La terrificante notte del demonio

 

Entriamo a casa di Tiziana e lei dice la stessa cosa che le ho detto io quando è venuta al negozio: «Scusa questo posto. E scusa l’odore».

«Ma figurati, è l’odore del fosso. Mi piace, mi ricorda la pesca.»

Sorrido, mi guardo intorno e forse riesco a fare finta che mi interessino i mobili e le tende e l’illuminazione della stanza, ma in realtà l’unica cosa che importa è che la tipa che vive con Tiziana non c’è. Siamo soli io e lei, ormai sono quasi le nove e fra poco è buio, quindi siamo un uomo e una donna soli di notte in una casa, e non siamo amici non siamo parenti non siamo colleghi di niente. Siamo un uomo e una donna e abbiamo un solo motivo per essere qui, secondo me.

«Allora, il riso freddo», Tiziana corre al frigo e si piega agli scompartimenti bassi, io da dietro la guardo più che posso e le sue forme si vedono troppo bene sotto il vestito a fiori. Continuo a guardarla finché non torna su con la ciotola in mano. La posa sul tavolo e prende due piatti dal lavabo.

«È proprio freddo» dice. «È meglio se aspettiamo un attimo prima di mangiarlo.»

«Vabbè ma il riso freddo deve essere freddo, no?»

«Sì ma così è troppo freddo. È riso gelido.»

«Potrebbe essere un’invenzione, ghiaccioli di riso» dico. E ho detto una cazzata. Ghiaccioli di riso, ma che cazzo significa? Non è nemmeno una battuta, sono parole a caso. E poi è meglio non parlare più di freddo, che qua l’atmosfera è già abbastanza gelida di suo.

«Che dici, lo metto un attimo in forno?»

«Non lo so. Cioè, io lo mangio anche così.»

Ma Tiziana ha già acceso il forno, apre lo sportello e ci infila la ciotola del riso.

E per farlo si piega ancora, la schiena e il culo premono sotto il vestito e io sono a un passo, se allungo un braccio la tocco. E più la guardo e più le parti del suo corpo mi dicono Oh, allora, noi siamo qui, te che fai, arrivi o no?

Io le ascolto e vorrei tanto rispondere Sì, eccomi, arrivo, chiudere gli occhi e tuffarmi e fare di tutto. Però non so fare niente, non so nemmeno da dove cominciare.

Perché mica è facile, come si fa a scattare dalla vita normale al sesso? Come si passa da due persone in piedi e vestite e pettinate e con delle cose normali da fare (mangiare il riso, chiacchierare), fino a due corpi nudi che sudano e si strusciano e si penetrano e si dicono le parolacce e si schizzano addosso? Ci deve essere qualcosa in mezzo, non lo so, una fase di passaggio.

Nelle canzoni, per esempio, non si passa mica diretti dalle strofe al coro. Non avrebbe senso, ci vuole un crescendo che ti prende e ti porta lassù e poi lascia andare il coro finché vuole. Quel crescendo si chiama bridge, e cioè “ponte”, perché è un ponte che parte dal mondo normale delle strofe e arriva fino al paradiso del coro, dove la musica è più alta e pompata e ti rimarrà in testa per un sacco di tempo.

E qui invece, con Tiziana piegata sul forno che cerca di scaldare il riso freddo, il mio bridge dove sta? Non lo vedo, non lo sento, devo pensare che non esiste? Magari è come nei gruppi più geniali, tipo i Black Sabbath o i Motorhead. Loro se ne fregano di fare le cose per gradi, loro non seguono le regole e fanno delle canzoni della madonna che vanno dritte per la loro strada senza bridge e senza vie di mezzo. E allora anch’io vado dritto per la mia strada, sì, io sono il cantante dei Metal Devastation e nessuno mi può fermare! Sì, sì, sì!

Ecco perché mi tuffo su Tiziana piegata sul forno, e anche se ho una mano sola agguanto tutto quello che c’è da agguantare, le palpo le tette e mi schiaccio sulla sua schiena e mi struscio sul culo, le alzo la gonna e mi abbasso i jeans e la mordo forte sul collo. Lei scatta su dritta e rigida, cerca di fermarmi e grida, ma dopo un attimo è come se diventasse un’altra. Prende fuoco e mi stringe i fianchi e si struscia contro di me e dice Sì, oh sì, così, così, mi afferra la mano e se la passa su tutto il corpo e le tette e le cosce e poi lì in mezzo dove c’è caldo e bagnato e Tiziana geme e si dimena e dice Oddio, ma chi sei, mi fai impazzire, quegli sfigati della mia età sono dei froci impotenti, oddio sì, non mi reggono le gambe, oh sì, sì, sì...

E invece no. E invece non faccio proprio niente, ci sediamo e mangiamo il riso freddo. Perché non è mica facile. E perché sono un imbecille.

«Purtroppo il riso è poco» dice.

«Come? No, no, è giusto. E poi è buono.»

«Sì, ma è poco. Mi spiace, magari dopo ci inventiamo qualcos’altro, eh?»

Non alzo gli occhi, non me la sento, faccio solo di sì con lo sguardo fisso al piatto. Dopo ci inventiamo qualcos’altro dice. Sì, come no, se aspetti me buonanotte.

E intanto un sms di Giuliano scoppia nel silenzio della stanza. Noi tutto pronto, te? Intanto si va all’Excalibur.

Ma sei con quella fica? (20,58) Rimetto il cellulare in tasca. Sì, sono con quella fica, ma tutto quello che raccatto stasera è mezzo piatto di riso freddo.

Sono un fesso, il cantante dei Metal Devastation è un bamboccio e con le donne se la fa sotto. Sono la vergogna di tutta una tradizione di cantanti arrapatissimi tipo Vince Neil e David Coverdale, gente che le femmine se le portava in camerino tre alla volta, le bombardava in tutte le salse e poi le mandava a casa con un calcio in culo e una maglietta della band.

Io invece sono qua in una situazione perfetta e non riesco a fare un cazzo. E allora è chiaro che tutto si fredda da morire, mastichiamo in mezzo a un blocco di silenzio misto alle forchette che grattano sul piatto, e alla fine Tiziana comincia a parlare di cose che non sono sessuali proprio zero.

«Ecco, io... cioè, io ti volevo chiedere scusa per la cosa della mano.»

«...»

«Cioè, l’altra volta in ufficio è stata una cosa così improvvisa che sul momento non... insomma, sono rimasta un po’ sorpresa. Poi tu sei scappato e...»

«Non sono scappato, sono andato via.»

«Sì, ok, però io volevo dirti che non è un problema. Cioè, lì per lì mi ha fatto strano, però dopo un secondo mi era passata. Solo che non mi hai dato il tempo di...»

«Lo so. Il problema è che a un sacco di gente gli ho dato un sacco di tempo, e non è servito a nulla.»

«Immagino, sì, mi dispiace. Ma senti, te lo posso chiedere com’è successo? Se non ti scoccia, eh, sennò cancella tutto, sennò parliamo d’altro.»

«Figurati. È stato un incidente coi petardi.»

«Cavolo, a Capodanno?»

«No, a luglio. Avevo quattordici anni.»

«Madonna, Fiorenzo, mi dispiace. Ha senso dire che mi dispiace?»

«Mi sa di no, però me lo dice un sacco di gente.»

«Ecco, mi dispiace anche di questo.»

«Ma no, figurati. Anzi, grazie. È molto peggio quando mi dicono Ti capisco. Ecco, quello mi fa incazzare come una bestia. Ti capisco... ma cosa cazzo capisci? Una volta me l’ha detto anche... una mia amica, e io le ho detto che non era vero niente che mi capiva: pensava di capire, ma questa è una cosa che se non la provi non c’è verso che la capisci. E allora lei sai che ha fatto? Ha preso una garza e si è fasciata una mano e ha passato un giorno intero con una mano sola.»

«Pazzesco! Forte questa tua amica. E dopo ha capito meglio?»

«Un po’ sì, credo. Ma tanta gente non ne sa proprio zero. Delle volte mi hanno pure chiesto se ero nato così.»

«Ma dài, che scemi. Ma esiste gente che ci nasce?»

«Non lo so, io non l’ho mai sentito. Cioè, sì, una volta, ma in un film horror. C’era un bimbo che nasceva senza una mano, per una maledizione che...»

«L’ho visto! L’ho visto! Lo davano l’altra notte! C’era un castello, una specie di castello, e un contadino mezzo matto che...»

«Si intitola La Maledizione» dico, mi metto bello dritto sulla sedia e comincio col tono da professore, perché adesso entriamo in un campo dove posso dare lezioni a tutto il mondo. «È un film inglese di una casa di produzione che si chiama...»

«Della Amicus!» mi frega Tiziana. «Sì, si vedeva dalla luce, dalla scenografia.»

«Cioè, te conosci i film della Amicus?» Nella vita reale non ho mai sentito nessuno che li conosce, a parte me e Giuliano.

«Sì, però sono troppo gotici per me. Preferisco quelli ambientati nel presente, possibilmente in campagna. L’horror metropolitano non ha senso. Ci devono essere gli alberi e la nebbia e le civette che fanno uh-uh, altrimenti non funziona.»

Tiziana parla e io non ci posso credere, giuro che mi sembra di ascoltarmi da solo. Sono d’accordo al cento per cento, faccio di sì con la testa a ogni cosa che dice, sempre più forte, sempre più forte. Rischio di rompermi una vertebra, ma chissenefrega.

«E quello dell’altra notte si chiama La Maledizione

«Sì» dico. «Con Peter Cushing. È poco considerato, però a me mi piace un sacco. Forse perché mi ritrovo nella storia di quello senza mano», e giuro che senza pensarci alzo il braccio destro, che tenevo sotto il tavolo, e lo lascio libero nell’aria.

Tiziana lo guarda ma solo un momento, come si guarda un braccio normale che finisce in modo normale. Poi torna ai miei occhi e le interessano solo i nostri discorsi.

«Ti capisco» dice. «Ci sono dei film che sono oggettivamente splendidi. La notte dei morti viventi, Halloween, il primo Nightmare, Venerdì 13. E poi ce ne sono altri che sono importanti per motivi nostri. Io li chiamo i classici personali.»

Continuo a fare di sì con la testa, non riesco a smettere. Domani mi farà male il collo, ma va bene così.

«Quindi il tuo classico personale è La Maledizione» dice. «E allora indovina il mio.»

Ci penso, ma non è facile. Che titolo va bene per Tiziana? Roba italiana o americana? Inglese? Quei film vecchissimi e noiosi con Bela Lugosi oppure il periodo d’oro anni Settanta? Mi serve un aiuto.

«Dimmi almeno il genere. Vampiri, streghe, zombi, mummie?»

«Mah, non si può inserire in una categoria precisa.»

«Ok, è una cosa particolare quindi, tipo un...»

«È La terrificante notte del demonio. Ecco, te l’ho detto, tanto non ci arrivavi.»

«Lo dici te!» urlo, «lo dici te!» Ma Tiziana ha ragione. Porca puttana, io La terrificante notte del demonio non l’ho nemmeno visto. So solo che c’è Erika Blanc, e cavolo, almeno questo glielo dico: «C’è Erika Blanc, no?».

«Esatto. Titolo originale La plus long nuit du diable, regia di Jean Brismée, Belgio, 1971, però in realtà è una mezza produzione italiana e è uscito nel 1973.»

«Cazzo, ma sai tutto.»

«Be’, è il mio classico personale. E mi faresti un grande piacere, Fiorenzo?»

«Sì...»

«Mi puoi chiedere per piacere come mai è il mio classico personale?»

«Certo, ma infatti te lo chiedevo. Come mai è il tuo classico personale?»

«Allora, primo motivo...», Tiziana sorride e manda gli occhi al soffitto, drizza la schiena, si mette comoda sulla sedia. Parte con la lista dei motivi e tiene il conto con le dita come i bimbi. «Allora, prima cosa: inizia con un flashback nazista. Seconda cosa, la colonna sonora è fantastica. Terza, Erika Blanc ha un vestito di plastica nero favoloso che si era fatta da sola. Quarto, appunto, c’è Erika Blanc. Quinto...»

«Ma sai che non l’ho mai visto?» dico.

E Tiziana resta con le dita che contano cinque. «Cosa?», mi guarda come se le avessi detto che non sono mai stato in discoteca o che non ho mai baciato una ragazza, tutte e due cose assai vere. «Non l’hai visto? Ma sei pazzo, non è possibile!»

Io dico che invece è possibile, ma a questo punto lo voglio vedere al più presto. E allora lei dice che lo dobbiamo guardare insieme. Giuro, lo dice lei, dice insieme. E dice anche: «Ce l’ho in dvd, vieni in camera mia che te lo faccio vedere».

In camera sua.

A queste tre parole tutto cambia. Cioè, forse non tutto, ma certo sentirle dire in camera mia, di notte da soli e con quella voce che forse quando l’ha detto era più profonda, mi fa molto effetto. Perché nelle camere da letto ci sono un sacco di mobili e soprammobili e accessori stravaganti, ma soprattutto c’è il letto. E se Tiziana mi porta di là non so cosa succede.

Ma mi sa che non lo sa nemmeno lei. Ha detto di andare in camera sua e di botto non parliamo più, non ci guardiamo, faccio un colpo di tosse giusto per sport.

Intanto mi arriva un altro messaggio al cellulare, e un altro ancora: ormai sono tre e tutti da Giuliano. Tiziana mi dice: «Ammazza quanta gente ti cerca», io faccio il vago e la seguo, e siamo in camera sua.

Ci sono un sacco di libri e riviste a pacchi, sugli scaffali, sui mobili e per terra, pile di giornali e taccuini e fogli sparsi e due poster in bianco e nero alle pareti. Uno è la foto di un bimbo che porta due bottiglioni di vino, l’altro è un palazzo che non so cos’è ma sta in mezzo a altri palazzi che sembrano grattacieli.

Ma è chiaro che di tutto questo panorama non me ne potrebbe fregare di meno. L’unica cosa che mi cattura è il letto, lì comodo, a una piazza e mezza.

Tiziana prende il dvd e me lo passa. In copertina c’è Erika Blanc che grida e dietro un castello con la torre e il titolo del film in rosso. E chiaramente anche del dvd non me ne potrebbe fregare di meno.

«Guarda dentro» dice. «C’è la locandina originale, è pazzesca.»

Io cerco di aprire la custodia del dvd, che però è durissima. La tengo al petto col braccio destro e intanto ci lavoro con la mano, di solito mi ci vuole un secondo. Ma adesso anche respirare mi sembra una roba complicata, e allora mi serve più tempo. Che poi Tiziana è qui davanti e mi guarda e a un certo punto fa la mossa di aiutarmi, ma per fortuna si trattiene. Io cerco di aprire la custodia con tutta la forza che ho ma quella merda non cede, sembra un’ostrica o una cassaforte (anche se dal vivo non ho mai visto nessuna delle due), e allora ci metto più forza, smetto di respirare e tiro, tiro e stringo, e alla fine quella maledetta scivola e porca puttana mi cade per terra. E ovviamente appena tocca il pavimento si apre, il dvd schizza fuori e sparisce come una freccia sotto il letto.

«Te lo ricompro!» urlo.

«Esagerato, cosa mi ricompri?»

«Magari si è graffiato, sono uno scemo.»

«Ma no, figurati, succede.»

«Sì ma succede perché sono uno scemo. Non è mica per la mano eh, li apro tutti i giorni i dvd, giuro, non è per quello. È che sono agitato. Sono qui con te e...»

Poi smetto di parlare. Non riesco nemmeno a guardarla, mi vergogno a livelli industriali. Voglio scomparire, anzi, adesso scappo. Sono giovane, sono in forma, se scappo non mi riprende più.

Tiziana controlla dov’è finito il dvd, che ovviamente si è piantato nell’angolo più lontano dell’universo. Monta sul materasso, si sdraia e allunga il braccio tra il comodino e la parete per cercarlo alla cieca. E messa così è assurda. Il sotto del vestito le sale piano e vedo le cosce nude fino a un punto che non è mica lontano da dove le cosce finiscono e comincia lo splendido resto... e tutto l’insieme della scena dice Scopami adesso Fiorenzo, scopami o è giusto che muori vergine. Ma io me ne sto qui immobile a guardare, con la testa bassa e la custodia del dvd in mano, chissà cosa mi direbbe Giuliano se potesse vedermi. Forse la cosa è così clamorosa che pure Stefanino riuscirebbe a mandarmi affanculo.

Ma cosa posso fare? Tiziana è lì che si stira sul letto e lavora col bacino e si allunga al massimo, però lo fa per salvare il suo film preferito che io ho appena sparato nel buco più sperduto del mondo, siccome non sono in grado di aprire una cazzo di custodia. Con che coraggio mi tuffo su di lei e la faccio mia?

Dopo un minuto gigantesco Tiziana riesce a recuperare il dvd e torna in piedi, è rossa e sudata e mi guarda tipo alla fine di una corsa. Io le allungo la custodia col braccio teso come un bimbo spastico. «Scusa» dico.

«Ma di che?», mi guarda, mi guarda un po’ più strano, poi dice: «Sai una cosa, Fiorenzo, la faccio anch’io quella cosa».

«Quale cosa?»

«La cosa della mano. Me la fascio anch’io, come la tua amica.»

«Ma ora che c’entra?»

«Non lo so, però lo faccio.»

«Ma no, davvero, è una noia pazzesca e...»

«Senti, se ce l’ha fatta questa tua amica ce la faccio anch’io.»

«Ma guarda che poi con una mano sola non riesci a fare nulla.»

«E vabbè, vorrà dire che per un giorno non apro i dvd, capirai.»

«Ma il dvd non c’entra con la mano, lo giuro! Lo sapevo che pensavi che era per quello, lo sapevo!» Lo dico e poi mi scappa da ridere, perché Tiziana mi indica e ride un sacco. Mi prende in giro. E la cosa mi piace. Mi piace pure come ride.

«Sai che forse ho una fascia in casa?» dice. «Non so dove ma ce l’ho.»

«Ma sei matta, non lo fare.»

«Che palle, ho detto che lo faccio, punto e basta. Tra l’altro domani è perfetto che è pure domenica. Domenica è il giorno della garza.»

«Come vuoi. Però lo chiamerei il giorno della mano fantasma, suona meglio.»

«Va bene, il giorno della mano fantasma. Mi sembra pure divertente», mi guarda e sorride ancora.

«Se sei contenta te» dico. Ma in realtà sono contento anch’io, e molto. Molto.

  Così contento che non è un problema se subito dopo sentiamo questi schiocchi metallici di là all’ingresso, la porta di casa si apre e entra la ragazza che vive con Tiziana.

Sta piangendo, si aggrappa a Tiziana e non so come fa lei a non cadere indietro con tutta quella ciccia addosso. La sua amica si lamenta e manda versi e mozziconi di parola, Tiziana mi parla da sopra la sua spalla grassa e la voce è tipo un bisbiglio, mi dice scusa e che non sa come fare e... Io sorrido e col dito che frulla nell’aria le dico che ci rivediamo presto.

Esco dalla porta e me la chiudo dietro, e allo schiocco della maniglia il pianto della sua amica sale fortissimo e disperato.

E io invece sono contento. Ok, non sono riuscito a fare nulla a parte la figura dello scemo, ma questa cosa che Tiziana vuole fare la prova della mano fantasma mi fa sentire carico e allegro e ho voglia di scendere le scale a salti.

E come sempre quando sto proprio bene, il cervello mi manda in circolo The Boys Are Back in Town dei Thin Lizzy. Scendo in strada e me la canto fino in fondo.

The jukebox in the corner blasting out my favourite song The nights are getting warmer, it won’t be long Won’t be long till summer comes Nowthat the boys are here again.*

 

Canto con le mani in tasca e cammino al trotto e mi guardo intorno sorridendo, anche se non passa nessuno a raccogliere questo sorriso. Poi il cellulare suona un’altra volta, anzi due. Siamo a quattro messaggi, tutti da leggere.

Sì, perché la parte migliore ormai è andata, ma questa notte non è ancora finita.

* Il juke box all’angolo sputa la mia canzone preferita / Le serate sono più calde, non manca mica tanto / Non manca tanto all’arrivo dell’estate / Ora che i ragazzi sono di nuovo qua.