Ipnosi
1891
Sarebbe erroneo ritenere facile la pratica dell’ipnosi per scopi terapeutici: la tecnica dell’ipnotizzare non è invece meno difficile di qualunque altro procedimento medico. Il medico che vuole esercitare l’ipnosi deve avere imparato il metodo da un maestro in quest’arte, e anche in tal caso avrà bisogno di molta pratica personale per ottenere successi che non si esauriscano in pochi casi isolati. Divenuto un esperto ipnotizzatore, egli affronterà il suo compito con quella serietà e decisione che derivano dalla coscienza di compiere qualcosa di utile, e anzi in certi casi di necessario. Il ricordo di tante guarigioni effettuate con l’ipnosi darà al suo comportamento verso i malati una sicurezza che a sua volta non mancherà di suscitare anche in loro l’aspettativa di una nuova guarigione. Chi si accinge a ipnotizzare credendovi solo a metà, chi si sente un po’ comico in quella situazione, chi con l’espressione, i gesti, la voce rivela di non aspettarsi nulla dall’esperimento, non avrà alcun motivo di meravigliarsi di un insuccesso, e farebbe meglio a lasciare questo metodo terapeutico ad altri medici, che lo possono praticare senza sentirsi lesi nella dignità professionale, convinti come sono, per l’esperienza e per le letture fatte, della realtà e dell’importanza dell’influenza ipnotica.
Ci si proponga per principio di non imporre ad alcun paziente il trattamento ipnotico. Fra il pubblico è diffuso il pregiudizio, sostenuto anche da medici eminenti ma non bene informati su questa materia,60 che l’ipnosi costituisca un intervento pericoloso. Se cercassimo di imporre l’ipnosi a una persona che presta fede a queste affermazioni, saremmo probabilmente interrotti già dopo pochi minuti da incidenti spiacevoli, derivanti dall’ansia del paziente e dalla sua penosa sensazione di venir sopraffatto, ma che certamente verrebbero considerati come conseguenza dell’ipnosi. Quando dunque si manifesta una violenta resistenza contro l’ipnosi, è meglio rinunciare a questo metodo, in attesa che il malato, grazie a nuove informazioni, si riconcili con l’idea di venire ipnotizzato. Invece non costituisce un elemento sfavorevole il fatto che un paziente dichiari di non temere l’ipnosi, ma di non credervi, o di non credere di poter trarne giovamento. In questo caso gli si dice: “Non pretendo che Lei ci creda, ma chiedo solo la sua attenzione, e un po’ di arrendevolezza all’inizio”; e, di regola, questo atteggiamento indifferente del paziente costituisce per noi un aiuto eccellente. Bisogna dire d’altronde che vi sono persone cui è di ostacolo al cadere in ipnosi proprio il loro insistente desiderio di farsi ipnotizzare. Ciò non concorda minimamente con l’opinione corrente, secondo cui per cadere in ipnosi occorre “credervi”, eppure le cose stanno proprio così. In generale si può partire dal presupposto che tutti gli uomini siano ipnotizzabili; però ogni singolo medico, nelle condizioni in cui opera, non riuscirà a ipnotizzare alcune persone, spesso senza poter dire da cosa dipenda l’insuccesso. Certe volte con un determinato procedimento si riesce a ottenere facilmente ciò che con un altro sembrava impossibile, e lo stesso si può dire per i diversi medici. Non si può mai sapere fin da prima se si riuscirà o no a ipnotizzare un paziente, e per rendersene conto non c’è altro modo che tentare. Finora non si è riusciti a mettere in correlazione la suscettibilità all’ipnosi con alcun’altra caratteristica di un individuo. È vero soltanto che gli ammalati mentali e i degenerati per lo più non sono ipnotizzabili, e i nevrastenici lo sono solo con grande difficoltà. Non è vero però che gli isterici non siano adatti all’ipnosi, e anzi è proprio in questi ultimi che l’ipnosi insorge in seguito a interventi puramente fisiologici, e con tutte le caratteristiche di una particolare condizione fisica. È importante formarsi prima un giudizio provvisorio sull’individualità psichica di un paziente che s’intende sottoporre a ipnosi, ma su questo punto non si possono formulare regole precise. È chiaro però che non conviene iniziare un trattamento medico subito con l’ipnosi, e che sarà meglio guadagnarsi prima la fiducia del paziente, lasciando che la sua sfiducia e il suo atteggiamento critico si attutiscano un poco. Chi gode di una grande fama come medico o come ipnotizzatore, può comunque fare a meno di questo periodo preparatorio.
Contro quali malattie si deve ricorrere all’ipnosi? È più difficile stabilire le indicazioni per l’ipnosi di quanto non avvenga per altri metodi terapeutici, poiché nella terapia ipnotica le reazioni individuali hanno un’importanza quasi altrettanto grande quanto la natura della malattia da combattere. In generale bisogna evitare di ricorrere all’ipnosi per quei sintomi che hanno un fondamento organico, usandola invece solo per i disturbi esclusivamente funzionali, nervosi, di natura psichica, e per le tossicomanie o altre forme di assuefazione. Ci si deve però convincere che anche molti sintomi di malattie organiche sono accessibili all’ipnosi, e che le alterazioni organiche possono sussistere senza il disturbo funzionale che ne deriva. Data l’attuale ripugnanza contro il trattamento ipnotico, è raro che all’ipnosi si ricorra prima di aver tentato invano tutti gli altri metodi. E ciò ha i suoi vantaggi, perché in tal modo si viene a conoscere la vera sfera d’azione dell’ipnosi stessa. Si può naturalmente anche ipnotizzare ai fini di una diagnosi differenziale, per esempio quando si è in dubbio se determinati sintomi siano imputabili all’isteria o rientrino in un quadro organico. Questa prova però ha valore solo se il risultato è favorevole.
Fatta conoscenza col malato e stabilita la diagnosi, si pone il problema se sia il caso d’intraprendere l’ipnosi a quattr’occhi o di richiedere invece la presenza di una terza persona di fiducia. Questa sarebbe una misura per proteggere i pazienti da un abuso di ipnosi, e il medico dall’accusa di un tale abuso: e sono entrambe cose che accadono! Ma non è sempre possibile ricorrere a questa misura. La presenza di un’amica, del marito, e via dicendo, spesso disturba notevolmente la malata e diminuisce di molto l’influenza del medico; inoltre, il contenuto delle suggestioni impartite nell’ipnosi non sempre è adatto a essere comunicato a un’altra persona, intima della paziente. La presenza di un secondo medico non avrebbe questi svantaggi, ma rende talmente più difficile l’attuazione del trattamento che nella maggior parte dei casi non vi si può ricorrere; infatti il medico, che ha prima di tutto il dovere di aiutare il paziente mediante l’ipnosi, nella maggior parte dei casi rinuncerà alla presenza di una terza persona, pur incorrendo nel pericolo summenzionato, che si affiancherà agli altri pericoli connessi con l’esercizio della sua professione. La paziente, dal canto suo, si guarderà dal farsi ipnotizzare da un medico che non le sembra degno della massima fiducia.
È invece assai importante che un paziente prima di sottoporsi all’ipnosi veda altre persone sotto ipnosi, e impari per imitazione il comportamento da tenere, apprendendo dagli altri in che cosa consistano le sensazioni che si provano sotto ipnosi. Nella clinica di Bernheim e nell’ambulatorio di Liébeault, a Nancy, dove qualunque medico può ottenere informazioni sugli effetti dell’influenza ipnotica, non si pratica mai un’ipnosi a quattr’occhi. Ogni paziente che non ha fatto ancora la conoscenza dell’ipnosi osserva per un certo tempo come i pazienti di più vecchia data si addormentano, come ubbidiscono durante l’ipnosi e ammettono, dopo il risveglio, che i loro sintomi sono scomparsi. Ciò lo rende psichicamente preparato, permettendogli di addormentarsi profondamente sotto ipnosi quando viene il suo turno. Lo svantaggio di questo procedimento consiste nel fatto che i disturbi di ogni individuo vengono discussi di fronte a una gran quantità di persone, il che non sarebbe opportuno per pazienti delle classi sociali elevate. Comunque un medico che desideri curare con l’ipnosi non deve rinunciare a quest’utile espediente, e se appena è possibile deve fare assistere la persona da ipnotizzare a uno o più tentativi d’ipnosi riuscita. Se anche non si può contare sul fatto che il paziente si ipnotizzi da solo per imitazione, non appena gliene si dà il segnale, si può scegliere fra diversi procedimenti per indurlo in stato d’ipnosi; tratto comune a tutti è il fatto che ricordano il processo dell’addormentarsi mediante determinate sensazioni corporee. Il modo migliore è il seguente: si fa sedere il paziente comodamente, e gli si dice di stare molto attento e di non parlare più iniziando da quel momento, perché ciò gli impedirebbe di addormentarsi. Gli si fanno togliere tutti gli indumenti che possano in qualche modo esercitare una costrizione, e si fanno disporre le persone presenti in una parte della camera dove il paziente non le possa vedere. Si provvede a rendere la camera oscura e silenziosa. Dopo questi preparativi, ci si pone di fronte al paziente invitandolo a fissare due dita della mano destra del medico, ponendo attenzione alle sensazioni che proverà. Dopo pochissimo tempo, più o meno due minuti, si comincia a indurre nel paziente la sensazione dell’addormentarsi. Gli si dice ad esempio: “Vedo già che con Lei le cose andranno in fretta. Il suo viso ha già assunto un’espressione fissa, il respiro le è divenuto più profondo, una gran calma si è impadronita di Lei, le palpebre le pesano, gli occhi si socchiudono, già non riesce più a vedere distintamente, presto dovrà inghiottire, poi gli occhi le si chiuderanno, ed eccola addormentata.” Con tali frasi o frasi simili abbiamo già iniziato il processo della “suggestione”, come viene chiamata questa forma di persuasione che si esercita nell’ipnosi.61 Ma abbiamo suggerito soltanto quelle sensazioni e quei processi motòri che si svolgono spontaneamente durante l’instaurarsi del sonno ipnotico. Ce ne si convincerà trovandosi di fronte a una persona che si può indurre in ipnosi solo ordinandole di fissare (metodo di Braid), in cui cioè la stanchezza degli occhi, dovuta alla tensione dell’attenzione distolta da ogni altra impressione, indurrà una condizione simile al sonno. Il viso assumerà dapprima un’espressione fissa, il respiro si farà profondo, gli occhi si inumidiranno, ammiccando ripetutamente, si avranno uno o più movimenti di deglutizione, e infine le pupille ruoteranno verso l’alto e verso il basso, le palpebre si abbasseranno, ed ecco l’ipnosi. Assai numerose sono le persone di questo genere; se ci si accorge di trovarsi di fronte a una di esse, sarà bene tacere, o aiutarla di tanto in tanto solo con una suggestione, perché altrimenti non si farebbe che disturbare la persona che già si sta ipnotizzando da sola, e, se le sue sensazioni non si susseguono nell’ordine delle suggestioni impartitele, si provocheranno contraddizioni da parte sua. In genere, però, è preferibile non attendere che si sviluppi un’ipnosi spontanea, ma incoraggiarla con la suggestione. Questa deve essere impartita energicamente e con ritmo rapido. Il paziente, per così dire, non deve poter riflettere, non deve avere il tempo di controllare se quanto gli si dice corrisponde a realtà. Non occorrono più di 2-4 minuti prima che egli chiuda gli occhi, e se ciò non avviene spontaneamente, glieli si chiudano con una pressione della mano, senza mostrarsi stupiti o dispiaciuti perché non si sono chiusi da soli. Se ora gli occhi rimangono chiusi, per lo più ciò vuol dire che si è ottenuto un influsso ipnotico di un certo grado. Questo è il momento decisivo per tutto quello che vien dopo.
Si è verificata cioè una delle seguenti possibilità. Il paziente, fissando e ascoltando le suggestioni, può essere stato veramente indotto in ipnosi, e allora si manterrà tranquillo dopo aver chiuso gli occhi; in questo caso si farà ancora qualche esame per controllare che sia in catalessi, gli si comunicheranno le suggestioni richieste dal suo disturbo e poi lo si risveglierà subito. Dopo il risveglio, egli potrà essere amnestico, il che significa che durante l’ipnosi era in stato di “sonnambulismo”, oppure potrà conservare pienamente la memoria e parlare delle sue sensazioni durante l’ipnosi. Non di rado, dopo che ha chiuso gli occhi, sui suoi lineamenti si diffonde un sorriso. Ciò non deve disturbare il medico: di solito significa semplicemente che l’ipnotizzato è ancora in grado di giudicare il proprio stato, che egli trova strano e buffo. Però può anche darsi che non si sia stabilita ancora alcuna influenza, o solo un’influenza trascurabile su di lui, mentre il medico si è comportato come se si trovasse di fronte a un’ipnosi riuscita. Ci si rappresenti lo stato d’animo del paziente in questo caso: all’inizio egli aveva promesso di rimanere tranquillo, di non parlare più, di non dare alcun segno di conferma o di diniego; ora egli osserva che, a causa del suo consenso a comportarsi in questo modo, gli si dice che egli è già ipnotizzato, e allora se ne irrita, e si sente a disagio per non poterlo manifestare, e teme anche che il medico cominci troppo presto a impartirgli le suggestioni, considerandolo in stato d’ipnosi prima che lo sia veramente. Ora, l’esperienza c’insegna che, se non è veramente ipnotizzato, egli non si atterrà al patto che abbiamo stretto con lui,62 ma aprirà gli occhi dicendo, per lo più in tono irritato: “Non sono affatto addormentato!” Un principiante ora considererebbe che l’ipnosi sia fallita, ma l’esperto non si scomporrà, rispondendo invece, senza mostrarsi minimamente contrariato, e chiudendo di nuovo gli occhi al malato: “Stia tranquillo; mi aveva promesso di non parlare. So benissimo che Lei non è addormentato, e non è affatto necessario che lo sia. Che senso avrebbe per me il farla semplicemente addormentare, dato che allora Lei non potrebbe comprendere, mentre le parlo? Lei non è addormentato, ma ipnotizzato: è sotto il mio influsso, e quello che le dirò ora, farà su di Lei una particolare impressione e le sarà di giovamento.” Ricevuti questi chiarimenti, il paziente di solito si calma; allora gli si impartiscono le suggestioni, rinunciando per il momento a cercare i segni somatici dell’ipnosi; ma, dopo aver ripetuto più volte questa cosiddetta ipnosi, si vedranno comparire anche alcuni fra i fenomeni somatici che contraddistinguono l’ipnosi.
In molti casi di questo genere, rimane per sempre dubbio se lo stato da noi indotto meriti il nome di ipnosi. Sarebbe però errato impartire le suggestioni solo in quegli altri casi, in cui il paziente cade in stato di sonnambulismo, o in un’ipnosi di grado profondo. Anche nei casi che posseggono solo l’apparenza dell’ipnosi, possiamo conseguire i più spettacolari successi terapeutici, che d’altronde sarebbe impossibile ottenere con la “suggestione in stato di veglia”. Anche qui, dunque, deve trattarsi di un’ipnosi, la quale del resto non mira ad altro scopo che all’effetto della suggestione in essa impartita. Se, però, dopo ripetuti tentativi (da tre a sei) non si ha neppure il minimo cenno di successo, né compare alcun segno somatico dell’ipnosi, si rinuncerà all’esperimento.
Bernheim e altri hanno distinto vari gradi d’ipnosi, che non ha molto scopo enumerare a fini pratici. D’importanza decisiva è solo il fatto che il paziente sia o no caduto in stato di sonnambulismo, cioè se lo stato di coscienza indotto in lui dall’ipnosi sia così radicalmente diverso da quello ordinario che al risveglio non persiste in lui alcun ricordo di ciò che si è svolto durante l’ipnosi stessa. In questi casi, il medico può negare con gran decisione la realtà dei dolori o di altri sintomi realmente presenti del paziente, mentre di solito non si sente di farlo, sapendo che pochi minuti dopo il malato gli dirà: “Quando Lei ha detto che io non avevo più dolori, in realtà ne avevo ancora, e ne ho anche adesso.” L’ipnotizzatore si sforza di evitare contraddizioni del genere, che scuoterebbero la sua autorità. Sarebbe perciò estremamente importante dal punto di vista terapeutico conoscere un procedimento che permetta di indurre qualunque persona in stato di sonnambulismo. Ma, sfortunatamente, tale procedimento non esiste. Il principale difetto della terapia ipnotica è che non può essere dosata. Il grado di ipnosi raggiungibile non dipende dal procedimento del medico, ma dalla reazione casuale del paziente. È anche difficilissimo rendere più profondo lo stato d’ipnosi in cui cade un paziente; di solito però la cosa riesce se le sedute si ripetono frequentemente.
Se non si è soddisfatti dell’ipnosi ottenuta, nel ripetere il trattamento bisogna provare altri metodi. Questi spesso hanno un effetto maggiore, oppure più prolungato. Ecco alcuni di questi sistemi: strofinare per 5-10 minuti con entrambe le mani il viso e il corpo del paziente (questo procedimento ha un sorprendente effetto calmante e soporifero); impartire la suggestione accompagnandola al passaggio di una debole corrente galvanica che suscita una netta sensazione gustativa (l’anodo è posto in una larga benda sulla fronte, il catodo in una benda al polso): qui, l’impressione di essere fasciati e la sensazione galvanica contribuiscono notevolmente all’ipnosi. Si possono inventare a proprio piacimento altri procedimenti simili, purché si tenga presente lo scopo, che è quello di suscitare con un’associazione d’idee l’immagine dell’addormentarsi e di fissare l’attenzione del paziente con una sensazione persistente.
Il vero valore terapeutico dell’ipnosi consiste nella suggestione in essa impartita. Questa suggestione contiene un’energica negazione del disturbo che affligge il paziente, o l’assicurazione che egli è in grado di fare qualcosa, o l’ordine di eseguire un’azione. L’effetto è molto più efficace se, invece di limitarsi a una semplice assicurazione o negazione, si mette in rapporto la guarigione attesa con una nostra azione o intervento durante l’ipnosi. Così, ad esempio, si può dire: “Lei non ha più alcun dolore in questo posto: io vi pongo la mano e il dolore scompare.” Strofinando e premendo la mano sulla parte malata, durante l’ipnosi, si rinforza ottimamente la suggestione verbale. Né si eviti di chiarire al paziente la natura del suo disturbo, di spiegargli il motivo per cui il dolore vien meno, e via dicendo; non ci troviamo infatti, per lo più, di fronte a un automa psichico, ma a un essere dotato di facoltà critiche e di giudizio, sul quale noi siamo semplicemente in grado di produrre un’impressione maggiore che nello stato di veglia. Se l’ipnosi è incompleta, bisogna evitare di far parlare il paziente, perché questa manifestazione motoria distruggerebbe quel senso d’incantesimo che protegge la sua ipnosi, facendolo svegliare. Si può tranquillamente lasciar parlare, camminare, lavorare i soggetti in stato di sonnambulismo, e si ottengono gli influssi psichici più profondi se, mentre sono sotto ipnosi, li si interroga sui loro sintomi e sull’origine di questi.63
Con la suggestione si mira o a un effetto immediato, come avviene soprattutto nel trattamento delle paralisi, delle contratture e simili, oppure a un effetto postipnotico, che cioè si realizzi in un particolare momento dopo il risveglio. Nel caso di tutti i disturbi ostinati, è assai preferibile interporre un simile periodo di attesa (anche un’intera notte) fra la suggestione e il suo realizzarsi. L’osservazione dei pazienti ha dimostrato che le impressioni psichiche richiedono di solito un determinato tempo, un periodo d’incubazione, per provocare un’alterazione somatica (vedi Nevrosi traumatiche64). Ogni singola suggestione va impartita con la massima decisione, perché l’ipnotizzando noterà ogni cenno di dubbio, usandone poi in senso sfavorevole; si eviti assolutamente ogni forma di contraddizione, e, se si può, ci si richiami alla propria capacità di produrre catalessia, contratture, anestesie, e via dicendo.
La durata dell’ipnosi va decisa in base alle esigenze pratiche; una continuazione relativamente lunga dell’ipnosi, che si può estendere anche per parecchie ore, non è certamente sfavorevole al successo. Il risveglio è provocato da un invito del tipo di: “Basta, per questa volta.” Alla prima ipnosi non si dimentichi di assicurare il paziente che si risveglierà senza cefalea, di buon umore e in buona forma. Si può tuttavia osservare che molte persone, dopo un’ipnosi lieve, si risvegliano con senso di pressione alla testa e di stanchezza, se l’ipnosi era durata troppo poco: non hanno, per così dire, dormito abbastanza.
La profondità di un’ipnosi non è sempre direttamente proporzionale al suo successo: in un’ipnosi leggerissima si possono produrre cambiamenti importantissimi, e, viceversa, si può avere un insuccesso totale anche con uno stato di sonnambulismo. Se il successo desiderato non si verifica dopo poche ipnosi, affiora un’ulteriore difficoltà connessa con questo metodo. Mentre nessun malato osa farsi impaziente se dopo la ventesima seduta elettrica o la ventesima bottiglia di acqua minerale non ha ancora raggiunto la guarigione, nel trattamento ipnotico sia il medico sia il paziente si stancano molto più presto, a causa del contrasto tra il colorito volutamente roseo delle suggestioni e la grigia realtà. Anche in questo caso, i malati intelligenti possono facilitare il compito del medico, appena comprendono che nel trasmettere la suggestione è come se questi recitasse una parte, e che quanto più energicamente egli nega l’esistenza del disturbo tanto maggior vantaggio ne potrà venire. In ogni trattamento ipnotico prolungato, si deve accuratamente cercare nuovi punti di partenza per le suggestioni, nuovi modi di dimostrare la propria potenza, nuovi cambiamenti del procedimento ipnotico. Ciò costituisce una tensione grave e alla fine spossante per chi forse, dentro di sé, dubita anche del successo.
Non c’è alcun dubbio che il campo d’azione della terapia ipnotica sia molto più ampio di quello degli altri metodi di cura per le malattie nervose. Né trova giustificazione l’accusa secondo la quale l’ipnosi potrebbe influenzare solo i sintomi, e anche questi per breve tempo. Se la terapia ipnotica è rivolta solo ai sintomi e non ai processi patologici, essa segue semplicemente quella stessa via che tutte le altre terapie sono costrette a praticare.
Se l’ipnosi è riuscita, la consistenza della guarigione dipenderà da quegli stessi fattori da cui dipende anche con gli altri metodi di cura. Se si trattava di fenomeni postumi di un processo ormai concluso, la guarigione sarà durevole; se le cause che hanno prodotto i sintomi morbosi sussistono ancora in tutta la loro entità, sarà probabile una recidiva. Comunque, l’uso dell’ipnosi non impedisce mai di ricorrere anche a un’altra terapia, dietetica, meccanica o di qualunque altro genere. In una serie di casi, quelli cioè in cui i sintomi morbosi sono di origine esclusivamente psichica, l’ipnosi soddisfa tutti i requisiti di una terapia causale, e interrogando e tranquillizzando il paziente in ipnosi si ottengono molto spesso i più brillanti successi.
Tutto quello che si è detto e scritto sui gravi pericoli dell’ipnosi appartiene al regno della fantasia. A prescindere dall’abuso dell’ipnosi per scopi illeciti, possibilità questa che sussiste anche per ogni altro procedimento terapeutico efficace, si deve al massimo tener presente che le persone gravemente nervose hanno la tendenza a cadere in ipnosi anche spontaneamente, dopo una serie ripetuta di ipnosi. Il medico ha la facoltà di proibire ai pazienti queste ipnosi spontanee, che, d’altronde, ricorrono solo in individui particolarmente sensitivi. Le persone con una sensitività così spinta da poter essere ipnotizzate senza il loro consenso, si possono proteggere in modo abbastanza esauriente anche impartendo loro la suggestione che solo il loro medico è in grado di ipnotizzarle.