Trent’anni, pazzesco

 

Sono passati dieci anni. Dieci, porca puttana, e mi sembra un secondo. Ho chiuso gli occhi un attimo e bum, ho trent’anni. Trent’anni, io, pazzesco.

Fino a venti mi sono durati un’eternità, potevo dirti la cosa più bella che mi era capitata nell’estate dei sedici, o qual era il mio gruppo preferito nell’autunno dei diciassette, poi ho finito il liceo e è stato un lampo. Quando ne ho compiuti ventisette, per un attimo mi è venuto il dubbio che erano ventotto. Poteva essere, che differenza c’era? Ho dovuto fare il conto. Giuro.

Ma stavolta è stato più facile perché sono arrivato a trenta, cifra piena. Sono un trentenne, lo dico e mi sento strano, però è così. Sono un uomo di trent’anni.

E sono felice? Non lo so. Ci sono le persone felici e le persone tristi, e poi ci sono le persone vere, che a volte sono felici e a volte tristi. Ma adesso sono felice, perché stasera qua a Muglione ci sarà una grande festa e siamo tutti pronti a salutare Mirko, che ieri è diventato campione del mondo.

A Stoccarda, dopo 270 chilometri di corsa. A 10 dall’arrivo si era formato un gruppetto con dentro i migliori, solo che fra questi migliori c’era il migliore, lui, e appena la strada ha cominciato a salire Mirko è scattato sui pedali e se n’è andato alla sua maniera, con quella progressione bruciante, senza mai voltarsi indietro (per non umiliare gli altri, mi ha detto). A ogni pedalata il vantaggio cresceva e il pubblico impazziva e io devastavo il mio divano a forza di calci. Adesso il piede mi fa malissimo, ma va bene così. Campione del mondo.

L’hanno intervistato subito dopo la corsa, aveva l’affanno e il casco messo storto sulla testa. Ha salutato sua moglie, che è spagnola, suo figlio Ignacio e poi anche me. E quando gli hanno chiesto come fa a essere così forte, Mirko ha risposto Ho imparato a vincere quando mi hanno insegnato a perdere. In un attimo questa frase è rimbalzata in tutto il pianeta, ma mi sa che l’ho capita solo io.

E chissà se Tiziana l’ha guardata, la corsa. In fondo era in Germania, dove vive lei. Ci siamo rivisti due anni fa, o erano tre. A Natale. Era tornata per salutare i suoi e aveva un marito tedesco, biondo ma meno alto di un tedesco come me lo aspetto io, e una bimba molto bionda che secondo me diventerà più alta del babbo.

Ci siamo salutati e ci siamo dati due baci sulla guancia, e per tutto il tempo ho tenuto il braccio in tasca. Ma solo perché a volte i bimbi si impressionano quando vedono che mi manca una mano. Ci siamo detti che prima del rientro in Germania dovevamo prendere un caffè insieme, magari alla rosticceria il Fagiano. Abbiamo riso e ci siamo augurati buon Natale e non ci siamo visti più.

Anche perché in quel periodo io mi vedevo con Marta, una ragazza di Parma che faceva l’archeologa e lavorava per l’università di Pisa. Era venuta a Muglione per le continue richieste del sindaco, dopo che i lavori per le fognature del nuovo quartiere residenziale, piazzato accanto alla ex zona industriale e ormai noto come Muglione 2, avevano riportato alla luce strutture in legno che potevano essere navi romane o fenicie affondate chissà come nell’entroterra pisano.

Si trattava in realtà degli scarti di qualche cantiere smaltiti illegalmente: a Marta e ai suoi colleghi c’è voluto poco per capirlo. Ma c’è voluto anche meno per capire che tra noi non poteva durare, infatti dopo due settimane ci siamo lasciati. Potrei dire che l’incontro con Tiziana mi aveva rivelato che c’era ancora lei nel mio cuore, che aveva le rughe e sembrava mia zia ma in fondo i suoi occhi mi stregavano ancora. Solo che non è molto vero. È più vero che Marta era sposata con un suo collega, che si trovava in Turchia e stava per tornare, e allora la nostra storia è finita insieme al sogno romano o fenicio di Muglione.

Ma va bene così, è finita con Marta e l’anno dopo è finita con un’altra ragazza, che per caso si chiamava Marta anche lei e lavorava al negozio di ottica giù in centro. È strano, ma la prima volta che finisce una storia ti sembra che il mondo finisce insieme a lei: niente ha più senso, puoi morire in un incendio e stare lì seduto tra le fiamme e pensare che è giusto così. Poi finisce una seconda storia e ci soffri uguale, ma qualche giorno meno. Poi la terza, la quarta, e alla fine ti abitui. Cioè, non è che non soffri più, ma ti abitui a soffrire.

E forse aveva ragione Mazinga, l’ultima volta che l’ho visto. Sono andato a trovarlo, l’avevano dimesso dall’ospedale per farlo morire nel suo letto. Stava in pigiama, mi guardava e sorrideva, e io ho pensato che era la prima volta che lo vedevo vestito da persona della sua età. Forse è per questo che mi sembrava così vecchio. Non parlava perché non aveva tanto fiato, e io per dire qualcosa gli ho chiesto se era una rottura mettersi quella macchinetta al collo ogni volta che voleva parlare. Lui l’ha presa, se l’è accostata alla gola e mi ha detto NELLA – VITA – TI – ABITUI – A – TUTTO – FIORENZINO – ALLE – ROBE – BELLE – E – A – QUELLE – BRUTTE – E – QUESTA – È – UNA – FREGATURA – IN – TUTTI – E – DUE – I – CASI.

L’ho capita, non l’ho capita, boh. Però questa cosa che ti abitui a tutto è vera.

Mi sono anche abituato all’idea che i Metal Devastation non devasteranno mai il mondo e nemmeno l’Italia e nemmeno questo paesino maledetto. Però suoniamo ancora, cazzo, e siamo sempre più tosti. Una volta la settimana suoniamo e spacchiamo tutto. Abbiamo trovato pure un chitarrista, Federico, che è il compagno di Stefanino. All’inizio dovevano tenere segreta la loro storia perché Stefano intanto era diventato responsabile dell’immagine del papa e passava un sacco di tempo in Vaticano. Un giorno però si è rotto e ha detto Io quando vengo quaggiù voglio venirci col mio fidanzato, se non vi va bene licenziatemi, mi trovo subito un dittatore in Asia che mi dà il doppio di voi. E allora la cosa è venuta fuori anche qua in paese, ma non ha fatto rumore perché tutti l’avevano capito da una vita che a Stefanino gli garbavano i maschi. L’avevano capito tutti tranne me e Giuliano.

Giuliano all’inizio ha fatto qualche battuta e qualche smorfia, poi però ha sentito come suona Federico e non ha detto altro. Almeno fino al giorno che Federico ha proposto di aggiungere un po’ di tastiere per fare atmosfera. Giuliano l’ha spettinato con una sfilza di offese al Signore e di tastiere non si è parlato più.

E stasera, appunto, i Metal Devastation suonano alla festa per Mirko campione del mondo. Il sindaco aveva detto assolutamente no, l’assessore alla Cultura e Turismo (o anche assessore al Culturismo) aveva detto assolutamente no. Poi Mirko ha chiamato per dire che se non c’eravamo noi non c’era nemmeno lui, e allora suoniamo.

E Mirko ha detto pure che vuole rimanere qualche giorno qua. Magari non subito, che c’è il casino delle interviste e degli inviti in tv, ma una settimana a Muglione se la vuole fare presto. Vive a Siviglia adesso, ma si è comprato una casa qui. Io gli ho detto che è scemo, cosa cazzo ci fa con una casa a Muglione? Lui mi ha spiegato che il valore immobiliare è così basso che una casa a Muglione costa meno di una roulotte. E poi almeno può venire a trovarmi.

Anche se il babbo racconta che viene a trovare lui. Il babbo, che l’ha allenato e portato al successo fino alla categoria Under 23, e adesso è una specie di profeta del ciclismo giovanile. Le squadre professionistiche lo chiamano per sapere i nomi nuovi da seguire e tiene pure una rubrica su “Bicisport” che si chiama Voi di ciclismo non capite nulla, dove ogni mese se la prende con qualcuno.

Ha smesso di bere, o almeno sa nascondere bene le bottiglie quando vado a trovarlo. Perché io a casa non ci sono più tornato. Sono rimasto nello stanzino e piano piano me lo sono aggiustato sempre meglio, finché non è arrivato un megacondono e mi sono fatto un appartamento proprio sopra al negozio, così la mattina mi sveglio e in due minuti sono a lavoro. E spesso trovo già la gente fuori che mi aspetta.

Perché magari con l’heavy metal non ho fatto strada, ma con la pesca sì. Sta per uscire il nuovo dvd della mia serie dedicata ai posti di pesca meno prestigiosi del mondo. Ho già fatto quelli sui fossi di Muglione, le paludi della Toscana del Sud e gli scolmatori dell’Arno, e la gente li compra.

Io li volevo intitolare Riscopri la tua acqua, ma hanno scelto Fiorenzo ti dà una mano, che come titolo è di cattivo gusto, lo so, ma che ci posso fare. Dentro spiego come realizzare montature semplici ed efficaci, come provare grandi emozioni nello stagno dietro casa, come sopravvivere ai morsi di topi e zecche e altra roba così.

  E pure in questo momento sono a pesca, sul fosso appunto, e mi sembra che non vorrei essere da nessun’altra parte.

Anche perché tra poco arriva Silvia. Non è che abbiamo un appuntamento, ma in un certo senso sì. È quasi un mese che è tornata a Muglione e ogni giorno alla stessa ora viene qua insieme a Diletta.

Diletta ha quattro anni, parla milanese e mi chiama Fioretto, come sua mamma quando eravamo ragazzini. Fino all’estate della terza media, fino al pomeriggio che stavamo qua sul fosso e abbiamo giocato a morra cinese per decidere chi lanciava la bomba e ho vinto io e subito dopo ho perso la mano.

E mi sa che la vita è proprio questa cosa qua, un fiume di roba che ti arriva addosso tutta insieme, un po’ la prendi e un po’ la perdi e un po’ nemmeno ti accorgi che è passata, e magari era proprio quella lì che faceva al caso tuo. Ma non lo puoi sapere e nemmeno starci troppo a pensare, perché stai ancora in mezzo al fiume e la roba arriva e passa e va.

Oppure la vita non è un fiume, magari la vita è un fosso, e allora il discorso è parecchio diverso. Perché un fiume scorre e alla fine arriva al mare, invece un fosso non va da nessuna parte. Resta dritto così senza una meta e al massimo può sperare di incrociare altri fossi e confondersi con loro per un po’. E se c’è un senso in tutta quest’acqua che si sposta, io non lo so. So solo che ci sto volentieri, soprattutto se posso buttarci dentro un’esca e pescare.

E da un mese a questa parte ci sto ancora meglio. Quando prendo un pesce Diletta saltella e si avvicina, lo carezza appena sulla testa, si pulisce il dito alla maglietta e gli dice Sei fortunato pesciolino, ma la prossima volta stai più attento, poi mi fa un cenno e lo lascio tornare nell’acqua scura, il pesce dà un colpo di coda e ci sparisce subito sotto.

Ieri però la bimba non c’era, Silvia è venuta da sola, è rimasta almeno un’ora e abbiamo parlato di un sacco di cose. Ha i capelli nerissimi come una volta, ma adesso sono più lisci e le arrivano appena sulle spalle. E fuma. Per la prima volta dopo un mese non è rimasta tutto il tempo in piedi, a un certo punto si è seduta qua vicina a me, molto vicina, e parlava con gli occhi mezzi chiusi per il sole.

Dice che all’inizio ha tenuto le finestre di casa spalancate giorno e notte per mandare via un puzzo di muffa spaventoso, poi ha capito che non era colpa della casa, è proprio Muglione che odora così.

Io ho respirato forte e le ho detto che questo è un posto troppo brutto per una ragazza così bella. Lei ha risposto solo dopo un po’ e mi ha detto Qui c’è un silenzio troppo bello per una cazzata così grossa. Abbiamo riso, poi siamo rimasti zitti, e il mio braccio che reggeva la canna era prontissimo a scattare in caso di abboccata, ma anche a sentire la sua mano che ci si posava sopra. Ci sono cose che sono proprio giuste, cose che semplicemente devono succedere per quanto sono belle, anche se poi non succedono. Ma non c’è problema, perché magari succedono domani, o il giorno dopo domani o quando gli pare a loro.

Intanto sorrido e tengo gli occhi al galleggiante immobile nell’acqua, che è piatta e ferma ma lo sento che non resterà così molto a lungo. Recupero il filo, controllo l’esca, è un verme bello grasso e succoso che secondo me è quasi contento di stare infilzato a un amo nella melma in fondo al fosso. Allora lo rilancio preciso nel punto che voglio.

Perché quando decidi di pescare, l’esca è importante. Non puoi stare senza niente all’amo e aspettare, qualcosa devi mettere in gioco, sennò non ha senso giocare.

E non è vero che tanto non capita mai nulla.

Insomma, guarda questo posto: è un buco, sì, eppure qui un giorno è arrivata dalla Germania una donna bellissima, che all’inizio mi voleva strigliare per una poesia di D’Annunzio spiegata male, e invece alla fine abbiamo fatto l’amore.

Eppure qui è sbocciato Mirko Colonna, nuovo campione del mondo e vincitore di tre Giri d’Italia e due Tour de France.

Eppure qui suona una band fortissima, che solo un destino assurdo e una nazione musicalmente analfabeta hanno tenuto in cantina.

Eppure qui ci vive una specie di mostro acquatico incredibile, un bestione nero e zitto che può restare nascosto per anni e anni ma una volta ogni tanto, quando gli pare, di colpo sale dal fondo e ti passa davanti.

E in quel momento devi farti trovare pronto sul fosso con l’esca giusta, così lui abbocca e ti spacca tutto e ti lascia sul poggio senza fiato. E ti insegna che puoi conoscere tutte le teorie e le tecniche del mondo, ma ogni tanto nella vita arriva qualcosa di enorme che ti salta addosso e tutte le cose che sai non hanno più senso, puoi solo restare col culo per terra a guardare l’acqua che impazzisce e le rane che scappano e tutto il casino e gli schizzi e le onde.

Poi piano l’acqua si calma, le rane riprendono la loro canzone, e torniamo tutti qui a galleggiare.