Tirannosauro
Clamoroso. Mirko Colonna oggi ha scoperto una cosa incredibile, una cosa che non si sarebbe aspettato mai. Come uno che va all’Esselunga, scava tra i surgelati per trovare i ghiaccioli e invece ci trova la città perduta di Atlantide.
Ecco, Mirko oggi ha scoperto una cosa così. Anzi, la sta scoprendo proprio adesso, mentre suda e strizza il manubrio su questa salita assassina. Ha scoperto che a lui gli piace vincere, gli piace pedalare forte e lasciarsi dietro tutti e tutto, e ha deciso che da oggi non perderà mai più.
Fa di sì supercarico, abbassa gli occhi alle gambe e per la prima volta si accorge di questi muscoli pazzeschi che gli sono nati sulle cosce. Sono tutte bitorzolute e durissime, non sembrano nemmeno più le sue gambe, infatti loro spingono e spingono ma Mirko non sente nessuna fatica. Torna con lo sguardo alla strada, si alza sui pedali e taglia un altro tornante cieco. E chissenefrega se da lassù magari scende un’auto o un camion a tutta velocità: Mirko è un missile lanciato verso la cima e niente lo può fermare.
Stamani però questa cosa non la sapeva ancora, stamani era solo uno che aveva perso una corsa e non voleva andare a scuola, alla fine c’è andato solo perché sennò Fiorenzo ce lo mandava a calci nel culo.
Come al solito è arrivato in bicicletta e come al solito l’ha legata con la catena nell’angolo più sperso del cortile. Però questa mattina c’era qualcosa di diverso: non aveva lo zaino coi libri, non si lavava i denti da una vita e aveva passato la notte in mezzo a miliardi di vermi che grattavano nel buio. Ma soprattutto stamani c’era tutta la scuola radunata nel piazzale a guardarlo.
Stavano zitti e lo fissavano, poi un suo compagno ha cominciato a ridere, un altro ha applaudito e allora si è scatenato il temporale degli Scemo e Fai cacare e Sei un coglione, e tutti giù a dire che era uno sfigato e aveva finito la droga per correre e doveva tornare affanculo a casa sua.
Volentierissimo stava per rispondere Mirko, e lì per lì lo pensava veramente. Ma non aveva voglia di rispondere a nessuno, e nessuno voleva ascoltarlo. Volevano solo urlargli le peggio offese nell’orecchio e dargli qualche schiaffetto dietro al collo, mentre avanzava chiedendo permesso fino all’entrata della scuola. Ogni tanto sentiva pure qualche goccia sulla faccia, ma forse non erano sputi veri, forse erano solo sputacchi che partivano da soli in tutta quell’urleria.
Poi finalmente è arrivato agli scalini, ha passato il portone e l’odore di gomma del pavimento l’ha fatto sentire in salvo. Solo che il corridoio lì davanti era pieno di altri ragazzi più piccoli, che stavano già dentro ma ci tenevano a trattarlo male come quelli fuori, quelli fuori che intanto entravano e non avevano nessuna voglia di cedere il turno. Le offese e gli schiaffetti raddoppiavano, il rimbombo tra i muri dell’ingresso li moltiplicava e glieli ributtava tutti addosso da ogni direzione tipo pioggia di meteoriti, e allora Mirko non ce l’ha fatta più. Cos’ha fatto lui di male? Invece di dirgli Scemo e Drogato e di fargli il gesto della siringa nel braccio, perché non gli spiegano cos’ha fatto di male? Si è girato di scatto verso il portone, ha abbassato la testa, si è tuffato contro al muro di corpi e in qualche modo è riuscito a passare. Si è ritrovato di nuovo fuori, è sceso veloce nel cortile e fino alla bici, la sua bici, l’ha slegata e c’è saltato sopra al volo. E quando la folla è arrivata al cancello per vedere se poteva ancora tirargli qualcosa, Mirko Colonna già spariva come una fucilata in fondo allo stradone.
Pedalava forte, sempre più forte, sempre più lontano dagli urli le risate la saliva velenosa. Cos’ha fatto lui di male? Ha perso, ok, ma tutti perdono sempre, lui non può nemmeno una volta? No, non può, lui è un campione e la gente lo massacra un campione che perde. Perché allora vuol dire che non sei questo dio, allora vuol dire che fai schifo, allora sei uguale a loro.
E Mirko non è uguale a nessuno, non sa se è un bene o un male, ma è così.
Pesta sui pedali, si piega sul telaio per filare al massimo, arriva in fondo alla strada e si butta nella rotonda gigante prima del centro. Vorrebbe tornare al negozio di pesca, magari rimettersi a letto o raccontare tutto a Fiorenzo, ma adesso Mirko non può smettere di pedalare: c’è questa rabbia assurda che sale e sale e gli gonfia i muscoli e i polmoni, se non la sfoga tutta va a finire che gli scoppia qualcosa dentro e muore. Ci pensa e pedala, si guarda le cosce e pedala, e intanto sta già al quinto giro della rotonda. Sempre più veloce, tipo una giostra impazzita, le gomme cominciano a slittare sull’asfalto e se continua così tra poco schizza via e lo ritrovano tutto rotto sul tetto di qualche magazzino qui intorno. Allora punta la prima uscita che incontra, è stretta e non c’è nemmeno scritto dove porta, e questo gli sembra il posto giusto dove andare. Si piega da quella parte e ci si butta fregandosene del traffico e dei clacson che gli suonano da dietro.
Tempo dieci secondi e Mirko sta nel nulla, solo il fosso lungo la via, mucchi sparsi di terra nera e laggiù in fondo un grosso dente scuro e cariato che è il Colle di San Cataldo, detto il Piccolo Stelvio. Una volta sul colle c’erano delle cave di qualcosa, ci sono ancora i cartelli lungo la strada, però quel qualcosa deve essere finito perché ora sul San Cataldo ci vanno solo i cacciatori di frodo, le persone a fare l’amore e i cicloamatori la domenica a sfidarsi e a vomitare per lo sforzo. E adesso ci sta andando Mirko Colonna, che vuole saltare al collo della salita e sbranarla viva.
Spinge sui pedali e manda una mano tra le gambe per mettere il rapporto più duro che c’è. Questa bici ha seimila anni, pesa come un cancello e ha il cambio là sotto, attaccato al telaio. Ci correva il signor Roberto quando aveva la sua età, gliel’ha data come bici da passeggio perché dice che, se si abitua a questa, poi quando monta sulla sua bici vera tutta in carbonio gli sembra di volare. Dice che Bartali faceva uguale, si allenava sulle salite con uno zaino pieno di mattoni sulla schiena, così poi nelle corse – senza mattoni addosso – andava su come una piuma.
Bartali era un signore che correva un milione di anni fa, poi ha smesso e poi alla fine è anche morto, ma per la gente di questi posti Bartali non è mai sceso dalla bicicletta. La gente lo chiamava l’Uomo di Ferro, perché non aveva freddo mai e mai caldo, e non sapeva cos’erano la fame e la sete. Bartali dava dei distacchi così grossi che certe volte, quando arrivava il secondo, lui si era già fatto la doccia e seguiva la corsa in accappatoio. Mirko ha fatto delle gare in provincia di Firenze che c’erano ancora dei tifosi con dei cartelli che dicevano BARTALI VINCI PER NOI, e qualche volta, mentre era tutto solo e andava a vincere tranquillo, gli è venuto in mente che magari dal nulla spuntava Bartali e lo stracciava con uno scatto bruciante. E magari chissà, forse questa cosa poteva anche succedere, fino a oggi. Ma da oggi no. A Mirko gli dispiace per il signor Bartali, ma da oggi non ce n’è più per nessuno.
E finalmente arrivano i primi tornanti del San Cataldo, che sono subito stroncagambe. Mirko scala il rapporto, passa un curvone e vede due cicloamatori là davanti che arrancano e ondeggiano in mezzo alla via. E allora gli succede un’altra cosa strana e nuova, che però il signor Roberto gliela racconta da una vita: Quando vedi gli avversari in difficoltà, quello è il tuo momento Mirko. Devi essere come lo squalo che fiuta il sangue. Devi sentire la fame, ti deve proprio venire l’acquolina in bocca, capito?
No, finora Mirko non l’aveva capito, ma ora sì, cavolo, sì. Sente le gambe che gli frizzano, un sorriso tutto storto sul muso, fissa gli occhi sulle prede e gli arriva addosso di colpo, resta un attimo accanto a loro per godersi il momento, poi si alza sui pedali e parte con una rasoiata che li lascia lì inchiodati all’asfalto.
Una volta io e Gianni si saliva sul San Cataldo e a un certo punto c’è passato accanto Mirko Colonna in persona, vestito normale con una bicicletta normale racconteranno un giorno quei due per fare i furbi. Oh, giuro, andava come una moto.
Già, esatto, come una moto. Perché la gente pensa che la differenza tra una bici e una moto è che la bici non ha il motore, ma Mirko adesso capisce che è una scemenza: la bici il motore ce l’ha, e sei proprio tu. Il tuo cuore che manda il sangue in giro per le vene, le gambe che mulinano veloci, la catena che balla tra il pignone e la corona, il soffio dei raggi che frullano leggeri nell’aria. Un sacco di movimenti pieni e rotondi che si incontrano e si mescolano e alla fine diventano una cosa sola, forte, veloce e silenziosa. Il motore più fantastico che ci sia.
Mirko continua a pestare sui pedali con la stessa potenza di quando è partito da scuola, ma la benzina che lo spinge non è più la stessa. Prima era rabbia pura, ogni pedalata era un calcio nella testa di quei maledetti a scuola. Adesso invece è una forza tutta nuova, che se ne frega di quel che è successo. Adesso non sta più scappando da qualcosa, adesso corre verso qualcos’altro.
Suda, sputa, si asciuga gli occhi col dorso della mano, vede la cima del monte che si avvicina e però sente anche il respiro che si accorcia, i polmoni bruciano e il cuore batte forte nei timpani per bussare al cervello e dirgli Oh, scemo, ferma subito tutto perché qua sennò finisce male... Sì, proprio così, per la prima volta in vita sua Mirko Colonna sente che sta dando tutto quel che ha: dopo tanti allenamenti durissimi e corse importanti, qua da solo su una salita senza traguardi sponsorizzati e giurie in automobile, finalmente Mirko Colonna sta vincendo.
Perché finora non aveva vinto mai, finora era solo arrivato primo. Adesso invece trionfa e vuole continuare per sempre così, vuole stracciare tutti i record e leggere il suo nome scritto con la vernice sulle strade di tutto il mondo. Vuole anche un soprannome, uno tosto come quelli dei campionissimi. Come il Cannibale, El Diablo e il Pirata. Però a lui gli piacerebbe essere chiamato il Tirannosauro.
Si alza ancora sui pedali, suda e ride, sputa e ride. Il cervello e i muscoli e ogni pezzetto del suo corpo gli dicono Basta, ti prego, perché ci tratti così? E allora lui spinge ancora più forte per fargli capire chi comanda. Vuole arrivare in cima al San Cataldo e vedere se da lassù Muglione è un po’ meno brutta, ma la guarderà solo un secondo e senza mettere il piede a terra, perché appena arrivato in vetta il Tirannosauro piazzerà il rapporto lungo e si tufferà di nuovo in discesa tutto schiacciato sul telaio, verso un’altra pianura e un’altra montagna all’orizzonte e avanti così, senza fermarsi mai.
Sì, fantastico, una corsa senza fine. Una volta Mirko ha letto che gli uomini primitivi all’inizio erano nomadi, giravano e giravano sempre, poi hanno imparato a coltivare la terra e allora si sono fermati in un posto e non si sono mossi più. E lui non lo sa se è vero o se è una di quelle scemenze che si scrivono sui libri, ma una cosa è sicura: se invece dell’agricoltura l’uomo primitivo avesse inventato la bicicletta, ci sarebbe saltato sopra con la clava a tracolla e avrebbe attraversato di corsa tutta la storia del mondo senza fermarsi mai.