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ELODIE era addormentata sul divano, il minuscolo corpo scomposto, piegato in angoli strani. Ho posato la borsa per terra, mi sono sfilata le scarpe e l’ho coperta con il suo plaid preferito. Glielo aveva fatto la nonna quando era bambina. Ormai era davvero rovinato, quasi liso, però lo usava sempre. Sua nonna era morta alcuni anni prima; Elodie piangeva ogni volta che ne parlava.
Mi chiedevo se sentisse la mancanza della sua famiglia. Era lontana da loro e incinta, con un marito assente, in guerra. Non parlava molto dei suoi genitori, ma avevo l’impressione che non fossero stati felici di vederla fuggire negli Stati Uniti con un giovane soldato conosciuto online.
Non potevo dire di biasimarli. Elodie si è mossa leggermente quando ho spento la tv.
«Volevi guardarla?» ho chiesto a Kael. Mi ero scordata che avrebbe dormito là e ho pensato di svegliare Elodie per dirle di spostarsi sul mio letto.
«No, va bene.»
Oh, proprio uomo di molte parole.
«Be’, metto la torta in frigo e vado a dormire. Domani mattina lavoro. Se ti serve qualcosa dal supermercato, scrivilo sulla lista che è sul frigorifero.»
Kael ha annuito e si è seduto nella mia poltrona rossa. Avrebbe dormito lì?
«Ti serve una coperta?» ho chiesto.
Ha scrollato le spalle e risposto quasi sussurrando: «Se ne hai una».
Ho afferrato un vecchio piumino nell’armadio del corridoio e gliel’ho portato. Mi ha ringraziato e gli ho augurato di nuovo la buona notte. Quando mi sono infilata a letto, mi sentivo bella sveglia. Nel corso della notte ho pensato al suo comportamento con mio padre ed Estelle, al fatto che fosse riuscito in qualche modo a rendere la cena più sopportabile. Al modo gentile e inatteso con cui mi aveva fatto il pieno e poi, naturalmente, perché penso sempre troppo, alla necessità di ridargli i soldi anche se non li aveva voluti.
Ero così inquieta. Mi sono rigirata, ho preso un cuscino, me lo sono messo tra le gambe e l’ho abbracciato stretto. Ho pensato che sarebbe stato bello avere un corpo caldo nel letto accanto a me. Almeno avrei avuto qualcuno con cui parlare quando non riuscivo a dormire. A patto che non fosse Kael. Ho sorriso pensando che se ci fosse stato lui nel mio letto…
Mi sono bloccata prima di andare oltre.
Che diavolo mi stava succedendo? Immaginare Kael nel mio letto? Avevo bisogno di contatto fisico, quella doveva essere la ragione per cui, nonostante mi sforzassi di pensare a qualsiasi altra cosa, a qualsiasi altra persona, non potevo fare a meno di figurarmi lui, steso al mio fianco mentre fissava il soffitto come aveva fissato il parabrezza per tutto il viaggio di ritorno.
Era passato quasi un anno da quando avevo avuto un contatto umano che non fosse legato al mio lavoro, alla mia famiglia o a Elodie. Non che fossi solita averne spesso, ma Kael mi faceva sognare a occhi aperti su me e lui. Di solito la gente della mia età incontra i ragazzi nei locali o a scuola o attraverso gli amici, ma io non avevo avuto molte esperienze in nessuna di quelle attività.
Tra me e Brien c’era stato un tira e molla per un po’, avevamo fatto ancora l’amore nella sua macchina dopo che mi ero ripromessa di non parlargli più. L’ultima volta che ho lasciato che accadesse è stato nel suo alloggio, quando mi sono girata e qualcosa mi si è conficcato nel fianco.
Un orecchino. Mi era sembrato di essere in un film, perché chi perde un orecchino mentre è a letto con qualcuno e non se ne accorge? E poi avevo recitato il ruolo della ragazza sola, disperatamente in cerca di attenzioni, consapevole che il suo uomo si vedeva con altre, ma ci era voluto un orrendo orecchino ad anello perché lo ammettessi a me stessa.
Avevamo litigato. Ha detto che doveva essere l’orecchino della ragazza del suo compagno di stanza, ma non ha saputo cosa ribattere quando gli ho ricordato che avevo visto il suo compagno stare con più persone, nessuna delle quali era una donna.
Ho preso il telefono per dare un’occhiata ai social e togliermi dalla testa il pensiero di Brien. Ho digitato il nome di Kael nell’elenco degli amici di Elodie, ma non è saltato fuori niente, così l’ho cercato di nuovo. Ho trovato un profilo con meno di cento amici, cosa che mi è sembrata strana. Io non parlavo con il novantanove percento delle persone di cui ero «amica», però ne avevo quasi mille. E d’un tratto mi è sembrato eccessivo avere mille persone con cui non parlavo, ma che potenzialmente potevano contattarmi.
L’immagine del suo profilo era una foto di gruppo che lo ritraeva con altri tre soldati. Indossavano tutti l’uniforme ed erano accanto un carro armato. Kael sorrideva, forse addirittura rideva, tanto era luminoso il suo sorriso. Era strano vederlo così, con il braccio sulle spalle di un compagno. Ma, a parte la foto del profilo, dalla sua pagina non sono riuscita a ricavare assolutamente nessuna informazione. Era tutto privato. Per poco non gli ho chiesto l’amicizia. Ma mandargli una richiesta su Facebook mentre dormiva sulla poltrona del mio soggiorno sembrava una cosa un po’ da stalker.
Ho chiuso il suo profilo e ho cominciato a passare in rassegna i miei amici su Facebook, gente che conoscevo a malapena. Ho eliminato un centinaio di contatti prima di addormentarmi.