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HO scostato la tenda della mia cabina.
«Ti lascio un paio di minuti per svestirti e poi torno.»
Kael è rimasto vicino al lettino con le braccia incrociate al petto. I pantaloni della tuta gli cadevano sui fianchi e la sua pelle splendeva alla luce delle candele. Non ricordavo l’ultima volta che avevo provato altrettanto piacere nell’osservare qualcuno. La cosa mi affascinava. Lui mi affascinava. Non so perché, ma ogni volta che lo guardavo lo trovavo più attraente.
Sono uscita nel corridoio buio e ho fatto un profondo respiro. Mi sono detta che non sarebbe stato strano. Facevo massaggi tutto il giorno, tutti i giorni. Era un cliente normale, uno sconosciuto a dire il vero. Quasi non sapevo chi fosse e inoltre lo avevo già trattato. Ho preso il telefono dalla tasca per vedere se Austin avesse richiamato. Niente. Ho mandato un messaggio a papà. Qualsiasi cosa pur di distrarmi.
Sentivo Mali parlare con suo marito in fondo al corridoio. Stava dicendo qualcosa circa l’opportunità di estendere la promozione del mese sui trattamenti con le pietre calde. Cercava sempre di escogitare nuove promozioni e di pubblicizzare iniziative semigratuite per la loro piccola attività. Era incredibile vedere come continuasse ad avere una clientela costante nonostante ci fossero saloni in quasi tutti gli isolati, all’esterno dei cancelli. In genere chiedevano trenta dollari, alcuni di più, altri di meno. Alcuni erano loschi, altri no.
Sullo schermo è apparso un messaggio di papà.
Austin sta bene. Ora sta dormendo.
Ho cacciato il telefono nella tasca della divisa. Dovevano essere passati due minuti o poco più.
«Posso entrare?» Ho toccato la tenda.
«Sì.»
Era disteso a faccia in giù sul lettino, la testa nel foro, il lenzuolo bianco esattamente all’altezza della vita.
«Ricordi quello che ti è piaciuto e quello che non ti è piaciuto l’ultima volta?» ho chiesto, soprattutto a mio beneficio.
«È stato tutto bello.»
«Okay, allora userò la stessa pressione e poi vedremo come regolarci.»
Ha fatto di sì con la testa.
Ho preso l’asciugamano e ho cominciato. L’asciugamano caldo scorreva facilmente sulle piante dei suoi piedi. Si era di nuovo tenuto addosso i pantaloni, il tessuto nero spuntava dall’orlo del lenzuolo bianco. Stavo per sollevarglieli un po’ per poter passare meglio l’asciugamano sulle caviglie, ma qualcosa mi ha suggerito di non farlo. Teneva i pantaloni per un motivo e, pur ammettendo di morire dalla voglia di sapere quale fosse, non volevo metterlo in imbarazzo né oltrepassare i confini.
Gli ho premuto il pollice nella pianta, sotto le dita del piede, e lui ha lanciato un gemito. Ho allentato la pressione e il suo corpo teso si è rilassato. Ha ruotato la caviglia per eliminare la sensazione. Quel punto faceva male a molti.
«Scusa, di solito rilascia le tensioni.»
Mi sono spostata verso la cima del lettino e ho preso gli oli.
«Niente menta, giusto?»
«No, grazie. Odio l’odore.»
Okay.
«Ne userò uno senza profumo. Può andare?»
Ha annuito nel foro per la testa.
Ho scaldato l’olio tra le mani e iniziato alla base del collo. Aveva grossi muscoli sul collo e sulle spalle. Aveva il fisico adatto per combattere o per proteggere, ma a volte sembrava così infantile, sciocco persino, una persona che andava tenuta lontana dai pericoli.
«C’è Elodie», gli ho detto. Lui è rimasto in silenzio mentre muovevo le mani sulla sua pelle morbida. Aveva le spalle un po’ meno contratte rispetto alla volta precedente. Caspita, era passato letteralmente solo un giorno da quando era venuto qui per Elodie!
«L’ho conosciuta al corso di massoterapia. Era appena arrivata dalla Francia e aveva fatto una ricerca sui programmi per le mogli dei militari.»
Ricordo quanto mi sembrasse marcato il suo splendido accento. «Era così determinata e ha preso il primo giorno con tanta serietà. Sono stata attratta da lei quasi subito. A livello di amicizia intendo», ho spiegato.
Ha riso lievemente. Le sue spalle hanno sussultato per il divertimento.
«Phillip è simpatico come presumo?» ho chiesto a Kael visto che eravamo sul discorso. È rimasto zitto per alcuni secondi.
«È una brava persona.»
«Me lo giuri? Perché l’ha portata qui da un altro Paese, dove si ritrova senza famiglia e amici. Sono preoccupata per lei.»
«È una brava persona», ha ripetuto.
Dovevo smettere di fargli il terzo grado e pensare solo al lavoro. Mi venivano in mente sempre più cose da dirgli. Lui però non era venuto qui per parlare, era venuto a farsi massaggiare il corpo dolorante.
Sono passata alla schiena e alle braccia proseguendo con il mio solito sistema. Facevo la stessa cosa in gran parte dei trattamenti, pressione intermedia, un po’ più di olio rispetto a quello che si usava in genere. La canzone che stavamo ascoltando era un vecchio pezzo di Beyoncé. Ho lasciato che la musica si diffondesse nell’aria per circa venti minuti, poi l’ho pregato di girarsi sulla schiena.
Voltandosi ha chiuso gli occhi e mi sono presa la libertà di studiare il suo volto. La linea netta della mascella, l’ombra di barba sotto il mento. Ha fatto un profondo respiro quando gli ho infilato le mani sotto la schiena passandogliele sulla pelle, premendo e allungando i muscoli.
Ho aperto la bocca per chiedergli se sarebbe venuto a fare la spesa quella sera. Poi l’ho richiusa.
Qualche secondo dopo stavo per domandargli cosa gli andasse per cena. Poco dopo ancora gli ho quasi detto che amavo la canzone che stavamo ascoltando e ho immaginato di raccontargli che Mali mi lasciava mettere la musica che preferivo in cabina. Qualcosa in lui mi spingeva a parlare. O quasi.
Non sapevo cosa pensare.
Ho sospirato.
Non potevo chiacchierare con lui per tutto il tempo del massaggio. Non era professionale. Me lo sono ripetuta diverse volte.
Ho controllato l’ora. Erano trascorsi soltanto due minuti da quando lo avevo fatto girare. Merda. Volevo dirgli che il tempo passava così lentamente. O chiedergli se sentiva il profumo della candela al profumo di torta al caramello che avevo acceso all’apertura.
«Tutto bene?» ho chiesto infine.
Ha annuito. «Come sta tuo fratello?» La sua domanda mi ha sorpreso.
«Pensavo che sarebbe venuto da me appena arrivato in città, ma suppongo che non sia andata così», ho risposto. «Adesso sta dormendo da mio padre. Non sono ancora riuscita a parlargli da sola. È così frustrante. Eravamo molto legati.»
Kael ha tenuto gli occhi chiusi. Gli stavo impastando le spalle e le braccia con i pugni.
«Scusa, parlo tanto. A quanto pare lo faccio spesso.» Sono scoppiata in una risata amara che è sembrata molto finta. Probabilmente perché lo era.
Kael ha aperto gli occhi per un istante e ha sollevato la testa obbligandomi a guardarlo. «Non c’è problema. Non mi dà fastidio.»
Ho distolto lo sguardo e lui ha riappoggiato la testa. «Ti ringrazio, credo», ho risposto scherzando, il mio stomaco ha sussultato quando sul viso gli è apparso il più grande sorriso che gli avessi visto fare fino a quel momento.