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ADESSO era il turno di Kael di dire il mio nome. Di riportarmi sulla terra.
«Karina. Karina», ha detto. «Ascoltami, Karina. C’è una spieg…» Le sue parole erano incomprensibili. Ho capito il mio nome, nient’altro. Non riuscivo quasi a sentire il mio corpo.
«Cos’è questo, Kael?», sono riuscita a dire, infine. Il furgone era parcheggiato su un lievissimo pendio, ma mi sembrava di essere appesa sull’orlo di un ripido precipizio.
Lui non rispondeva e io ho iniziato a urlare. Non avevo tempo da perdere per i suoi raggiri e le sue scuse. Avevo le prove sotto i miei occhi.
«Perché è… perché è nella tua macchina?» Ho sbattuto la cartellina nello spazio vuoto tra noi. Un autoarticolato ci ha suonato il clacson e Kael ha inserito la marcia.
«Non osare muovere quest’auto del cazzo finché non mi avrai detto cos’è questo e perché è nella tua macchina!» Provavo un mix di emozioni: paura, rabbia, disgusto, disprezzo. Lui era una statua di marmo: splendida, ma fredda.
L’allarme sul mio telefono ha iniziato a suonare. I venti minuti erano passati. Erano stati solo venti minuti? Davvero Austin si era arruolato nell’esercito? E Kael lo sapeva? Più precisamente… che ruolo aveva avuto in quella storia?
«Rispondimi o non parlarmi più», ho detto mentre cercavo il telefono in borsa. Avevo una chiamata persa da un numero locale che non riconoscevo. Ho cercato il nome di Austin e la testa mi girava tanto velocemente che era tutto confuso quando ho tentato di scrivergli un messaggio. L’ho chiamato, non ha risposto.
«Lo hai spinto tu, vero?» Ho chiesto velenosa a Kael. «Lo hai fatto per ferirmi!» ho strillato.
«L’ho fatto perché ha bisogno di essere inquadrato. L’ho fatto perché deve smettere di incasinarsi la vita.»
«ODDIO! Sei incredibile! Fino a dove sei disposto ad arrivare per andare contro mio padre? Spedire il suo unico figlio maschio in guerra?»
Stavo per vomitare. Ho cercato di abbassare il finestrino ma non sono riuscita a trovarlo. Ho cercato la maniglia della portiera e Kael ha fatto per toccarmi.
Mi sono scostata. «Non osare! Non osare toccarmi, cazzo!» Per poco non sono caduta fuori dal Bronco. «Va’ via di qui. Va’ via, cazzo.» Le lacrime mi inondavano il volto appiccicandomi i capelli alle guance bagnate.
«Vai!» ho urlato senza curarmi del fatto che fosse buio e che sarei rimasta sola sul bordo della strada. Volevo solo stare il più possibile lontana da lui.
E come ovvio, visto che l’universo mi odiava, appena le mie scarpe hanno toccato il terreno e ho gridato di nuovo di andarsene, il cielo si è messo a piangere, ricoprendomi da capo a piedi di grosse lacrime di pioggia.