67
«VUOI restare qui per un po’?» Ho guardato Austin e per un istante ho visto mia madre in lui, era qualcosa attorno agli occhi, qualcosa nella forma della bocca. Eravamo sempre stati un mix dei nostri genitori, ed era una cosa che mi faceva inorridire.
«No», ha sospirato. «Non lo so. Devo risolvere i miei casini. Non posso farlo dal tuo divano.»
«Costa meno di Barcellona», ho detto, scherzando.
«Pensavo di andare a vivere con Martin.» Le sue parole sono state un colpo. Un colpo basso.
«Martin?»
Lo avrei costretto a dire il suo nome.
«Kael.»
«Da quando siete così amici?» Non riuscivo nemmeno a nascondere il risentimento nella voce.
«Non lo so, da una settimana più o meno.» Ha riso. Non riuscivo a respirare. «È stato spesso da Mendoza.»
«Sul serio?»
Non potevo crederci.
«Senti, so che è successo qualcosa tra voi e so che è finita. Ed è tutto quello che so. Tu mi hai detto che non era niente di serio, che il casino con papà era un equivoco, giusto?» Mi ha guardato dritto negli occhi, sfidandomi a essere onesta.
Era una sfida che non avrei accettato.
«Quindi a meno che non ci sia altro, cose di cui tu voglia mettermi al corrente, non vedo alcun problema nello stare da lui. È l’unico, a parte Mendoza, che se ne stia tranquillo, che non si porti a casa una ragazza ogni notte. Che non si cacci nei guai.»
Mi veniva da vomitare. Ero sollevata e devastata. Era una pessima combinazione.
«Non sto dicendo che non puoi essere suo amico.» Ho sospirato frustrata. «È solo che…» Non riuscivo a pensare a una valida ragione per dirgli di non stare con Kael a meno di non raccontargli tutto, e quello non era assolutamente possibile. Li avrebbe odiati tutti, forse anche Mendoza.
Bastava già che li odiassi io.
«Se non vuoi, dillo e basta. Solo sappi che non posso più stare da papà, Kare. Non posso farlo.»
Ho annuito. Capivo il bisogno di allontanarsi da nostro padre. Sarebbe dovuto stare a casa di Kael. O di Martin. Mi piaceva pensare a lui come Martin, il soldato che faceva quello che gli veniva detto, che si era offerto di aiutare mio fratello quando ne aveva bisogno. Non come l’uomo di cui mi ero innamorata, profondamente e stupidamente.
Non lo vedevo da un po’, tranne quando avevo dato un’occhiata a Instagram e avevo rivisto le file di foto di noi due.
Mi aveva cambiato tanto in un periodo di tempo così breve. Le didascalie sembravano così argute. «Atlanta si rifiuta di vederci ora», scrissi sotto una foto di noi due in macchina, una copia di Cinquanta sfumature di grigio sul cruscotto. Lo stavo rileggendo in vista dell’uscita del film, ed era ancora più eccitante da quando avevo un uomo che a letto amava comandare appena chiudevo il libro. La gomma dell’auto si era bucata mentre stavamo partendo, e il viaggio non si era più fatto.
Mi sono letteralmente scrollata di dosso quel pensiero, ho scosso la testa per far sì che non mi invadesse la mente. Le mani mi tremavano. Pensavo ormai di averlo superato.
«Papà mi sta chiamando di nuovo», ha detto Austin cambiando discorso.
«Hai intenzione di rispondere?»
«No.»
Una macchina è passata, un bambino sul sedile posteriore ci ha salutato con la mano. Austin ha ricambiato addirittura con un sorriso.
«Mi sono pure trovato un lavoro», mi ha detto più o meno un minuto dopo. Il sole stava calando e il cielo cambiava colore sopra di noi.
«Davvero?» Mi sono rianimata. «È una notizia fantastica», ho esclamato. Ero sincera. Non lavorava da quando si era fatto licenziare dal drive-in. «Dove?»
Ha esitato. «Con Martin.»
«Ovviamente.» Ho lasciato cadere la testa tra le ginocchia.
«Vuole rivendere quella villetta bifamiliare, sai? Quella in cui vive. Paga me, Lawson e tutti gli altri per avere una mano. Io farò più ore di tutti perché gli altri devono lavorare durante la settimana. Si tratta solo di togliere la moquette e cavolate del genere.»
Dovevo essere felice per mio fratello, anche se stava legando la sua vita proprio alla persona di cui cercavo di liberarmi.
«Voi due siete molto simili, sai?» ha osservato con un sorriso. Era la prima volta che sembrava anche solo vagamente felice da quando mi ero avvicinata.
Ho scosso la testa. «Non è affatto vero.»
«Come vuoi, Karina.»
«Come sta Katie?» ho chiesto spostando di nuovo l’attenzione su di lui. Sapevo che erano tornati insieme, l’avevo visto su Facebook. Ho supposto che per il momento il suo ex fidanzato fosse uscito di scena.
«Bene. È giusta per me. Mi tiene in riga. E si sveglia presto per andare a scuola, quindi io esco di meno, sai?» Sembrava così fiero di sé che ho lasciato lo fosse. Eravamo due esseri umani completamente diversi, anche se avevamo condiviso lo stesso grembo.
«Ottimo. Sono contenta per te», gli ho detto. Mi sono stesa sul portico appoggiando la testa vicino alla sua. Eravamo quasi tornati bambini.
«Grazie. Non lo porterò qui se non vuoi, ma mi sta davvero dando una mano.»
Ho fissato il cielo supplicando le stelle di venire fuori. Volevo sapere di poter contare su di loro. Volevo essere certa di qualcosa.
«È tutto a posto. Comunque mi vedo con qualcuno.» Quelle parole mi erano uscite fuori, subdole come la bugia che avevo detto.
«Sul serio?»
«Sì. Non mi va di parlarne», ho aggiunto, sapendo che avrebbe evitato qualsiasi complicazione se ne avesse avuto l’opportunità.
«Okay», ha risposto. «Allora non ti arrabbierai se tra poco passerà a prendermi.» Ha pronunciato quelle parole in fretta, come se potesse cambiarne il significato.
«Austin.» Ho detto il suo nome gemendo. «D’accordo. Vado dentro. Devi proprio comprarti una macchina.»
«Lo farò ora che ho un lavoro.» Mi ha sorriso raggiante, alleviando un po’ il mio dolore.
«Sono orgogliosa di te, davvero. E vedi, dopotutto non c’è stato bisogno che ti arruolassi», ho scherzato. Sapevo che non lo avrebbe fatto benché nostro padre tentasse di costringerlo.
Ho sentito il rombo del furgone di Kael prima di vederlo. Il mio corpo ha reagito con la stessa velocità fulminea della mia mente, e mi sono sforzata attivamente per entrare in casa prima che imboccasse la mia strada.
Ho ordinato ai miei piedi di muoversi immediatamente.
Invece Kael è sceso dal furgone e si è avvicinato al giardino prima che mi fossi spostata di un centimetro. Aveva gli occhi semichiusi. Portava un cappellino da baseball. Ho visto un lampo di confusione comparirgli sul volto quando ha notato che non stavo fuggendo.
Avrei voluto che sapesse che non ci riuscivo. Volevo muovermi. Volevo disperatamente muovermi, scappare dentro, nascondermi sotto le coperte e fingere che non fosse mai successo niente.
«Karina.» La voce di Kael era un castigo ammantato di seta.
Non riuscivo a vincere il groppo che avevo in gola. La lingua mi sembrava così pesante.
Lui sembrava lo stesso e la cosa mi ha stupita. Come poteva essere passata soltanto una settimana da quando lo avevo toccato? Non mi pareva possibile. Il mio corpo era un traditore, si abbandonava ai ricordi del suo calore mentre lui se ne stava là in piedi in giardino, lontano da me.
Mio fratello si è alzato nascondendo per un istante Kael. Era proprio quello che mi serviva per reagire.
«Ci vediamo», ho detto ad Austin con tutta la noncuranza che sono riuscita a usare e senza guardare Kael. Mi meritavo un Oscar. Ho afferrato la maniglia della zanzariera e non mi sono voltata a guardare. Una volta dentro, quando ho sentito lo scatto della serratura, mi sono premuta contro la porta. Era un tentativo di stabilizzarmi, di reggermi in piedi. Non ha funzionato. Ho pianto così violentemente da scivolare per terra. E là sono rimasta finché Elodie è tornata dal lavoro e mi ha spinta ad alzarmi con l’incentivo delle immagini della sua ecografia. Il suo piccolo avocado ora era lungo come una banana. Era così felice che ho pianto di nuovo anche io.