36
«DI dove
sei?»
«Della zona di Atlanta.
Tu?» Kael ha bevuto un sorso di birra. E poi un altro. Mi sono
ricordata che aveva detto di essere di Riverdale. Più semplice dire
Atlanta, immagino. Ero contenta di sapere quella cosa, come se
facessi parte di uno dei suoi segreti.
Austin ha incrociato le
braccia. «Un po’ di ogni posto. Di Fort Bragg, in Texas, e di un
paio di altre basi. Figlio di militare, sai.»
Kael ha annuito. «Sì.
Non riesco a immaginarmelo, amico.»
Hanno suonato il
campanello. «Le pizze? Spero di sì. Non ho mangiato niente per
tutto il giorno.» Austin è scomparso dalla cucina.
«Hai fame?» ho chiesto a
Kael.
«Un po’.
Tu?»
Ho fatto cenno di
sì.
«Andiamo?» Ho indicato
il soggiorno.
Ha annuito, mi ha
sorriso e ha gettato la birra nel cestino dei rifiuti.
«Ne vuoi un’altra?» ho
chiesto guardando il mio bicchiere quasi vuoto, incerta se
riempirmelo.
«Sono a posto. Uno di
noi deve guidare», ha risposto.
«Ah», ho detto
mordendomi il labbro inferiore. La spalla di Kael ha sfiorato la
mia. Era così vicino. «Posso restare qui.»
Ha sgranato leggermente
gli occhi. «Anche tu. C’è parecchio spazio.»
Avevamo smesso di
camminare ma non riuscivo a ricordare quando. Lui guardava me e io
guardavo lui. Ricordo la curva delle sue ciglia che gli nascondeva
gli occhi nocciola. Il modo in cui profumava di cannella. Per la
prima volta quell’odore non mi ricordava altro che lui. Il mio
cervello era in cortocircuito, scollegato dalla
lingua.
«Voglio dire, non sei
obbligato a restare qui. Puoi usare la mia macchina o un taxi.
Comunque sia, l’ho suggerito solo perché io chiaramente non posso
guidare e la tua auto…» Kael si è chinato verso di me. Ho faticato
non poco a riprendere fiato.
«Mi prendo un’altra
birra», ha detto mormorando. Si è fermato là, così vicino alla mia
bocca che ho sentito una fitta in fondo allo stomaco.
Si è allontanato con
noncuranza e ha afferrato la birra. Ho deglutito battendo le
palpebre.
Pensavo che mi avrebbe
baciato?
Altroché.
Doveva essere per quello
che respiravo come se avessi appena fatto una rampa di scale di
corsa.
Mi sono ripresa il più
velocemente possibile.
«Ehm, sì. Anch’io», ho
detto rauca e chiaramente imbarazzata. Ho aperto il freezer per
prendere un po’ di ghiaccio. L’aria fredda era così piacevole sul
mio viso bollente. Ho lasciato che mi venisse addosso prima di
riempirmi il bicchiere di ghiaccio.
Kael mi stava aspettando
vicino al muro, sorseggiava la sua nuova birra. Il mio stomaco non
voleva saperne di placarsi. Un attimo mi faceva sentire così tesa,
e un secondo dopo così calma.
Andando in soggiorno
siamo rimasti in silenzio. In casa c’era lo stesso numero di
persone, meno i due idioti, ma ora che eravamo tutti stipati la
folla sembrava più fitta. Il fatto che, nonostante cercassi di
calmarmi, il cuore martellasse nel mio petto non
aiutava.
Austin stava parlando
con il fattorino delle pizze. Ho guardato mentre gli dava i soldi e
si ricacciava il rotolo di banconote in tasca. Per quanto ne
sapessi, Austin aveva lavorato solo poche ore alla settimana in un
centro commerciale, e integrava chiedendo qualcosa a papà ogni
tanto. Mio fratello non era mai stato bravo con i soldi. Anche
quando faceva qualche lavoretto d’estate, spendeva la paga il
giorno in cui la riceveva. Io non ero molto meglio, quindi non lo
stavo giudicando, ma da dove veniva quel denaro? Non aveva
senso.
«Kare? Prendi i piatti?»
mi ha gridato Austin passando i cartoni della pizza al
gruppo.
Non sapevo cosa stesse
succedendo, ma quella sera il mio cervello non era più in grado di
reggere. Volevo solo divertirmi, non preoccuparmi di cose che non
potevo controllare. Avevo tentato di farlo per anni, forse era
quella la sera in cui avrei davvero raggiunto
l’obiettivo?