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«DI dove sei?»
«Della zona di Atlanta. Tu?» Kael ha bevuto un sorso di birra. E poi un altro. Mi sono ricordata che aveva detto di essere di Riverdale. Più semplice dire Atlanta, immagino. Ero contenta di sapere quella cosa, come se facessi parte di uno dei suoi segreti.
Austin ha incrociato le braccia. «Un po’ di ogni posto. Di Fort Bragg, in Texas, e di un paio di altre basi. Figlio di militare, sai.»
Kael ha annuito. «Sì. Non riesco a immaginarmelo, amico.»
Hanno suonato il campanello. «Le pizze? Spero di sì. Non ho mangiato niente per tutto il giorno.» Austin è scomparso dalla cucina.
«Hai fame?» ho chiesto a Kael.
«Un po’. Tu?»
Ho fatto cenno di sì.
«Andiamo?» Ho indicato il soggiorno.
Ha annuito, mi ha sorriso e ha gettato la birra nel cestino dei rifiuti.
«Ne vuoi un’altra?» ho chiesto guardando il mio bicchiere quasi vuoto, incerta se riempirmelo.
«Sono a posto. Uno di noi deve guidare», ha risposto.
«Ah», ho detto mordendomi il labbro inferiore. La spalla di Kael ha sfiorato la mia. Era così vicino. «Posso restare qui.»
Ha sgranato leggermente gli occhi. «Anche tu. C’è parecchio spazio.»
Avevamo smesso di camminare ma non riuscivo a ricordare quando. Lui guardava me e io guardavo lui. Ricordo la curva delle sue ciglia che gli nascondeva gli occhi nocciola. Il modo in cui profumava di cannella. Per la prima volta quell’odore non mi ricordava altro che lui. Il mio cervello era in cortocircuito, scollegato dalla lingua.
«Voglio dire, non sei obbligato a restare qui. Puoi usare la mia macchina o un taxi. Comunque sia, l’ho suggerito solo perché io chiaramente non posso guidare e la tua auto…» Kael si è chinato verso di me. Ho faticato non poco a riprendere fiato.
«Mi prendo un’altra birra», ha detto mormorando. Si è fermato là, così vicino alla mia bocca che ho sentito una fitta in fondo allo stomaco.
Si è allontanato con noncuranza e ha afferrato la birra. Ho deglutito battendo le palpebre.
Pensavo che mi avrebbe baciato?
Altroché.
Doveva essere per quello che respiravo come se avessi appena fatto una rampa di scale di corsa.
Mi sono ripresa il più velocemente possibile.
«Ehm, sì. Anch’io», ho detto rauca e chiaramente imbarazzata. Ho aperto il freezer per prendere un po’ di ghiaccio. L’aria fredda era così piacevole sul mio viso bollente. Ho lasciato che mi venisse addosso prima di riempirmi il bicchiere di ghiaccio.
Kael mi stava aspettando vicino al muro, sorseggiava la sua nuova birra. Il mio stomaco non voleva saperne di placarsi. Un attimo mi faceva sentire così tesa, e un secondo dopo così calma.
Andando in soggiorno siamo rimasti in silenzio. In casa c’era lo stesso numero di persone, meno i due idioti, ma ora che eravamo tutti stipati la folla sembrava più fitta. Il fatto che, nonostante cercassi di calmarmi, il cuore martellasse nel mio petto non aiutava.
Austin stava parlando con il fattorino delle pizze. Ho guardato mentre gli dava i soldi e si ricacciava il rotolo di banconote in tasca. Per quanto ne sapessi, Austin aveva lavorato solo poche ore alla settimana in un centro commerciale, e integrava chiedendo qualcosa a papà ogni tanto. Mio fratello non era mai stato bravo con i soldi. Anche quando faceva qualche lavoretto d’estate, spendeva la paga il giorno in cui la riceveva. Io non ero molto meglio, quindi non lo stavo giudicando, ma da dove veniva quel denaro? Non aveva senso.
«Kare? Prendi i piatti?» mi ha gridato Austin passando i cartoni della pizza al gruppo.
Non sapevo cosa stesse succedendo, ma quella sera il mio cervello non era più in grado di reggere. Volevo solo divertirmi, non preoccuparmi di cose che non potevo controllare. Avevo tentato di farlo per anni, forse era quella la sera in cui avrei davvero raggiunto l’obiettivo?