I cani del destino

(Ripabottoni, Molise, quasi Natale)

 

Sono due, mezzi cani e mezzi lupi, e stanno dietro al Colle di Sasso per fare la guardia al frigorifero del pastore. Non è un frigo vero, è che da questa parte del colle la neve non si scioglie mai, e il pastore ci tiene le provviste.

Sono secchi e col pelo di spine, senza nome e senza catena, e potrebbero scappare quando vogliono. Ma il pastore li ritroverebbe in mezza mattina, e l’altra mezza la passerebbe a riempirli di mazzate. Sono sporchi, sono affamati, ma non sono scemi.

E per lo stesso motivo non si azzardano a toccare il cibo sotto la neve. Magari muoiono di fame, ma aspettano il pastore che ogni tanto passa e gli butta qualcosa. Certe volte però è la sorte che li aiuta. Con una lepre o un fagiano o anche un cane domestico arrivato fin qui per qualche motivo spaventoso. E allora si mangia.

Come adesso, che dalla cima del colle gli arriva il rumore croccante di passi che pestano la neve. I due cani alzano le teste e cominciano a sbavare.

Non sanno che quello lassù è un ragazzino di terza media, con un sacco nero della spazzatura che vuole usare come slittino per buttarsi giù dall’unico posto dove c’è un po’ di neve. Non sanno che si chiama Mirko Colonna e che stamani è scappato da scuola perché lo vogliono picchiare. Sanno solo che è un pasto molto più ricco di una lepre, e molto meno veloce. Si accucciano dietro un rovo in fondo alla discesa e aspettano che il pranzo gli scivoli dritto in bocca.

Ma il ragazzino ci mette una vita. Si siede sul sacco, poi si rialza, si asciuga le mani, studia la discesa... Intanto i cani lo guardano da dietro le spine con le zampe che tremano per la voglia di saltargli addosso.

Poi finalmente il pezzo di carne lassù si decide, si dà una spinta con le braccia e scivola giù. Prende velocità e manda uno strillo, Ueeeeeeeee!, lungo quanto il tempo che gli ci vuole per piantarsi a metà strada, preciso contro una radice che spunta dalla neve. Allora uno dei due cani non ce la fa più e schizza fuori, l’altro lo segue e in un attimo sono lì che corrono su per il colle con un ringhio di fame nella gola.

E quel cretino mica scappa. No, li vede arrivare e resta immobile con le braccia ai fianchi, come per farsi sbranare meglio. Solo dopo un attimo si mette in piedi, lascia il sacco per terra, corre verso la cima del colle e si butta di là. I cani invece si tuffano rabbiosi sul sacco e se lo litigano a morsi e strappi, poi si bloccano coi brandelli di plastica in bocca e si rendono conto di quanto sono bestie, abbaiano e ripartono a caccia dell’essere umano.

Che intanto è arrivato in fondo alla discesa e salta su una cosa gialla con due cerchi sotto, comincia a frullare l’aria con le gambe e scappa verso la fine del bosco e la strada.

I cani non lo sanno ma quella è una bicicletta, una bici scassata da donna che ogni giorno a scuola gliela scassano sempre di più. Perché i suoi compagni lo odiano, Mirko Colonna, il Genietto che a forza di 10 e lode ha devastato la media del resto della classe.

L’altra mattina, prima del compito di italiano, Damiano Cozzi in persona è andato da lui. Così grosso che sul banco è calato il buio.

«Senti un po’, stronzetto, lo sai che mi succede se oggi non prendo 6? Mi mandano a lavorare. E lo sai dove? Da mio zio, e mio zio di lavoro veste i morti. Lo sapevi che i morti si vestono? Si vestono e prima si lavano anche. E io non lo so come si lava un morto, e non lo voglio sapere mai. Ma se oggi rifai un altro compito da 10 e il professore dice la solita cosa che in confronto a te facciamo tutti pietà, io ce l’ho nel culo. E allora stai sicuro che il primo morto che vesto sei te. Capito?»

Per spiegarsi fino in fondo gli ha preso la penna e l’ha spezzata con due dita. Ma non ce n’era bisogno, Mirko aveva capito benissimo, e infatti ha scritto il tema più assurdo del mondo. Solo che stamani il prof ha riportato i compiti tutto sconvolto.

«Ragazzi, vi avevo dato il tema sul Natale e il consumismo perché il periodo era giusto e volevo conoscere la vostra opinione. Però il vostro compagno Mirko Colonna se n’è fregato del titolo e ha scritto una paginetta dove spiega perché il lavoro del professore è un lavoro patetico e vergognoso. L’ho letto, l’ho riletto, e sono venuto a salutarvi perché io me ne vado.»

È arrivata la preside e si sono alzati tutti, tutti tranne Damiano Cozzi che è rimasto sbracato sulla sedia, minuscola per il suo culo. Tanto ormai aveva capito come andava a finire e il suo unico pensiero era se i morti bisogna lavarli anche là, sotto le mutande.

«Professor Giannaccini, la prego di pensarci bene. Adesso che è di ruolo...»

«Signora preside, via, cosa vuol dire di ruolo e non di ruolo... legga qui, la prego, legga e poi mi dice», le ha allungato il foglio protocollo del tema, ma la preside ha alzato le braccia e ha fatto un salto indietro come se le avesse offerto uno scorpione, poi è corsa via veloce.

E anche Mirko Colonna è corso via. Ha chiesto se poteva andare in bagno ma in realtà è scappato dalla scuola. Gli faranno dei casini, magari lo sospendono, ma sempre meglio che essere ucciso da Damiano Cozzi. Solo che tornando a casa ha avuto l’idea della slitta, e ora forse muore mangiato dai cani del pastore. E allora è proprio vero che quando è destino è destino.

  I cani lo inseguono e ringhiano e non sanno nulla di bici, insegnanti di ruolo e compiti in classe, ma forse sanno qualcosa del destino. E di sicuro sanno correre.

Finisce il bosco e arriva l’asfalto della strada, Mirko punta la discesa ma i cani sbucano da quella parte e allora deve per forza rigirarsi e lanciare la bici nell’altra direzione, verso la salita di Monte Muletto. Scatta in piedi sui pedali e pompa con le gambe più forte che può. I cani non sono abituati a questa cosa dura e scivolosa che è l’asfalto e gli ci vuole un po’ per capire come muoversi.

Ma è questione di momenti, la strada si fa davvero ripida e quel pezzo di carne che saltella là davanti deve per forza sentire la fatica. La sentono loro che hanno quattro zampe e sono nati per correre, figuriamoci lui. Che infatti adesso arranca, si piega in due e il suo sudore arriva al naso delle belve che prendono fuoco e si preparano a litigarsi i pezzi più teneri.

Ma incredibilmente il ragazzino non molla. Sarà il ringhio famelico che gli arriva da dietro, sarà l’ultimo schizzo di sopravvivenza, ma trova la forza di alzarsi un’altra volta sui pedali e spingere. Però i tornanti diventano più secchi e il prossimo sembra proprio un muro, il ragazzino si volta, rosso e senza fiato, e i cani sono vicini, sempre più vicini...

Poi da dietro a tutto, dietro al ragazzino e ai cani e alla lotta di ognuno per sopravvivere, sale il rombo di un motore.

È un’auto, arriva qualcuno, il bimbo si volta e agita un braccio, urla aiuto. Subito dall’auto tuona un urlo metallico che copre la sua voce e gli alberi intorno.

«Pedala! Se metti un piede a terra ti schiaccio, pedala!»

La macchina accelera e si porta dietro ai cani, suona il clacson, quelli si spostano sul lato della strada e continuano a correre, l’auto sterza di colpo dalla loro parte e li stringe sul ciglio, inchioda, lo sportello si apre. I due cani si bloccano. Non ci capiscono nulla, ma quello che si avvicina è un pasto ancora più grosso.

Solo che sembra meno indifeso, e ha in mano una sbarra di ferro come quella che usa il pastore. Si mettono uno di qua e uno di là, si piegano in avanti e si preparano all’attacco. Ma l’essere umano è più veloce, corre addosso a uno e gli batte la mazza sul groppone. Un colpo profondo, un dolore frizzante, dalla bocca della bestia esce il rumore di una candela che si spegne.

Il cane barcolla un attimo, vede l’altro che scappa giù per il colle e appena si ricorda come usare le zampe si butta dietro al suo compagno. Verso gli alberi e fino alla neve di là dal Colle di Sasso, dove forse il pastore è già tornato e non li ha trovati di guardia.

E con la prospettiva di altre mazzate, i due cani senza nome si perdono nel folto del bosco e spariscono per sempre da questa storia.

  Intanto Roberto Marelli è tornato in macchina, ha posato la mazza di ferro e va su in prima col motore che muggisce.

Ha corso in bici per vent’anni, e sono altri dieci che allena i ragazzi. Conosce tanti campioni e lo invitano a un sacco di cerimonie ufficiali, come questa della provincia di Campobasso che festeggia l’arrivo del Giro d’Italia il prossimo anno.

Ma non aveva idea di quanto è sperso nel nulla questo posto qua, è partito in ritardo da Muglione e adesso non sa nemmeno dove si trova, e i due cani in mezzo alla strada che gli facevano da tappo voleva schiacciarli. Poi però ha visto quel bimbo là davanti su quel cesso di bici, e il resto ha smesso di esistere. Perché lo sgorbio andava e andava senza voltarsi, una cadenza assurda e i tornanti volati via con stile perfetto e una carica che sembrava non finire mai.

«Vai così, insisti! Se tocchi terra ti spezzo la gamba! Fino in cima, dài che ce la fai, uno-due, uno-due, uno-due!»

Il ragazzino traballa un attimo, ma vede il cofano che si avvicina da dietro e si rimette a pestare sui pedali, potente e disperato. Si vede che è distrutto, allarga le cosce e ondeggia col busto, eppure continua a salire. L’energia che riesci a trovarti dentro quando l’energia è finita, questo è il segreto dei grandi campioni. Un serbatoio ce l’abbiamo tutti, e tutti siamo buoni a finirlo. Il campione fa la differenza quando i serbatoi sono vuoti. E questo bastardino qua davanti è un campione.

«Uno-due, uno-due, uno-due! Recupera e spingi, recupera e spingi, dài che ci siamo, dài che ci siamooooooooo!»

Il bimbo pennella l’ultima curva e lassù si apre la cima del colle, insiste a testa bassa spostando la bici di qua e di là come gli scalatori seri, che salgono in una specie di balletto. En danseuse è il termine tecnico, Charly Gaul faceva così, José Manuel Fuente lo stesso, e pure questa mezza sega su una stradina spersa del Molise.

La salita finisce, il bimbo si ferma e la bici gli cade per terra. Si piega, alza le mani per arrendersi, dice: «Signore, io non la conosco, non ho fatto nul...», si piega ancora di più e vomita.

Roberto pianta l’auto in mezzo alla strada, salta giù e picchia il ginocchio contro lo sportello. Offende Dio, si riprende e corre addosso al bimbo con gli occhi sbarrati. Il bimbo lo vede e si copre il viso con le mani, chiude gli occhi e si prepara alla prima mazzata. Che però non arriva. Al suo posto sente una cosa leggera e calda sulla schiena, è una coperta che il signore gli ha messo sulle spalle.

«Bimbo, ma chi cazzo sei! Sali in macchina! Chi cazzo sei, chi cazzo sei!»