61
QUANDO mi sono svegliata, il mattino dopo, la testa mi pulsava. Il corpo mi faceva male. Il cuore era in pezzi. Tutto mi ha investita di nuovo, come un’onda.
Kael.
Papà.
Il loro passato.
L’accusa di papà, secondo cui Kael mi stava usando come una pedina in una specie di complotto per vendicarsi di quello che era successo in Afghanistan. Quello che avevano fatto là. Quello che Kael aveva vissuto. Quello che aveva coperto.
Una parte di me pensava che papà stesse assolutamente delirando, che si fosse inventato ossessivamente tutta quella faccenda nella sua testa. Era solo una coincidenza che lui e Kael si conoscessero. Una coincidenza, come imbattersi in un amico al cinema o pensare a qualcuno di cui da un po’ non hai più notizie e vedere poi comparire il suo nome accanto a un messaggio. Il fatto che mio padre e Kael fossero nella stessa compagnia era così. Una circostanza decisamente straordinaria. Ma il fatto che fossero entrati in contatto quando erano all’estero nello stesso periodo, e il fatto che il marito di Elodie fosse, guarda caso, l’amico più stretto di Kael… Anche volendoci credere, era troppo. Mi tormentavo per tutta questa storia solo per non pensare al supplizio che già vivevo.
Questo era proprio il problema che avevo evitato con Kael.
Sapevo che prima o poi si sarebbe rivelato per ciò che era davvero, quello che siamo tutti, esseri egoisti. Non avrei dovuto ignorare la vocina interiore che mi diceva che stavamo andando a gran velocità verso il nulla ed eravamo quasi senza benzina. Lo avevo percepito, il modo in cui si ritraeva da me quando eravamo vicini. Il fatto che mi avesse aperto il cuore, trasformata in una specie di personaggio della famiglia Blossom, mentre i miei pensieri più privati uscivano e si riversavano in lui. Li aveva assorbiti tutti, ma quando si era trattato di se stesso, aveva tenuto il rubinetto ben chiuso.
Avevo colto qualche informazione qua e là, una vaga immagine di quello che era prima, steso sul mio letto nel cuore della notte mentre eravamo avvinghiati l’un l’altra. Ora era tutto diverso, benché pensassi sul serio che la nostra relazione non fosse stata premeditata. Me lo aveva giurato più e più volte che voleva provarci, qualsiasi cosa fosse questo nostro legame.
Qualsiasi cosa fosse stata, mi sono ricordata.
Vestendomi mi sono sforzata di pensare a qualcosa, a qualsiasi altra cosa che non fosse Kael. O la sua mente profonda, brillante. Potevo passare giorni chiusa in casa nutrendomi della sua luce. Era tutto quello che un uomo doveva essere, il primo che avessi davvero amato, e si era rivelato essere l’ennesimo modello di fabbrica.
Ciononostante, il mio corpo si era aggrappato all’ondata di passione che era nella mia vita. Poi ho ripensato al consiglio che avevo dato a Sammy dopo che lei e Austin si erano lasciati per l’ennesima volta, cioè che lui era soltanto una parte piccolissima della sua vita, che nel giro di un anno non avrebbe più avuto importanza. Nel giro di cinque non sarebbe quasi più esistito nei suoi ricordi. Lei aveva detto che non se lo sarebbe mai scordato perché sarebbe sempre stata vicino a me, e dove c’ero io, poco dopo arrivava anche lui. Però le cose cambiano. Ovviamente. Andavo in giro per la stanza e a ogni passo sentivo il dolore della sera prima. Ogni grammo di dolore mi si ripercuoteva in tutto il corpo.
Tuttavia, il mio corpo non aveva memorizzato il fatto che odiavamo Kael.
Volevo sentire le sue mani. Avevo bisogno di percepirlo, pelle contro pelle. Non riuscivo a togliermelo dalla testa, stava proprio a suo agio là dentro. Le mie dita lo desideravano mentre frugavano nei cassetti in cerca di qualcosa di sottile e di comodo. Cancellai gli appuntamenti di lavoro ignorando le domande di Mali. Avevo riagganciato prima di scoppiare in lacrime. Mi sono concentrata sull’obiettivo di vestirmi. Normalmente quella sarebbe stata una giornata lavorativa breve, e io e Kael avevamo in progetto di andare il più lontano possibile dalla città. Avevamo preparato delle domande da rivolgerci, raccolto un po’ di musica. Solo la sera prima Kael stava progettando di unire le nostre vite.
O così credevo.
Forse stava solo progettando di vendicare qualsiasi cosa fosse successa durante quella missione.
Come aveva fatto ad andare tutto in pezzi così velocemente?
Ho pensato che se mi fossi ripulita, se mi fossi fatta una doccia e lavata i denti, forse mi sarei sentita un po’ meglio. Un po’ meno zombie, almeno. Ma quando ho messo piede in bagno e ho notato il tubetto di dentifricio alla cannella arrotolato in fondo, per poco non sono soffocata. Odiavo sentirmi così. Era terribile. Era quasi più brutto di quanto il bello fosse stato bello. Non sapevo se da qualche punto di vista ne fosse valsa la pena. Non volevo più sentirmi così. In quel momento decisi che non sarei mai più entrata in quella zona pericolosa.
Ho afferrato il suo schifoso dentifricio e l’ho buttato nel cestino dei rifiuti. L’ho mancato e ho colpito il cartongesso, su di esso è comparsa una crepa nera lunga almeno dieci centimetri. Stavo cominciando a disprezzare questa casa e lei lo sapeva. Per questo stava cadendo a pezzi insieme a me.