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NON so cosa mi
aspettassi che avesse, ma di certo non quel mastodontico furgone.
Nonostante la sua mole, immaginavo guidasse qualcosa di piccolo ed
elegante, non quel vecchio coso blu con la ruggine sui cerchioni.
Quello era il problema di fantasticare: la vera vita della gente
non era mai come te la immaginavi. La targa era quella tipica della
Georgia, con le pesche e il motto insulso. In basso c’era scritto
CLAYTON COUNTY. Non avevo idea di dove fosse. Mi sono
chiesta se lo infastidisse il fatto d’essersi arruolato e d’essere
finito, per un motivo o per l’altro, proprio nel suo Stato
natale.
Era amico di Elodie,
quindi era giusto che mi assicurassi che non avesse problemi con il
furgone. Non volevo che fosse costretto a tornare a piedi per
cinque chilometri fino a casa mia, se non fosse riuscito a partire.
Sapevo tutto di macchine che non partivano. Ho guardato mentre
infilava la mano sotto la lamiera, sopra la ruota anteriore, e
tastava lungo la superficie. Ha ripetuto la mossa con tutti e
quattro gli pneumatici prima di prendere il telefono dalla
tasca.
La sua espressione è
cambiata, da preoccupata ad arrabbiata. Si è passato una mano sulla
faccia; con l’altra teneva ancora il telefono. Non riuscivo a
capire cosa dicesse, ma ho evitato la tentazione di abbassare il
finestrino per ascoltare. C’era qualcosa di lui che avevo bisogno
di capire.
Più lo osservavo, mentre
camminava su e giù al buio con l’iPhone che faceva la spola tra la
tasca e la guancia, più sentivo il bisogno di sapere chi
fosse.
Stavo per cercare
Clayton County su Google quando ha aperto la portiera e si è
chinato.
«Puoi andare», mi ha
detto.
È stato quasi sgarbato.
Se non fosse rimasto chiuso fuori dalla sua macchina, avrei
replicato in modo acido ma non ce l’ho fatta.
Ho guardato il furgone e
poi lui. «Ne sei sicuro? Non riesci ad aprirlo?»
Ha fatto un profondo
sospiro e scosso la testa. «Le chiavi dovevano essere qui. Troverò
il modo di tornare, è tutto a posto.»
«Sono davvero in ritardo
per questo impegno che ho.»
«La cena», ha
osservato.
Allora aveva prestato
attenzione.
«Sì, la cena. Non posso
riportarti indietro prima… ma forse posso chiamare papà e
annullare. Non è che…»
Kael mi ha interrotto.
«È tutto a posto, davvero.»
Non potevo lasciarlo lì
e basta. Gliel’ho detto.
«Perché?»
Ho aperto la portiera e
sono scesa. «Non lo so», ho risposto onestamente.
«È una bella camminata.
Hai un altro paio di chiavi da qualche parte? O un amico che possa
aiutarti?»
«Tutti i miei amici sono
in Afghanistan.»
Ho sentito un dolore al
petto.
«Scusa.» Ho appoggiato
la schiena all’auto.
«Per cosa?»
Abbiamo mantenuto il
contatto visivo finché ha battuto le palpebre. Allora ho distolto
in fretta lo sguardo.
«Non lo so? La guerra?»
Sembrava così stupido uscito dalle mie labbra. La figlia di un
militare che si scusava con un soldato per una guerra iniziata
prima che tutti e due nascessero. «La maggior parte delle persone
non mi avrebbe chiesto perché.»
Kael si è passato la
lingua sul labbro inferiore e se l’è mordicchiato. Le luci del
parcheggio si sono accese sopra di noi con un ronzio, spezzando il
silenzio.
«Io non sono la maggior
parte delle persone.»
«L’avevo
capito.»
Le lampade illuminavano
le finestre degli alloggi dall’altra parte della strada, ma non
sembrava che vivesse là. Questo significava che era sposato o che
aveva un grado superiore rispetto a quanto suggerito dalla sua età.
I soldati sotto un certo livello potevano vivere all’esterno della
base solo se erano sposati, però non riuscivo a immaginare che un
uomo sposato dormisse sulla mia poltrona dopo una missione.
Inoltre, non portava la fede.
Stavo osservando la
giacca della sua mimetica per controllare il grado quando ho notato
che mi stava fissando.
«Vieni con me, sergente,
o mi farai rimanere in questo parcheggio finché non chiamerai un
fabbro per la macchina?» Ho guardato la toppa sul petto, il cognome
ricamato in lettere maiuscole: Martin. Era così giovane per essere
un sergente.
«Dai.» Ho sollevato le
mani supplicandolo. «Non mi conosci, ma questo è ciò che accadrà se
ti lascerò qui sapendo che tornerai a piedi a casa mia. Due secondi
dopo che me ne sarò andata, mi sentirò in colpa tormentandomi per
tutto il viaggio fino a casa di mio padre e per tutta la cena», ho
spiegato. «Manderò messaggi di scuse a Elodie, che si agiterà
perché si preoccupa per tutti, e a quel punto mi sentirò ancora più
in colpa per aver messo in agitazione una donna incinta, perciò
dovrò saltare in macchina e venire a cercarti se non sarai già
tornato. È un casino, Kael, onestamente sarebbe più semplice se
tu…»
«Okay, okay.» Ha
sollevato le mani fingendosi sconfitto. Ho annuito con un sorriso
di trionfo e indovinate? Ha quasi ricambiato il mio
sorriso.