Dicevamo più su [cap. 3] che con la comparsa di Zoe come medico si desta in noi un nuovo interesse. Saremmo ansiosi di sapere se una guarigione, come quella che essa ottiene con Hanold, sia concepibile o in genere possibile, se cioè il poeta abbia intravisto le condizioni per la scomparsa del delirio in modo altrettanto esatto di quelle della sua formazione.
Senza dubbio ci si può contrapporre un’opinione differente, che escluda fin dall’inizio tale interesse per il caso descritto dal poeta e neghi l’esistenza stessa di un problema da chiarire. Secondo questa opinione Hanold, dopo che l’oggetto stesso del suo delirio, e cioè la presunta Gradiva, gli ha chiarito l’erroneità delle sue convinzioni e gli ha dato le più naturali spiegazioni per tutti i suoi enigmi, ad esempio di come lei potesse conoscere il suo nome, non avrebbe null’altro da fare che sciogliersi dal delirio medesimo. Con ciò la vicenda sarebbe logicamente esaurita, ma – si argomenta – la ragazza ha frattanto rivelato ad Hanold il suo amore e il poeta, certo per accontentare le sue lettrici, conclude il racconto, per altri aspetti non privo di interesse, col solito lieto fine e il matrimonio. Più coerente, e altrettanto verosimile, sarebbe stata una conclusione differente, per cui il giovane scienziato, dopo aver compreso il proprio errore, prendesse congedo con molti ringraziamenti dalla signorina, giustificando il proprio rifiuto del suo amore col dire che egli poteva sì prendere vivo interesse per donne di bronzo e di pietra dell’antichità, e anche per i loro modelli, se essi fossero accessibili, ma che di una ragazza contemporanea in carne e ossa egli proprio non sapeva che farsene. Da questo punto di vista, l’aver fatto coincidere una fantastica vicenda archeologica con una storia d’amore costituirebbe un puro arbitrio da parte del poeta.
Mentre respingiamo come impossibile questo modo di vedere, notiamo in primo luogo che il cambiamento subentrato in Hanold non riguarda soltanto la scomparsa del delirio. Contemporaneamente, anzi prima ancora del dissolvimento del delirio, vi è in lui l’indubbio risveglio del bisogno d’amore, che sfocia poi in maniera naturale nella domanda di matrimonio fatta alla ragazza che lo ha liberato dal delirio stesso. Abbiamo già avuto occasione di rilevare sotto quali pretesti e travestimenti, nel corso stesso del delirio, dopo che il desiderio amoroso rimosso gli aveva provocato il primo sogno, si manifestino in lui la curiosità per la costituzione corporea di lei, la gelosia e la brutale pulsione maschile di appropriazione. Una seconda testimonianza di tale mutamento è data dal fatto che la sera dopo il secondo colloquio con la Gradiva per la prima volta gli appare simpatico un essere femminile vivente: e ciò benché egli faccia ancora una concessione alla sua precedente ripugnanza per gli sposi in viaggio di nozze, non ravvisando nella donna simpatica una sposa novella. La mattina dopo però il caso lo fa assistere a uno scambio di tenerezze tra questa ragazza e il suo presunto fratello, ed egli si ritrae vergognoso come se avesse turbato una funzione sacra [cap. 1]. Lo scherno per gli “August e Grete” è dimenticato e il rispetto per la vita amorosa è in lui ristabilito.
In tal modo il poeta ha collegato intimamente lo scioglimento del delirio e l’esplosione del bisogno d’amore, e ha predisposto come esito inevitabile la domanda di matrimonio. Il poeta conosce l’essenza del delirio meglio dei suoi critici: sa che una componente di anelito all’amore e una componente di resistenza di fronte all’amore si sono congiunte nella formazione del delirio, e fa in modo che la ragazza la quale ha intrapreso la cura estragga dal delirio di Hanold proprio la componente che le è gradita. Solo questo discernimento può deciderla a dedicarsi al trattamento, solo la certezza di essere amata da Hanold può indurla a confessargli il proprio amore. Il trattamento consiste nel ridare a lui, dall’esterno, quei ricordi rimossi che egli non è in grado di liberare dall’interno; esso tuttavia non avrebbe alcuna efficacia se la terapeuta non tenesse conto dei sentimenti di lui, e se la traduzione del delirio alla fine non fosse questa: “Guarda dunque; tutto questo significa soltanto che tu mi ami!”
Il procedimento fatto seguire dal poeta alla sua Zoe per la cura del delirio del suo compagno di fanciullezza presenta una straordinaria somiglianza, anzi coincide completamente nella sua essenza, con un metodo terapeutico che è stato introdotto nella medicina nel 1895 dal dottor Breuer e dall’autore del presente scritto, e al cui perfezionamento quest’ultimo si è dopo di allora dedicato. Questo tipo di trattamento, che Breuer ha dapprima chiamato “catartico” e che l’autore ha preferito chiamare “analitico”, consiste in ciò: negli ammalati che soffrono di disturbi analoghi al delirio di Hanold, l’inconscio, per la cui rimozione essi si sono ammalati, viene portato, in certo senso coercitivamente, alla coscienza, proprio così come fa la Gradiva con i ricordi rimossi delle loro relazioni d’infanzia. Certo per la Gradiva questo compito è assai più facile che per il medico, ed essa si trova in una posizione che può dirsi ideale sotto molteplici aspetti. Il medico che non ha una conoscenza preesistente del malato, e che non possiede alcun ricordo cosciente di ciò che agisce in modo inconscio nel paziente stesso, deve ricorrere a una tecnica complicata per compensare questo svantaggio. Deve imparare a individuare con grande sicurezza, partendo dalle idee coscienti che il malato gli comunica, quel che di rimosso vi è in lui, e indovinare l’inconscio là dove esso si tradisce attraverso le parole e le azioni coscienti del malato. Giunge in tal modo a fare qualche cosa di simile a ciò che alla fine del racconto fa lo stesso Norbert Hanold, quando ritraduce il nome “Gradiva” in “Bertgang” [cap. 1]. Il disturbo scompare quando viene ricondotto alla sua origine; l’analisi porta contemporaneamente anche la guarigione.
La somiglianza tra il procedimento seguito dalla Gradiva e il metodo analitico della psicoterapia non si limita però a quei due punti: il rendere cosciente il rimosso e la coincidenza dell’interpretazione e della guarigione. Si estende anche a ciò che costituisce l’essenza dell’intera modificazione, e cioè al risveglio dei sentimenti. Ogni disturbo simile al delirio di Hanold, che noi siamo soliti chiamare in termini scientifici “psiconevrosi”, presuppone la rimozione di una parte della vita pulsionale, diciamo pure di una parte della pulsione sessuale; a ogni tentativo di riportare alla coscienza le cause inconsce e rimosse della malattia, la componente pulsionale interessata necessariamente rinnova la sua lotta con le potenze rimoventi, per giungere a pareggiarle nell’esito finale, spesso in presenza di violente manifestazioni reattive. Il processo di guarigione si compie con una recidiva d’amore, se vogliamo comprendere sotto il concetto di “amore” tutte le molteplici componenti della pulsione sessuale; e questa recidiva è indispensabile, giacché i sintomi a cagione dei quali viene intrapreso il trattamento non sono altro che ripercussioni di precedenti lotte connesse con la rimozione e con il ritorno del rimosso, e possono venir risolti ed eliminati soltanto per un nuovo flusso delle stesse passioni. Ogni trattamento psicoanalitico è un tentativo di liberare quell’amore rimosso che aveva trovato in un sintomo una laboriosa soluzione di compromesso. La coincidenza con il processo di guarigione descritto dal poeta nella Gradiva si fa perfetta allorché consideriamo che anche nella psicoterapia analitica la passione nuovamente risvegliata, sia essa amore od odio, sceglie ogni volta la persona del medico come proprio oggetto.
Naturalmente vi sono poi anche differenze che rendono il caso della Gradiva un caso ideale non raggiungibile dalla tecnica medica. La Gradiva può ricambiare l’amore che dall’inconscio si fa luce nella coscienza; il medico non lo può. La Gradiva era stata essa stessa l’oggetto dell’anteriore amore rimosso, e la sua persona offre immediatamente all’impulso amoroso liberato una meta desiderabile. Il medico era prima un estraneo e deve procurare di ritornare, dopo la guarigione, ancora un estraneo; spesso non può neppur dare, a chi è guarito, consigli sul modo di utilizzare nella vita la riacquistata capacità di amare. Ma troppo lontano dal compito che ci siamo proposti ci condurrebbe ora la considerazione degli artifici e surrogati di cui il medico si deve giovare per avvicinarsi, con maggiore o minor successo, al modello di guarigione d’amore che il poeta ci ha descritto.
Ed ora l’ultima domanda, alla quale già diverse volte abbiamo evitato di rispondere [vedi cap. 2]. Le nostre vedute sulla rimozione, sull’origine di un delirio e dei disturbi affini, sulla formazione e dissoluzione dei sogni, sulla parte esercitata dalla vita amorosa e sul metodo di cura di questi disturbi, non costituiscono affatto un patrimonio comune della scienza, e tantomeno qualche cosa che rientri nelle comuni nozioni delle persone colte. Se la perspicacia che consente al poeta di creare la sua “fantasia” in modo tale da permetterci di analizzarla come una storia clinica reale ha il carattere di una conoscenza, saremmo curiosi di apprendere le fonti di una tale conoscenza. Uno di noi che, come ho detto in principio, aveva preso interesse ai sogni della Gradiva e alla loro possibile interpretazione, si è rivolto al poeta per chiedergli direttamente se egli fosse in qualche modo a conoscenza di teorie scientifiche come queste. Il poeta, come era da attendersi, rispose di no, mostrandosi anche alquanto seccato. Disse che la Gradiva gli era stata dettata dalla sua fantasia e che egli ne aveva già tratto la propria soddisfazione; se a qualcuno non piaceva, che la lasciasse stare. Egli non sospettava quanto essa invece fosse piaciuta ai lettori.
È anche possibile che il rifiuto del poeta non si limiti a ciò. Forse egli nega in genere la conoscenza delle regole che, come abbiamo dimostrato, sono state da lui seguite, e rifiuta quelle intenzioni che noi abbiamo riconosciuto nell’opera sua. Io ritengo che ciò non sia improbabile; ma allora vi sono soltanto due spiegazioni possibili. Può essere che noi abbiamo costruito una vera caricatura dell’interpretazione, attribuendo a un’innocente opera artistica intenti che il suo creatore neppure sospetta, e dimostrando così ancora una volta quanto sia facile trovare ciò che si cerca e di cui si è già persuasi: possibilità, questa, di cui la storia della letteratura ci offre i più bizzarri esempi. Decida da sé il lettore se intende sottoscrivere questa interpretazione. Noi naturalmente ci atteniamo all’altra soluzione che ancora ci rimane. Pensiamo cioè che il poeta non aveva bisogno di saper nulla di tali regole e di tali intenzioni, cosicché la sua negazione è fatta in perfetta buona fede; ma che tuttavia non abbiamo attribuito all’opera sua nulla che in essa non fosse realmente contenuto. Probabilmente, noi e lui, attingiamo alle stesse fonti, lavoriamo sopra lo stesso oggetto, ciascuno di noi con un metodo diverso, e la coincidenza dei risultati sembra costituire una garanzia che abbiamo entrambi lavorato in modo corretto. Il nostro procedimento consiste nell’osservazione cosciente di processi psichici abnormi in altre persone, allo scopo di poter individuare e formulare le loro leggi. Il poeta certo procede in modo diverso: rivolge la propria attenzione all’inconscio nella propria psiche, spia le sue possibilità di sviluppo e ne dà un’espressione artistica, in luogo di reprimerle con la critica cosciente. Così egli esperimenta in sé quanto noi apprendiamo da altri, e cioè le leggi a cui deve sottostare l’attività di questo inconscio; ma non ha bisogno di enunciare queste leggi, e neppure di riconoscerle chiaramente: poiché la sua intelligenza critica non vi si ribella, esse si ritrovano contenute e incorporate nelle sue creazioni. Noi seguiamo lo sviluppo di queste leggi analizzando le sue opere poetiche, così come le ricaviamo dai casi di malattia reale. Ma una conclusione sembra che s’imponga: o entrambi, il medico e il poeta, abbiamo in egual modo frainteso l’inconscio, o entrambi lo abbiamo compreso esattamente. Tale conclusione è per noi molto importante; e per giungervi valeva la pena di esaminare con i metodi della psicoanalisi medica la descrizione della formazione e della guarigione del delirio, e così anche i sogni, della Gradiva di Jensen.
Saremmo in tal modo giunti al termine. Un lettore attento potrebbe però rammentarci che all’inizio abbiamo affermato [cap. 1] che i sogni sono desideri raffigurati nel loro appagamento, e che però non abbiamo dato la prova di questo. Orbene – rispondiamo – tutto ciò che è stato detto fin qui potrebbe indicare che non era giustificato ridurre tutte le spiegazioni che si possono dare del sogno sotto un’unica formula, secondo la quale il sogno sarebbe un appagamento di desiderio. Tuttavia l’affermazione regge ed è facile provarla anche per i sogni della Gradiva. I pensieri onirici latenti – ora sappiamo quel che s’intenda con tale espressione – possono essere di diversissima specie; nella Gradiva sono “residui diurni”, e cioè pensieri rimasti inascoltati e senza risposta da parte dell’attività psichica della veglia. Tuttavia perché un sogno si formi è necessario il concorso di un desiderio, le più volte inconscio: quest’ultimo fornisce la forza motrice per la costruzione del sogno, mentre i resti diurni ne forniscono il materiale. Nel primo sogno di Norbert Hanold concorrono insieme, per la creazione del sogno, due desideri: uno suscettibile di divenir cosciente, l’altro invece appartenente all’inconscio e che agisce solo in quanto riesce a superare la rimozione. Il primo è un desiderio comprensibile in qualsiasi archeologo, e cioè quello di aver potuto assistere come testimonio oculare alla catastrofe del 79. Che cosa non pagherebbe uno studioso del mondo antico perché questo desiderio potesse realizzarsi non in sogno soltanto! L’altro desiderio che concorre alla formazione del sogno è di natura erotica; in forma approssimativa e incompleta lo si potrebbe formulare così: essere presente quando l’amata si dispone a dormire. Proprio questo desiderio, respinto, determina il carattere ansioso del sogno. Meno evidenti sono forse i desideri propulsori del secondo sogno; ma ricordando la traduzione che ne abbiamo data, non esiteremo a considerare anch’essi come erotici. Il desiderio di venir preso dall’amata, di arrendersi e sottomettersi a lei, visibile dietro la situazione della cattura della lucertola, ha carattere propriamente passivo e masochistico. Il giorno dopo il sognatore picchia l’amata, come sotto il dominio di una corrente sessuale antagonistica. Ma qui ci dobbiamo fermare, altrimenti ci può veramente accadere di scordare che Hanold e la Gradiva sono soltanto creazioni del poeta.