Capitolo trentasette

Bang!

Max crolla su un fianco. Impiego un attimo per capire che non è più su di me. Scalcio via le sue gambe e rotolo di lato, urlando per il dolore.

La luna è salita oltre la sommità degli alberi, illuminando il sentiero: lì, nella luce bluastra, c’è mio padre.

Non è un fantasma o un’allucinazione, né il frutto della mia immaginazione: è il padre di Olivia.

Mio padre.

Mi guarda con gli occhi sgranati, disorientato.

Apre la bocca per dire qualcosa. Max geme e cerca di girarsi. Mi allontano da lui. Il papà si lancia su Max, mettendosi a cavalcioni sul suo petto e tempestandolo di pugni. I colpi producono un rumore strano, sordo e attutito: non sta usando solo le mani, ma una pietra grande come un pugno – un’arma letale.

Perdo il conto delle volte che il papà lo picchia e per un momento mi rendo conto che potrei fermarlo. Basterebbe una parola.

Ma non lo faccio.

Posso scegliere solo un padre, ed è lui che voglio.

Per Dan, per il papà, per gli anni di frustrazione che ha passato dopo che Max si è portato via sua moglie. Per tutte le opportunità sprecate in tredici anni. E non sa che quest’uomo ha preso anche la sua altra figlia.

Scarica una gragnola di colpi sul capo di Max, finché non sembra neanche più la testa di un uomo.

Non dimenticherò il suono della pietra sulla carne.

Forse il papà sa che non sono Olivia. Forse.

Dovrei fermarlo ma non lo faccio perché sono la figlia di mio padre. La figlia del mio vero padre – e lui, cioè, Max avrebbe agito allo stesso modo.

Quando ha finito, il papà cade all’indietro e lascia andare il sasso. Si mette in ginocchio, si porta le mani lorde di sangue sul viso e singhiozza. È senza fiato, ricoperto del sangue di un altro uomo. È terribile. Non posso dire nulla, perché è consapevole di ciò che ha fatto e sa che non può sottrarsi alle proprie azioni.

Lo prendo per mano e lo conduco lungo il sentiero, lontano da quell’orrore, finché arriviamo a un’altra panchina e ad altri cestini. C’è una targa commemorativa in memoria di una certa Alice che portava il cane a passeggio lì tutti i giorni. Un gesto normale, in un mondo in cui nulla è più tale.

Il papà ha il fiatone, quando si siede. La sua faccia è sporca di sangue, come i vestiti.

Non sono sicura di aver creduto al mio terzo padre quando ha detto che certe persone devono essere abbattute come gli animali. Ma se prima non ne ero certa, ora lo sono. Max mi avrebbe uccisa e probabilmente avrebbe trovato il modo per eliminare anche Harry.

Non c’era altro modo.

Il papà è senza fiato, con gli occhi spalancati e sotto shock.

«Te l’ho detto», sussurra. «Non te l’ho detto? Te l’ho detto. No? Ti ho detto che non ti avrei mai più delusa. L’ho detto».

Accarezzo la sua mano, lordandomi anch’io del sangue di mio padre.

«Mi hai salvata, papà».

Guarda verso il bosco e respira con affanno.

Gli stringo la mano. «Papà».

«Te l’ho detto. No?»

«Papà, respira insieme a me».

Provo a contare per aiutarlo, ma non fa differenza. Quando gli sento il polso, noto che il suo cuore sta battendo all’impazzata.

«Come hai fatto a trovarmi?», domando.

«Ti ho detto che sarei stato attento. Che non ti avrei delusa».

Non credo di riuscire a ottenere una risposta migliore di questa, almeno non ancora. C’è stato quel momento nel vicolo del Black Horse in cui ho pensato che ci fosse qualcuno alle mie spalle, ma poi, voltandomi, sono stata bloccata da Max. Forse il papà era appostato tra i cassonetti, e mi teneva sott’occhio da lontano. Forse mi aveva seguita per tutto il giorno.

«Perché qui?».

Sussurra di nuovo, ancora in affanno.

Non posso dire la verità – che le ossa di una povera bambina di sei anni sono sepolte nella foresta – perché quella bambina di sei anni sono io. L’unica persona che potrebbe sostenere il contrario è il cadavere nel terreno.

«Voleva uccidermi», racconto.

«Perché?»

«Pensava che fossi qui per prendermi i suoi soldi».

Il papà si gira verso di me e sul suo viso c’è una tale tristezza che mi lascia a pezzi. «Perché sei qui?».

Faccio un respiro e poi dico la cosa più sincera che sia uscita dalla mia bocca in tutta la settimana: «Voglio essere amata».