PA, PA, PA-PA-PA

 

Dal blog BitterSweet Girl.

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Cinque minuti e ti sono già arrivati due commenti. I soliti, ovvio. Di tua cugina:

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E di Raffaella:

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Tua cugina almeno abita a Milano, ma Raffaella vive nella stanza accanto, e il latte coi cereali ve lo state per mangiare insieme. Che senso ha?

E poi l’unico commento che volevi è quello dell’Americano, del tuo ammiratore straniero che ogni giorno passa dal blog. Vive a Mountain View, California, quelle parole su Obama le hai piazzate apposta per lui. Anche se oggi non è ancora passato a leggerti, lo dice il programmino magico. Forse è via per lavoro, un lavoro interessante che lo porta in giro per l’America, è una persona attiva che non sta tutta la vita davanti a un computer.

Pure la storia del ragazzo svenuto in fila l’hai messa per lui. Ti serviva per fare il parallelo fra la situazione italiana e quella americana, ma non è successo veramente. Cioè, sì, una persona si è sentita male davvero all’Informagiovani, però era un vecchio. Stava seduto a un tavolino a giocare a scopa e invece di un malore aveva solo bevuto troppo. Mica potevi raccontare quella storia lì.

Che poi tu sei sempre molto chiara, niente alcolici e niente sigarette qua dentro. Ma i vecchi sono fatti così, metà delle volte non capiscono e l’altra metà fanno finta. Spesso, in mezzo a una mano di scopa particolarmente impegnativa, capita che qualcuno si confonda e ti chiami col dito per ordinare un Cinzano o una coppetta di bianco: questa è la cosa più deprimente dell’universo se pensi ai progetti che avevi in testa quando sei tornata dalla Germania. Ecco perché metti tutto quel veleno nella voce quando rispondi Io non sono una cameriera e questo non è un bar, e vi ricordo che qua dentro è vietato bere alcolici. E allora i vecchi, che fanno di sì con la testa ma in realtà se ne sbattono, si portano le bottiglie da casa. E sarà per questa atmosfera da proibizionismo che hai creato, ma adesso all’Informagiovani bevono tutti come disperati ed era chiaro che prima o poi ci scappava il malore.

Ecco, questa sì che sarebbe una storia da raccontare, una storia vera che la dice lunghissima su questa nazione. Una professionista di trentadue anni laureata a pieni voti, con una sfilza di master e diplomi internazionali, che si ritrova a fare da badante a una banda di vecchi alcolizzati e deve fare di tutto per non perdere un lavoro inutile a tempo superdeterminato e stipendio quasi simbolico.

Ma per il momento è meglio che di questa storia se ne parli il meno possibile. Devi avere pazienza e annotare tutto, poi quando ti scade il contratto cerchi qualcuno che pubblichi un reportage spietato sulla tua esperienza. Perfetto, sì, gli argomenti e l’abilità per scriverlo non ti mancano, ti serve solo il tempo per batterlo al computer. Che poi, se c’è un lato positivo in questo paese senza locali senza cinema senza mostre e senza amici, è che ti ritrovi un sacco di tempo libero per progetti come questo. Solo che lo sprechi, Tiziana, tu sprechi il tuo tempo. Con questo blog, per esempio. E anche con le lezioni di inglese che dai a quel bimbo delle medie che non capisce nulla. Doveva essere un corso intermedio di inglese commerciale, invece fai ripetizioni a un ragazzino. Che tristezza. E il prossimo passo quale sarà? Lavi l’auto allo zio così ti dà dieci euro? Aspetti che ti cada un dentino così la fata ti porta i soldi?

No, basta, devi tagliare al calcio questa roba, eliminare le perdite di tempo. Infatti oggi hai detto a Mirko che puoi aiutarlo solo con l’inglese, per il resto si deve cercare qualcun altro. Che poi quel ragazzino sarà anche un campione in bici, ma a scuola è proprio l’ultimo degli ultimi. Non è che studia male, o che non capisce, è proprio impermeabile alle informazioni. Tu parli e spieghi e un secondo dopo è come se non gli avessi detto niente. Povero bimbo, povero.

Alt. Fermati qui, non devi pensarci troppo. Sennò poi ti dispiace e finisce che gli fai i compiti e gli scrivi le ricerche e praticamente fai l’esame di terza media al posto suo, l’ennesima occasione in cui non fai niente per te stessa e sprechi il tempo per qualcuno che nemmeno lo apprezza.

No, basta, adesso devi scrivere quel reportage, ma subito. Prendi il computer e apri un file nuovo e cominci a battere, e non... PA, PA, PA-PA-PA.

Un clacson da sotto. Cadenza da stadio.

È Pavel, il ragazzo di Raffaella. A proposito di perdite di tempo.

Dall’alba alle cinque fa il muratore e la sera rimette a posto i prodotti sugli scaffali dell’Esselunga, ma gli resta una mezz’ora di vita per passare da Raffa. È rumeno, ma non sai di quale città. Non dice mai nulla dei suoi posti e della sua famiglia, sai solo che è rumeno e che è convinto di essere un comico nato.

PA, PA, PA-PA-PA.

Ah, sì, e che ignora l’uso del campanello.

 

Raffaella aspetta sempre l’ultimo momento per prepararsi. Si veste e si trucca, anche se lui passa solo mezz’ora e non vanno da nessuna parte. Che poi tu a Raffa le vuoi tanto bene, ma non si può dire che sia la ragazza più bella del mondo. Non è alta, non è magra, e non è nemmeno quel tipo che puoi dire Be’, se fosse più alta, o più magra... no, Raffaella sarebbe brutta comunque. Ti dispiace pensarlo, ma lo pensi. Anzi, non è che lo pensi, è semplicemente così.

Però Raffaella ha il grande pregio di non farsi problemi. Con gli uomini ci sa fare, anche questa cosa di prepararsi all’ultimo minuto, quando Pavel suona da sotto, è studiata. Dice che per tenerti un uomo devi farlo aspettare.

Sembrano parole dal passato profondo, lezioni per signorine da manuale anni Cinquanta dedicato alle aspiranti casalinghe. Forse tua mamma ha fatto così per conquistare il babbo, che all’epoca faceva il muratore come Pavel e non era ancora diventato lo Zar della Porchetta. E forse funzionerà anche con Pavel, che in effetti come mentalità è molto anni Cinquanta pure lui.

Ma a te, sinceramente, di tutta questa storia interessa solo che Raffaella e Pavel non facciano troppo casino.

«Uééé, aprite!» Pavel urla da dietro il portone. L’esistenza dei campanelli proprio non gli entra in testa. «Aprite, sono un ladro rumeno, voglio rubare!»

Raffa è ancora in camera a prepararsi e allora devi aprire tu, prima che i vicini si arrabbino o si spaventino, a seconda delle singole intelligenze. Apri il portone e Pavel sta lì, come sempre, con l’indice e il pollice in posa come se fossero una pistola, ti sorride e fa bang bang, poi ti dà tre baci sulle guance e entra. Sempre il solito scherzetto, identico. Come tuo padre e tuo zio e tutti gli uomini della tua famiglia, ognuno col suo scherzo buffo che ripete per tutta la vita identico e inevitabile come una condanna, e non ci pensano minimamente alla possibilità che coi decenni possa smettere di essere divertente. Forse la colpa è anche tua, che ogni volta ti sforzi di sorridere e li incoraggi a continuare.

Pavel entra. I capelli biondicci pieni di gel e schiacciati all’indietro, una tuta della Adidas bianca lucida con le strisce in oro, scarpe Adidas identiche e questi baffetti fini che sembrano una specie di bruco magro e lungo che si arrampica sopra al labbro.

Si butta sul divano, ma prima ti passa un sacchetto di plastica dell’Esselunga. Ogni sera trova il modo di portarsi via qualcosa, piccole cose che secondo lui possono far felici le ragazze. Una scatola di biscotti, una vaschetta di gelato, una cuffia per la doccia, stavolta anche una piantina di basilico.

E il brutto è che spesso ci indovina. Proprio carina questa pianta di basilico.

«Allora miss, come andiamo? Che cosa fate voi donne sole in questa casa?»

«Nulla. Solite cose.»

«Già, sì. Ma uno uomo lo troviamo, sì?», ti strizza l’occhio. «Sai Tiziana, io ho amici che sono ottimi, sai? Per esempio Nick, conosci tu Nick, sì?»

«...»

«Dài, amico mio alto, lui lavora con me a cantiere. A lui interessi, sai?»

«Mi conosce?»

«No, ma gli interessi. Gli ho detto che tu insegna a scuola.»

«Io non insegno a scuola.»

«E che hai belle tette. Non grosse come Raffaela, ma di viso meglio e anche di culo. E lui è interessato.»

«...»

«E domani io lo porto, sì?»

«No, grazie, sei gentile ma no.»

«Lo porto, lo porto. Lo portavo stasera già, ma poi è scappato.»

«È timido?»

«No, no, però c’è stato uno problema. Ci siamo fermati per strada, c’era lo scooter di Paolino fuori. Strano perché lui porta sempre dentro casa, invece era per strada.»

«Paolino è un altro amico tuo?»

«Lavora con me a cantiere. Ma lui troppo piccolo per te, diciotto anni, non fare la furba miss, tu sei per Nick, sì?»

«Certo, e chi se lo scorda.»

«Bene. Paolino ha uno scooter supermodificato, e lo ama proprio. Noi parliamo di macchine grosse, io e Nick. Nick mette da parte soldi per comprare una auto per rally, perché lui ama il rally, la sua vita è il rally.»

«Potrei innamorarmi...»

«Però Paolino sempre parla dello suo scooter, che lui dice va come una bomba e quasi vola, infatti sopra ci ha fatto disegnare uno F14. Conosci tu F14, sì?» Pavel allarga le braccia come due ali e fa un verso con la bocca tipo reattori a massima potenza, poi altri a intervalli più sputacchiati che forse sono le bombe che sgancia sui paesi del terzo mondo.

«Sì sì, l’aereo, capito.»

«Ecco, noi venivamo da voi stasera, io e Nick. Così io e Raffa qui sul divano e tu e Nick sul tuo letto di là, sì?»

«Se lo porti qua chiamo la polizia. Scherzo. Vai avanti.»

«E però in strada c’è lo scooter di Paolino, legato a uno palo con una catena. E a noi viene questa idea. Lui dice che suo scooter vola? Allora noi leghiamo con una corda e mettiamo sopra albero davanti di casa sua. Così la mattina dopo noi aspetta lui fuori e diciamo Oddio Paolino, guarda lassù, c’è tuo scooter che vola per davvero!». Pavel scoppia in una risata che lo sdraia sul divano.

«...»

«Però dovevamo rompere la catena, e Nick ha in auto sempre pinze grandi, perché a volte lui rubava scooter e biciclette, all’inizio. Ora no però, ora solo lavora. Però le pinze sono sempre in macchina e allora facciamo per rompere la catena, e però mentre stiamo lì arriva uno vecchio per la strada. E rimane lì fermo e guarda. Io mi alzo dallo scooter e lo guardo, invece Nick è scappato via. Ecco perché lui non è venuto.»

Pavel smette di raccontare e si volta alle camere: «RAFFAELA, DOVE SEI! IO DOMANI MI ALZA PRESTO!».

«Vabbè, scusa, ma col vecchio com’è finita?»

«Col vecchio? Ah, nulla, poi arrivati altri vecchi e sono scappato anche io. Io per uno scherzo non mi metto in guai, sì?»

Fai di sì senza espressione, sorridi, ti appoggi con la schiena alla finestra, sopra il termosifone che per qualche motivo resta acceso fino a giugno. Il vetro fa un rumore che senti solo tu, un cric leggero eppure sinistro che ti punge le ossa.

«Pavel, sono qua, non vieni?» Raffaella è sulla porta con le braccia larghe, minigonna bianca aderente e top strizzato. La carne compressa esce da sopra e sotto.

Pavel la vede e schizza in piedi, due passi e la abbraccia forte. La prende e la bacia e lei bacia lui e le mani si strusciano da tutte le parti.

Ti aggiusti appena con la schiena contro la finestra. Un altro cric dal vetro. Il vetro si fa con la sabbia, anche se sembra impossibile. La scaldano moltissimo e diventa una pasta luminosa, poi la lavorano e alla fine diventa vetro. Ma come fanno. Come fanno.

Il bacio lì davanti continua addosso alla parete, con le lingue che frullano e colpetti di riso e versi di gola ogni tanto. Ma come fanno. Come fanno.