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QUANDO ho finito di lavorare erano quasi le sei. Dopo Tina ho avuto altri tre clienti, e ognuno ha tenuto la mia mente occupata in modo diverso. Stewart – la chiamavo per cognome, era scritto sull’uniforme – era un medico dell’esercito e aveva gli occhi più belli che avessi mai visto. Mi ha distratto parlandomi della sua prossima destinazione, di come, con il suo lavoro, potesse essere inviata ovunque nel mondo, essere mandata alle Hawaii, per esempio, significava aver vinto alla lotteria. Era bello vederla così felice.
Tra i militari c’erano persone che amavano spostarsi, e Stewart era una di queste. Aveva solo un anno più di me, ma era già stata in Iraq due volte. E aveva molte storie da raccontare. A ventun’anni aveva avuto esperienze che la maggior parte della gente non si sognerebbe nemmeno. Quando però quelle esperienze si trasformavano in ricordi… be’, cominciavano a girarle continuamente per la testa. Senza mai sbiadire, senza mai placarsi, un rumore di fondo che alla fine diventava permanente; tollerabile, certo, ma sempre presente.
Conoscevo bene il problema. La testa di mio padre era piena di quel clamore. Dopo sei turni in Iraq e Afghanistan, riecheggiava in tutta la nostra casa. In tutta la sua casa.
Riflettevo mentre Stewart era stesa sul lettino. Ero contenta che si aprisse con me, che si sfogasse chiacchierando e attutisse un po’ quel rumore. Sapevo meglio di altri che non era solo il massaggio in sé ad allentare le tensioni, a rivitalizzare il corpo.
Il modo in cui Stewart parlava della sua vita era quasi poetico. Sentivo dentro di me ogni parola mentre si raccontava. Riflettevo su cose che cercavo a tutti i costi di evitare. Stewart mi ha regalato una visione nuova: dopo aver saputo quello che aveva passato e imparato, ho guardato tutto da una prospettiva diversa.
Per esempio, spesso ripeteva che negli Stati Uniti meno dell’otto per cento dei cittadini ha servito nelle forze armate. E con questo si riferiva a tutte le branche e a tutti i veterani che hanno servito anche solo per un periodo. Su trecento milioni e più di persone, meno dell’otto percento. Mi è stato difficile realizzare che il modo in cui sono cresciuta, spostandomi da una base all’altra, cercando di farmi sempre nuovi amici e di adattarmi a sconosciuti ogni pochi anni, non era la realtà per la maggior parte delle altre persone. O, comunque, per la maggior parte degli americani.
Meno dell’otto percento? Una cifra così bassa mi sembrava impossibile. Dal mio bisnonno a mio padre, dai miei zii ai miei cugini sparsi per il Paese (tranne quello sfigato di zio con cui abitava mio fratello), tutti attorno a me portavano l’uniforme o vivevano con qualcuno che la portava. Fino a Stewart e alle sue statistiche, il mondo non mi era mai sembrato così grande.
Parlava molto durante le sedute, come Tina. Ma a differenza sua non si aspettava che raccontassi a mia volta qualcosa. Potevo nascondermi dietro le sue esperienze, molte delle quali mi costringevano a soffocare le lacrime. Forse per questo le sedute con lei passavano tanto in fretta.