Un materassino per le carpe

 

Mi fa male lo stomaco. È una settimana che vado avanti coi tramezzini del distributore automatico dell’Agip. Ogni giorno dicevo Quando mi fanno male smetto, quando mi fanno male smetto, ora devo smettere.

Mi servirebbe un fornello da viaggio, di quelli che si usano in campeggio e nelle situazioni di fortuna. E la mia è una situazione di fortuna, o sfortuna, insomma è una di quelle situazioni che un fornello da viaggio ci starebbe bene.

Lo posso piazzare nello stanzino e così mi cucino quello che mi pare. Sono abbastanza bravo a fare da mangiare, mi ha insegnato la mamma quando ero piccolo. Diceva che un uomo deve sapersi preparare la cena, sennò si sposa la prima cretina che passa solo per non morire di fame.

E a queste cose ci sto pensando perché sono le tre e mezzo, mi sono piegato per alzare la serranda del negozio e mi è salito in gola il sapore acido di funghetti e salsa rosa. E allora ho detto Basta distributore automatico, mi devo trovare un fornello. E intanto stasera ceno alla rosticceria.

Ma la prima cosa da fare ora è spazzare qua all’ingresso. Al posto della porta per il momento c’è un cartone fissato col nastro da pacchi, ma le schegge di vetro si sentono ancora un sacco sotto le suole. Vado nello stanzino, prendo la scopa e quando torno trovo Giuliano e Stefanino.

Li aspettavo. Mi hanno detto che gli è venuta un’idea geniale per il gruppo e me la vogliono spiegare di persona. Antonio però non c’è. È dalla notte di Pontedera che non lo sentiamo. Bruttissimo segno.

«Madonna, ma qua dentro è un forno» dice Giuliano. «Come fate voi due a stare così coperti non lo so.» Perché lui ovviamente è con la salopette di jeans e a petto nudo.

Stefano ha una busta in mano, me la allunga senza guardarmi come se fosse una multa e senza guardarmi dice che me la manda il Caccola.

Il Caccola è il prof di italiano, che è abbastanza giovane e vuole che gli diamo del tu, per una questione di parità e uguaglianza. Noi gliel’abbiamo spiegato che comunque lui sta lì alla cattedra e ci interroga e ci dà i voti, quindi non ce ne frega nulla del tu e preferiamo il lei, ma il Caccola ha cominciato un discorso sulle distanze istituzionali e le figure oppressive e allora per farlo stare zitto gli diamo del tu.

Apro la busta e dentro c’è un biglietto.

 

Fiorenzo, stai facendo numerose assenze, non va bene: la maturità è alle porte, devi tornare a scuola.

Non ti manca niente. Hai una mano sola, ma cosa sarà mai? Pensaci, se tu non vedessi gli altri, sentiresti l’esigenza di avere due mani? No, sarebbe normale averne una, così come noi che ne abbiamo due non vogliamo averne tre, riesci a seguirmi?

Quindi ti dico: torna a scuola e non farti questi problemi, non ti manca niente, sei normale come tutti noi. A presto, prof. Augusto

 

Prendo il foglio e lo accartoccio con l’unica mano che ho, lo lancio verso il cesto dove teniamo il pane secco per le pasture e faccio canestro.

Sì, certo, non mi manca niente, sono normale come tutti... sono così normale che non posso avere un motivo normale per stare a casa. Casini col babbo, una band che spacca, affari di sesso con una donna. No, il mio problema deve essere per forza la mano. Che è successo? Mi sta cadendo pure l’altra, oppure mi voglio iscrivere a un liceo speciale per monchi, o magari dopo cinque anni ho abbassato gli occhi per la prima volta e mi sono accorto che gli altri hanno una mano in più?

Povero Caccola, sempre a dirci Ragazzi, io lo so come vi sentite, io vi capisco... e invece non capisce mai un cazzo.

«Che dice il biglietto?» fa Giuliano.

«Le solite cazzate. Ma tanto l’avete già letto da soli.»

Stefanino sbarra gli occhi e guarda da un’altra parte. Giuliano invece fa un rumore di gola che può essere una risata ma anche un rutto. «Sì, infatti» dice, poi si passa le mani sullo stomaco nudo e comincia a girellare per il negozio, col tatuaggio gigante che gli scurisce la schiena.

Se l’è fatto dopo un sogno una notte che aveva la febbre alta, e potrebbe essere una gallina carbonizzata o una sogliola coi capelli, ma Giuliano dice che è uno pterodattilo che sputa fuoco.

Mentre lui si muove per il negozio, lo pterodattilo rimbalza su e giù traballando insieme alla ciccia, e davvero dà l’idea di una cosa viva. Morente, ma viva.

«Però scusa» gli dico, «te non eri quello che si dava tanto da fare per beccare le donne? Mi sa che a petto nudo becchi poco.»

«Ma sei cretino? Le donne ci vanno fuori di testa per queste cose. Sono cose da uomini veri. Ormai si sono rotte le palle di tutti quei froci che si curano la pelle e si mettono il balsamo e si fanno la manicure. Quelli lì a letto non combinano nulla, stanno a parlare di oroscopo e creme per la pelle, le donne non ne possono più.»

«E allora si buttano su quelli trasandati?»

«Bravo Fiorenzino, esatto. Guarda per esempio quella vecchia che ti è saltata addosso a te. Come si spiega?»

«Non è una vecchia.»

«Ok, te lo dico io come si spiega. Sono anni che esce con dei finocchi di mezza età come lei, che fanno tanti discorsi e si vantano del lavoro e la portano nei ristoranti costosi, ma poi alla fine dei conti, a letto, non si muove nulla. E allora lei, disperata, ha detto Mah, proviamo a buttarci su un ragazzino, vediamo un po’ che succede

«Ah, e quindi se ti vedeva prima te, così a petto nudo...»

«Mi saltava subito addosso, è chiaro. Lo capiva al volo che col sottoscritto non ci sono discorsi. Io sono caldo e pronto, la prendo per i fianchi, la metto a testa bassa e comincio a battere il ritmo come un martello... stum stum stum

Giuliano si mette una mano dietro la schiena e l’altra davanti, nel nulla, a tenere ferma una donna immaginaria. E a ogni stum scatta un colpo di bacino che gli fa ballare tutta la ciccia intorno alla cintura.

«Stum stum stum...», sempre più veloce e tutto serio in faccia, suda, mi sa che comincia a crederci veramente. «Stum stum stum, oh sì, zoccola, sì, stum stum stu...»

Si blocca così, a metà colpo, in questa posizione da monta e con gli occhi fissi all’entrata. Mi volto anch’io, ma con una parte del cervello so già chi troverò sulla porta che assiste alla scena.

È chiaro, Tiziana.

Perché secondo me non sarebbe mai venuta a cercarmi, ma se per qualche motivo assurdo decideva di venire, è sicuro che capitava nel momento peggiore. E peggio di adesso, ecco, non lo so.

«Salve» fa Giuliano tutto serio. Si rimette dritto con le mani lungo i fianchi, abbassa gli occhi al pavimento.

«Salve» dice Tiziana. «Disturbo?»

Non so da quanto è qui, ma credo non molto. Anche perché sennò sarebbe scappata.

Invece entra, ha un vestito leggero e senza maniche e sotto al braccio si vede un pezzo di pelle che è la parte alta del fianco ma in un certo senso si potrebbe quasi considerare l’inizio del seno. E mi sembra una cosa splendida, perché è una pelle scura e liscia e di sicuro profumatissima. E però insieme mi sembra anche una cosa un po’ fastidiosa, perché così non la posso vedere solo io ma anche Stefanino e quel maiale di Giuliano, che infatti ha lo sguardo puntato in quella direzione lì. E allora mi fa un po’ rabbia e mi innervosisco e va a finire che sono pure geloso. Esatto, geloso: di una che un giorno mi ha dato un bacio per sbaglio e adesso è venuta a dirmi che sono un monco schifoso e non mi vuole vedere più.

E per sentirmi meno idiota provo a dire qualcosa.

«Ciao.» Non è molto, ma è un inizio.

«Ciao» dice lei. «Scusate, mi sa che ho interrotto qualcosa.»

«No no, figurati. Loro stavano per andare via.»

Stefanino fa di sì e va verso la porta, ma Giuliano non si muove: «Cioè... veramente noi non si andava mica via. C’era da dirti quell’idea geniale...».

«Ecco, vedi, ho interrotto qualcosa, mi spiace, magari ripasso.»

«No, davvero Tiziana, non ti preoccupare, loro vanno a fare un giro e tornano dopo.»

Ma Giuliano non mi ascolta nemmeno. Continua a guardare Tiziana e poi me, poi Tiziana, poi me... e finalmente capisce. Spalanca gli occhi, si mette una mano davanti alla bocca, la indica, mi indica. Praticamente è diventato un mimo, ha pure quell’espressione idiota dei mimi nei loro spettacoli sfigatissimi.

«Giuliano, dài, andiamo» fa Stefanino, e lo prende per il braccio. Giuliano si muove ma senza smettere di guardarci. Inciampa sulla soglia, si gira un’altra volta, poi spariscono tutti e due senza salutare.

  E restiamo soli io e lei nel negozio. Noi e il silenzio, molto silenzio.

«Ciao» ridico. Ha funzionato prima e non vedo perché cambiare.

«Ciao. Mi dispiace davvero se sono venuta in un momento che non...»

«Ma no, figurati, le solite chiacchiere, sai.»

«Non sapevo nemmeno se facevo bene a venire qui, magari lavori e non è il caso.»

«Ma chi se ne frega del lavoro, hai fatto bene, hai... sì.» E altro silenzio.

Tiziana mi guarda e non parla. Ho il braccio destro appoggiato al banco, mi viene da metterlo sotto per un riflesso automatico, ma alla fine lo lascio così.

«Scusa» dico.

«Scusa di che.»

«Non lo so. Dell’ultima volta. E anche di questo posto. Non è il massimo, lo so.»

«Ma no, non è vero. È interessantissimo. Ci sono un sacco di cose che non ho mai visto in vita mia.»

«Esempio?»

«Per esempio quello là, che cos’è?»

«Quale, questo?»

«No, quello sopra. Sembra un minisacco a pelo.»

«Ah, è un materassino per le carpe.»

«Un...?»

«Materassino per le carpe.»

«Mi prendi in giro.»

«Te lo giuro. Guarda, funziona così. Lo apri e lo gonfi, poi quando peschi una carpa ce la sdrai sopra. Senti com’è morbido e liscio? Così il pesce non si ferisce coi sassi e gli stecchi che ci sono per terra.»

«No, mi prendi in giro, dài.»

«Ma no, te lo giuro.»

«Ma che senso ha, scusa, se poi tanto la uccidi.»

«E chi la uccide? Per prima cosa togli l’amo dalla bocca, e intanto la bagni perché sennò soffre lo shock termico, poi prendi il materassino con la carpa sopra e lo posi sull’acqua, prendi la carpa e la rimetti sott’acqua, così lei comincia a respirare. Ma non devi lasciarla perché è ancora stanca dal combattimento. La devi tenere con le mani e muoverla in avanti, così, a piccole spinte. E appena si è ossigenata abbastanza, è lei che se ne va.»

Col braccio faccio il gesto ondulato del pesce che scappa via. Col braccio buono.

«Sei proprio sicuro che non mi prendi in giro, eh?»

«Ho detto che te lo giuro.»

«Io pensavo che i pescatori li mangiassero, i pesci.»

«Ma chi la mangia una carpa! Cioè, si parla di un animale che vive nella melma in un fosso putrido, puzzolente, pieno di concime dei campi e rospi e topi. Ti viene voglia di mangiarlo al forno? A quel punto lo puoi accompagnare con un bel bicchiere di acqua di fogna e sei a posto.»

Tiziana ride, e anche a me mi scappa una risata.

«Che schifo» dice. Tira fuori la lingua e fa: «Bleaaah». Lo faccio anch’io. «Bleaaah.» Sta andando tutto molto molto bene.

Ho fatto un sacco di passi avanti dal “ciao” dell’inizio. Mi sento leggero. Tiziana non è venuta per dirmi che sono stato un bastardo a fare finta di avere due mani, non è nemmeno arrabbiata con me, mi pare, e ridiamo e ci diciamo cose intelligenti e facciamo battute e tutto va per il meglio.

Ma poi arriva Mazinga.

«O – FIORENZINO!» urla a tutto volume.

Ha addosso un giubbottino argentato che sembra di plastica e pantaloni bianchi col cavallo bassissimo. Arriva al banco e mi dà uno schiaffetto al collo, perché adesso che non ci sono i suoi compari è tornato il solito Mazinga. E invece io preferirei la versione fredda e distaccata: Buongiorno, prendo questo, ecco i soldi, la ringrazio e buonasera.

«OH – DISTURBO?» e guarda me, poi Tiziana. Con un sorriso scemo in faccia.

«No no» dice lei. «Buongiorno signor...»

«MAZZANTI – DONATO – PIACERE – DI... ODDIO – SIGNORINA – MA – È – LEI – FUORI – DAL – BAR – NON – LA – RICONOSCEVO.»

«Non è un bar, è un ufficio, ma va bene lo stesso. Buongiorno.»

«HA – VISTO – CHE – SIAMO – SUL – GIORNALE?»

«Cosa? No, non... ma chi?»

«NOI! – SU – “CRONACA – ITALIANA” – IN – COPERTINA... POI – GLIELA – PORTO – AL – BAR – COSÌ – LA – VEDE...»

«O Donato, via, che le do?» dico. «Sennò poi i muggini finiscono.»

«SÌ – SÌ – HAI – RAGIONE – MI – SERVE – UN – PO’ – DI – PASTURA.»

Dice questa parola e tremo. Pastura. Speravo in roba meno truculenta, ma c’era poco da sperare. I pescatori anziani hanno visto un mondo spietato e sanguinolento, non vanno a pesca per rilassarsi. Loro si rilassano già nei giorni normali, quando vanno a pesca vogliono la violenza.

Gli chiedo che tipo di pastura preferisce. Devo chiederlo per forza.

«FORMAGGIO – O – MAIS – È – UGUALE – BASTA – CHE – C’È – TANTO – SANGUE – SANGUE – DI – SARDA – E – SARDE – A – PEZZI – E – SANGUE – DI – BUE – SE – CE – L’HAI.»

Guardo Tiziana un secondo solo, ma mi basta per capire che il materassino salvacarpe è già un ricordo lontano, perso in un passato tenero e delicato che non esiste più.

«C’è anche una pastura nuova» dico. «A base di frutta. Fragola, succo di lampone.»

«COL – SUCCO – DI – LAMPONE – MI – CI – LAVO – LE – PALLE – OH – SCUSI – SIGNORINA – PARDÒN...»

Tiziana sorride, il signor Donato va avanti: «DÀI – FIORENZINO – CHE – SONO – DI – CORSA – SE – VUOI – CHIAMARE – I – PESCI – NON – C’È – NULLA – COME – IL – SANGUE – MARCIO». Si ferma un attimo, guarda Tiziana: «SA – SIGNORINA – MODESTAMENTE – IO – CI – SO – FARE – L’ULTIMA – VOLTA – HO – PRESO – TANTI – DI – QUEI – MUGGINI – CHE – CI – VOLEVA – LA – CARRIOLA – PER – PORTARLI – VIA... NON – SAPEVO – A – CHI – REGALARLI – POI – HO – TROVATO – GINO – CHE – C’HA – I – MAIALI – E – QUELLI – MANGIANO – TUTTO... MA – SE – LA – PROSSIMA – VOLTA – LI – VUOLE – LEI...».

Gli ricordo ancora che sta facendo tardi.

«HAI – RAGIONE – È – TARDISSIMO... ANZI – LA – POSSO – FARE – QUI – LA – PASTURA? – DÀI – FIORENZO – COSÌ – SI – FA – PRIMA – VADO – A – PRENDERE – IL – SECCHIO – TE – TIRA – FUORI – IL – SANGUE.»

Il signor Donato guarda Tiziana, fa una specie di inchino e scappa via.

Lei si volta verso di me, mi guarda, la guardo. Aspetto che vomiti sul pavimento, che mi denunci alla polizia, qualsiasi cosa. Invece le viene da ridere.

«Fiorenzo, io vado, non voglio essere qui quando inizia il massacro.»

«Mi sa che fai bene.»

«E poi devo aprire l’ufficio. O il bar, non mi ricordo più.»

«Vabbè, che differenza fa, te lo apri e poi quello che succede succede.»

«Sì, infatti... ciao.»

«Ciao» dico. Ma Tiziana non se ne va. Mi guarda, guarda fuori. Forse se mi sporgo dal banco mi dà un altro bacio, non lo so, nel dubbio allungo appena il collo verso...

Però lei ricomincia a parlare: «Insomma, Fiorenzo, io ero venuta per dirti una cosa. Cioè, più cose in realtà. Perché l’altra volta non... cioè, così di colpo, non ho avuto il tempo di...».

«ECCOCI!» urla Mazinga dalla porta. Ha preso il secchio e anche un sacchetto di plastica gonfio di roba che gocciola sul pavimento. Tiziana mi guarda e con un piede comincia a scappare. «Ne riparliamo, se ti va.»

«A me sì. Alle sette e mezzo io chiudo, te?»

«Ah, ma dici già stasera?»

«Sì, se ti torna sì.»

«Ok, io... ok, va bene, ci troviamo alle otto?»

«Sì sì» dico. «Alle otto a... facciamo davanti alla rosticceria Il Fagiano, conosci? È appena dopo l’Agip, c’è un’insegna tonda con un fagiano sopra, ce l’hai presente?»

«Sì sì, come no... allora lì davanti alle otto e... ciao.»

«Ciao!» dico, e agito la mano come un bimbo scemo. Non mi serve uno specchio per sapere che ho un’espressione da vero idiota, me la sento proprio sulla faccia.

Tiziana se ne va e io la guardo uscire morbida nella luce, piena di curve nell’aria, una piuma leggera nella brezza. Mentre i colpi sordi sul fondo del secchio mi dicono che il signor Donato ha cominciato a spappolare i pezzi di sarda.

E rimango qua con lui e col sangue di bue e il formaggio puzzolente e le storie su quintali e quintali di muggini forti come cristiani che se non li ammazzi con una bastonata nel capo continuano a saltare fino al giorno dopo.

E intanto mi domando, ma io e Tiziana stasera cosa si fa? Ci incontriamo così, al volo, che lei mi spiega qualcosa e poi ognuno per sé, oppure è una specie di appuntamento? E cosa mi vuole dire, cosa devo fare, e se la serata va avanti dove la porto?

Ma soprattutto, le ho veramente detto che ci troviamo davanti al Fagiano?