E adesso cosa succede?

 

Come sono tornato al negozio, giuro non lo so. A piedi, a nuoto, ho trovato delle catacombe misteriose che tagliano il sottosuolo di Muglione, tutto può essere.

Chiudo la serranda. Mi gira la testa, mi appoggio all’espositore delle canne, provo a respirare.

Il negozio era chiuso, il babbo è andato a casa a mangiare e ha lasciato le chiavi nel posto segreto, cioè sotto la conca dei fiori qua davanti. Ma adesso per ricordarmelo mi c’è voluto un quarto d’ora. Non capivo nemmeno cosa cercavo, cosa volevo fare...

Porca puttana che bacio. Se respiro forte sento ancora l’odore. Non so di cosa, non è profumo, forse è saliva, forse è una roba che la donna dell’Informagiovani si mette sulle labbra. Quelle labbra. Addosso a me. Ecco com’è un bacio. Un bacio vero. È una cosa forte, ma non saprei se è anche bella, non lo so ancora, mi sa che domani lo posso dire meglio. Tanto non corro il rischio di scordarmelo, praticamente non ho altro nella testa.

Ho anche telefonato a Stefanino. Lo dovevo dire a qualcuno.

«Ma chi era!»

«Era una.»

«Ma una chi!»

«Non la conosci. Non la conosco nemmeno io.»

«E quanto ha voluto.»

«Non l’ho pagata, non era una puttana!»

«Pazzesco. E che hai sentito?»

«Boh, non lo so. La lingua di un’altra persona. La muoveva un sacco.»

«E te?»

«E io cosa.»

«E te che hai fatto.»

«Io nulla.»

«Capito. Ma coi corpi vi toccavate?»

«Sì, il davanti suo era appiccicato al davanti mio.»

«E che hai sentito?»

«Non lo so, tutto.»

«Le tette?»

Stefanino me l’ha chiesto, e solo in quel momento ho realizzato che sì, è proprio così, ho sentito le tette. Mi si schiacciavano sul petto.

«E com’erano?»

«Belle.»

«Ma a sentirle, come sono le tette? Sono dure o morbide?»

Ci penso un attimo. Ci penso due attimi. «Mi sa che sono dure e morbide insieme.»

«Cavolo.»

«Eh sì.»

«Cavolo, sono contento per te. E ora?»

«Ora cosa.»

«Cioè, è una di qui?»

«Sì.»

«Ecco, e allora dico, cioè, adesso cosa succede?»

«Non lo so, in che senso.»

«Cioè, ok, un bacio con la lingua, molto bello. Però dico, non è mica finita così, no?»

Silenzio. Io faccio di sì con la testa, anche se sono al telefono. Tanto lo so che Stefanino di là mi può vedere lo stesso, in qualche modo. Non ci diciamo nulla per un minuto, poi ci rimandiamo a stasera. Ok. Ciao. Ciao.

  Stefanino ha ragione, e adesso cosa succede? Non lo so. Non ci ho pensato e non ci posso pensare. Perché io non sono qui, proprio per niente. Io ho ancora la lingua della donna dell’Informagiovani che mi gira nella bocca e nella testa, e per un po’ mi sa che le cose resteranno così.

Tiziana, si chiama Tiziana. La donna che ho baciato. Cioè, più che altro mi ha baciato lei, ma il senso è quello. E non era un bacio normale, era roba super. Ok, era il mio primo bacio con la lingua e allora non posso parlare troppo, ma secondo me per capire certe cose non ti serve l’esperienza. Cioè, a Hiroshima non le avevano mai viste le bombe nucleari, ma sotto al fungo atomico secondo me l’hanno capito lo stesso che era roba grossa.

Un bacio clamoroso, con la sua lingua che girava e scavava, e le mani che mi strusciavano i fianchi e la schiena. E io quel bacio me lo sono preso tutto senza fare niente di niente. Cosa potevo fare? Cosa so fare? Nulla, di queste cose io non so fare nulla, e infatti non l’ho nemmeno toccata, nemmeno le ho appoggiato la mano sul fianco.

Tenevo il braccio sinistro paralizzato lungo la gamba, e quello destro sempre infilato nella tasca dei calzoni. Sì, lo potevo togliere da lì, ma mi sa che non era il momento giusto. Di solito le persone si imbarazzano appena scoprono che hai una mano sola, e se lo scoprono mentre ti infilano la lingua in bocca mi sa che è pure peggio. Quindi il braccio l’ho tenuto in tasca tutto il tempo, per quel minuto o quell’ora che lei mi ha scavato in bocca con la lingua, e anche dopo, quando mi ha spinto via, e ha respirato due volte con un rumore di gola e gli occhi sbarrati che mi fissavano all’altezza del petto e mai più su.

Ha fatto un passo indietro e ha detto Scusami, e io non ho detto nulla. Lei ha detto Perdonami, e io ho detto Ma di che. Lei ha detto Vai via, per piacere, vai via. E aveva gli occhi così sbarrati che se a quel punto tiravo fuori il braccio dalla tasca, c’era il rischio che si spalancassero anche di più e allora scoppiavano di sicuro.

Ho detto vattene, vai via! E stavolta ha anche alzato la voce. E da quel momento non mi ricordo niente, però in qualche modo sono venuto via. Perché adesso eccomi qui. Nel negozio chiuso. Ora di pranzo. Ma chi se ne frega di mangiare. In bocca ho ancora una lingua che gira.

E in testa un solo pensiero.

Adesso cosa succede?