Io ci metterei un uncino

 

Allora, io quegli occhi e quella faccia non me li scorderò mai.

Pensavo di non scordarmi mai il bacio con la lingua e le mani addosso e tutto il resto, ma già adesso non so più dove sta. Forse nel cesso della memoria, piegato dietro la porta a vomitare. Ora davanti a me ho solo gli occhi di Tiziana quando le ho fatto vedere il braccio destro senza la mano in fondo.

Lì per lì ho pensato che stava per urlare, poi tutto il viso si è tirato in una smorfia terrificante, come nei film horror quando si capisce che la ragazza più bella in realtà è un demone, c’è un lampo fuori dalla finestra (perché negli horror è sempre brutto tempo) e si vede la sua faccia che diventa mostruosa. Ecco, più o meno è andata così. E come in un film horror, a quel punto io sono scappato. Ma la differenza è che Tiziana non mi ha inseguito.

Perché questa è la realtà, e nella realtà Tiziana ha visto il mio braccio senza mano e l’ultima cosa che vuole è rivedermi un’altra volta. È questo che intendo quando dico che i film dell’orrore in fondo sono meno horror della realtà. Ma tutti mi dicono che sono scemo.

E quando me lo dicono non mi offendo, perché hanno ragione, io sono scemo. Lo dimostra questa grande idea di tirare fuori il braccio così all’improvviso.

Oh, che imbarazzo Tiziana, hai sputato per strada e uno ti ha vista? Oddio che cosa tremenda, mi dispiace tanto. Pensa, a me mi è andata meglio: ho solo un polso senza nulla attaccato, guarda, divertente no? E ora che si fa, facciamo l’amore?

Sì, mi sa che il piano era questo. Geniale. E allora me lo merito se Tiziana mi ha guardato così. Con quegli occhi che non me li posso levare dalla testa, nemmeno adesso che cammino rapido verso il negozio, verso lo stanzino delle esche vive. Quello è il posto giusto per me, insieme ai vermi, e io invece insisto a uscire fra la gente.

Monco, Manina, Braccino sono i nomi che mi ci chiamavano a quattordici anni. Li risento tutti adesso, mentre cammino veloce per la strada. Ma non è che li ricordo nella testa, non sono voci fantasma dal passato. No, mi ci stanno chiamando veramente. Mi guardo intorno e scopro che sto passando davanti alla sala giochi, proprio da quella parte della strada. È una cosa che non faccio mai, perché vuol dire andarsele a cercare. Gli abitanti della sala giochi mi vedono passare e quasi non ci credono, si ammassano tra la porta e il marciapiede e appunto urlano: «Monco, Manina, Braccino!», «Oh, ti serve aiuto, ti posso dare una mano?», «Ma è vero che il tuo cartone preferito è Braccio di Ferro?». E altre scemenze del genere, che fanno ridere solo loro e qualche organismo unicellulare.

E allora basta, oggi è chiaro che come mi muovo sbaglio. Meglio che torno al negozio e mi ci chiudo dentro, è mezzogiorno ma per oggi sono servito così.

  Apro la porta, c’è il babbo con un cliente che sceglie dei galleggianti. Li alza e li guarda controluce, come se fosse roba trasparente che ci puoi vedere attraverso. Il babbo mi saluta, io gli faccio segno che vado di là nello stanzino, in camera mia. Devo stare solo, e di là non ci sono finestre e non c’è luce, c’è soltanto il rumore dei vermi che brulicano e si agitano e si strusciano fra loro e in questo momento è tutto quello che mi serve. Va bene così.

Lui mi dice: «Aspetta, c’è...».

Ma non aspetto niente, faccio di no col dito e punto dritto di là. Apro la porta a soffietto e entro. E sulla mia brandina c’è seduto il Campioncino. Che si prende una scossa e scatta in piedi. È vestito da ciclista, coi pantaloncini, la maglietta della squadra e pure il casco in testa e le scarpette con gli attacchi.

«Che cazzo fai.»

«Nulla, io... nulla Signore.»

«Mi vuoi fregare anche questo stanzino?»

«No, io non...»

«Ma sei sempre in mezzo ai coglioni! Com’è che non sei a scuola?»

«Sono uscito un’ora prima perché c’ho l’allenamento lungo.»

«Ah, comodo, il signorino deve andare in bici e allora salta le lezioni.»

«Io sinceramente preferivo stare a scuola, non mi piace uscire prima per...»

«Ma basta lamentarti, basta! Sempre a dire Che schifo la bici, che schifo vincere, e non posso parlare con le ragazze, e non posso prendere un gelato... ma allora se ti fa così schifo falla finita, no?»

Il Campioncino alza la testa sotto il casco e mi guarda strano, tutto contento: «Ma allora, Signore, li ha letti i temi!».

«No! Che palle, ho detto di no, non li leggo i tuoi cazzo di temi! Sparisci, vai a allenarti e non ti lamentare più! Perché se questa cosa non ti piace è tanto facile smettere. Vuoi sapere come? Facilissimo. Domenica c’è un’altra corsa, giusto? Ecco, e allora perdila. Perdi oggi, perdi domani, stai sicuro che il babbo ti rispedisce a casa in un attimo! Perdi, cazzo, che ci vuole? Perdere è la cosa più facile del mondo!»

«Ma io non... non so se posso.»

«Non sai se puoi? Ma cosa cazzo dici, lo vedi che mi fai incazzare!», sento questa cosa dentro che monta, ma non mi sembra rabbia. Frigge in un modo diverso. «Te hai la fortuna che puoi fare tutto quello che ti pare, scemo, ma invece ti lamenti e basta! E allora dimmi una cosa...», mi fermo un attimo, poi decido che vado avanti perché tanto ormai la giornata è rotta. Alzo il braccio destro e glielo metto davanti agli occhi. «Dimmi un po’, Campione, te che ti lamenti tanto, cosa faresti se fossi messo come me?»

«Io?»

«Sì, dimmelo, cosa faresti!»

«Io, Signore, ci metterei un uncino.»

Giuro che dice così, e serio anche. Eppure non riesco a dargli un cazzotto nel naso. Forse perché è minorenne. O forse perché questa idea di metterci l’uncino ce l’avevo anch’io. La prima volta che ho parlato della cosa, dopo l’incidente, ho chiesto proprio così Ma almeno ce lo posso mettere un uncino? E i dottori hanno riso, un po’.

Abbasso il braccio, mi scosto. «Ora sparisci bimbo, oggi sono incazzato, ci mancavi solo te.»

«Mi dispiace se è una giornata non tanto bella Signore.»

«Sparisci. E vinci o perdi o fai quello che ti pare, a me non me ne frega niente.» Il bimbo mi lascia i temi sul letto, prende il borsone e fa per uscire.

«Signore, quelli in cima sono due temi nuovi nuovi.»

«Non li leggo i tuoi temi, come te lo devo dire, non-li-leggooo

Sto ancora urlando mentre esce di corsa, chiude la porta a soffietto e addio. E io rimango solo. Al buio tra le esche vive.

Il resto della giornata lo voglio passare qui dentro. Coi vermi, con gli scatoloni, coi temi del Campioncino. E con gli occhi che ha fatto Tiziana, che non me li scorderò mai nella vita.