo sudicio, piuttosto che stare al sole sulla strada principale, o dentro la caffetteria. Il cancello è chiuso, però riesco a sbirciare tra le sbarre di metallo, chiedendomi se ora il nome cambierà. Via’s era il ricordo di qualcosa che è andato perso, ma la mamma adesso non ha più bisogno dei fantasmi del passato. Forse dovrei suggerirglielo?

Continuo. Con il retro del Black Horse ormai in vista, comincio a rovistare in cerca delle chiavi. Non sono nella tasca posteriore, mi sembra di avere con me solo quelle della macchina. Frugo dappertutto, ma nulla.

Dannazione.

Le ho dimenticate in macchina. Dopo tutto questo, devo tornare comunque al parcheggio. Avrei dovuto dire a Rhys che volevo stare con lui.

Potrei provare a bussare alla porta sul retro, ma Pete sarà a letto e non è giusto svegliarlo a quest’ora della…

Mi giro rapidamente, convinta che ci sia qualcuno alle mie spalle.

«C’è qualcuno?». La mia voce vaga lungo il vicolo, senza ricevere risposta, ma sono sicura di aver sentito un rumore di passi.

Indecisa se andare avanti o indietro, mi alzo sulle punte dei piedi cercando di capire se c’è qualcuno. I cassonetti sono così tanti che chiunque potrebbe nascondersi dietro uno di essi.

«C’è qualcuno?».

Nessuna risposta.

È di poco conforto sapere che, se ho sentito qualcosa, era probabilmente un topo.

Mi affretto oltre la porta sul retro del pub, in direzione dell’uscita opposta del vicolo. Ci vorranno solo cinque minuti per raggiungere la mia auto se mi sbrigo, e cinque minuti per tornare. Presto sarò a letto.

La paura mi ha abbandonata mentre lancio un’occhiata furtiva dietro di me. La mente mi sta ingannando, ancora offuscata dall’alcol.

Non vedo niente – ma in quel momento vado a sbattere contro qualcosa.

Prima che possa reagire, una mano raggiunge la mia bocca, qualcuno spinge la mia nuca contro il suo petto mentre mi fa girare e mi stringe. Impiego qualche secondo per capire cosa sta succedendo. Un altro braccio è sul mio torso, tiene le mie braccia bloccate con forza – impossibile opporre resistenza.

Provo a urlare, a gridare, ma ho una mano premuta sulle labbra. Solo quando provo ad aprire la bocca mi accorgo che non è solo una mano. È uno straccio, un panno bagnato, o…