Lezione 21
Sviluppo della libido e organizzazioni della sessualità
Signori, ho l’impressione di non essere riuscito a rendervi familiare in modo veramente convincente l’importanza delle perversioni per la nostra concezione della sessualità. Vorrei perciò migliorare e integrare la mia esposizione per quanto mi è possibile.
Non le perversioni soltanto ci hanno costretti a quella modifica del concetto di sessualità che ci ha valso un’opposizione così violenta. Lo studio della sessualità infantile vi ha contribuito ancora di più e la concordanza di questa con le perversioni ci è parsa decisiva. Ma le manifestazioni della sessualità infantile, per quanto inequivocabili possano essere negli anni più avanzati dell’infanzia, agli inizi sembrano dissolversi nell’indefinibile. Chi non vuole tener conto della storia dello sviluppo e del contesto analitico contesterà a queste manifestazioni il carattere sessuale attribuendo loro in compenso un carattere indifferenziato qualsivoglia. Non dimenticate che per il momento non siamo in possesso di un criterio universalmente accettato per definire la natura sessuale di un processo, tranne, ancora una volta, l’appartenenza alla funzione riproduttiva, che d’altra parte dobbiamo respingere come qualcosa di troppo limitato. I criteri biologici, come le periodicità di 23 e 28 giorni stabilite da Wilhelm Fliess,580 sono ancora assai discutibili; le peculiarità chimiche dei processi sessuali, di cui possiamo supporre l’esistenza, aspettano ancora di essere scoperte. Al contrario, le perversioni sessuali degli adulti sono qualcosa di tangibile e di inequivocabile. Come dimostra già la loro denominazione, universalmente accettata, si tratta indubbiamente di sessualità. Si voglia poi chiamarle segni di degenerazione o altrimenti, nessuno ha ancora avuto il coraggio di situarle altrove se non tra i fenomeni della vita sessuale. Anche solo in virtù di esse siamo autorizzati ad affermare che sessualità e riproduzione non coincidono: è infatti palese che tutte quante le perversioni rinnegano la meta della riproduzione.
Vedo qui un parallelo non privo di interesse. Mentre per i più “ cosciente” e “psichico” sono la stessa cosa, noi fummo costretti a procedere a un ampliamento del concetto di “psichico” e a riconoscere l’esistenza di qualcosa di psichico che non è cosciente. Del tutto analogo è il caso in cui gli altri dichiarano identici “sessuale” e “appartenente alla riproduzione” (o “genitale” se preferite esser più brevi), mentre noi non possiamo fare a meno di postulare un “sessuale” che non è “genitale”, e cioè un sessuale che non ha niente a che fare con la riproduzione. Si tratta solo di una somiglianza formale, ma non priva di una più profonda motivazione.
Ma, se l’esistenza delle perversioni sessuali è un argomento così definitivo a questo proposito, perché non ha prodotto il suo effetto già da molto tempo liquidando questa questione? Veramente non lo so. Penso che ciò sia legato al fatto che queste perversioni sessuali sono colpite da un bando del tutto particolare, che si estende alla teoria e sbarra la strada perfino alla loro valutazione sotto il profilo scientifico. Come se nessuno potesse dimenticare che non sono soltanto qualcosa di esecrabile, ma anche qualcosa di mostruoso, di pericoloso; come se le si ritenesse tentatrici e si dovesse in fondo soffocare una segreta invidia per coloro che ne godono, simile ad esempio a quella confessata dal langravio punitore nella celebre parodia del Tannhäuser:581
Im
Venusberg vergass er Ehr und Pflicht!
– Merkwürdig, unser einem passiert so etwas nicht.
[Sul monte di Venere dimenticò
onore e dovere!
– Strano, che a noi tal cosa non debba accadere.]
In realtà i pervertiti sono piuttosto dei poveri diavoli che pagano straordinariamente caro il loro soddisfacimento difficile a conquistarsi.
Ciò che, malgrado ogni possibile stranezza dei suoi oggetti e delle sue mete, rende l’attività perversa così inconfondibilmente sessuale è la circostanza che l’atto del soddisfacimento perverso si risolve perlopiù anch’esso nel pieno orgasmo e nella secrezione dei prodotti genitali. Questo naturalmente è solo la conseguenza della maturità delle persone; nel bambino l’orgasmo e la secrezione genitale non sono possibili e vengono sostituiti con accenni ai quali ancora una volta viene contestato il carattere sessuale.
Devo aggiungere ancora qualcosa per completare le nostre vedute sulle perversioni sessuali. Per quanto le si possa ricoprire d’infamia, per quanto nettamente le si contrapponga alla normale attività sessuale, un’osservazione pacata ci mostra che alla vita sessuale delle persone normali soltanto raramente manca questo o quel tratto di natura perversa. Già il bacio può pretendere l’appellativo di atto perverso, poiché consiste nel congiungimento di due zone erogene orali al posto dei due genitali. Nessuno però lo respinge come perverso; al contrario, esso viene ammesso nella rappresentazione scenica come allusione mitigata dell’atto sessuale. Ma proprio il baciare può trasformarsi facilmente in una piena perversione, e ciò quando diventa talmente intenso che ne conseguono direttamente lo sfogo genitale e l’orgasmo, il che non avviene poi tanto di rado. Si scopre anche che per alcuni il palpare e il contemplare l’oggetto sono condizioni indispensabili del godimento sessuale, che altri al culmine dell’eccitamento sessuale pizzicano o mordono, che non sempre negli amanti il massimo dell’eccitamento sessuale è provocato dal genitale ma qualche volta da un’altra regione del corpo dell’oggetto, e altre cose ancora di questo genere, con grande varietà di scelta. Non ha alcun senso escludere dalla schiera delle persone normali e collocare tra i pervertiti chi presenta singoli tratti di questo genere; al contrario si riconosce sempre più chiaramente che l’essenza delle perversioni non consiste nella trasgressione della meta sessuale, né nella sostituzione dei genitali e neppure nella variazione dell’oggetto, ma soltanto nell’esclusività con la quale queste deviazioni hanno luogo e mediante la quale viene spinto in disparte l’atto sessuale che serve alla riproduzione. Le azioni perverse, allorché si inseriscono come elementi che preparano o rendono più intenso il compimento dell’atto sessuale normale, non sono più vere e proprie perversioni. Naturalmente lo iato tra sessualità normale e sessualità perversa si restringe assai a causa di questi fatti. Ne risulta facilmente che la sessualità normale proviene da qualcosa che esisteva già prima e si è formata scartando come inservibili certe caratteristiche di questo materiale e riunendone insieme altre per subordinarle a un nuovo fine, quello riproduttivo.
Prima di impiegare la familiarità ormai raggiunta con le perversioni per addentrarci nuovamente con premesse più chiare nello studio della sessualità infantile, devo richiamare la vostra attenzione su un’importante differenza tra queste due realtà. La sessualità perversa, di regola, è perfettamente concentrata: ogni sua azione tende a una meta (perlopiù a un’unica meta), una pulsione parziale ha in essa il sopravvento o essendo l’unica pulsione accertabile o avendo assoggettato le altre pulsioni ai suoi intenti. A questo riguardo, tra la sessualità perversa e quella normale non vi è altra differenza se non che le pulsioni parziali dominanti, e quindi le mete sessuali, sono diverse. Tanto qui che là vi è, per così dire, una tirannide organizzata, solo che qui si è impadronita del potere una famiglia, là un’altra. La sessualità infantile, per contro, è priva nel suo complesso di tale accentramento e organizzazione, le sue singole pulsioni parziali godono di uguali diritti perseguendo ciascuna per proprio conto la conquista del piacere. Naturalmente, sia la mancanza sia la presenza dell’accentramento concordano bene con il fatto che entrambe, la sessualità perversa e quella normale, sono scaturite dalla sessualità infantile. Vi sono del resto anche casi di sessualità perversa che hanno molta più somiglianza con la sessualità infantile, essendosi affermate (o meglio: continuate) numerose pulsioni parziali, ciascuna con la propria meta e una indipendentemente dall’altra. In questi casi è meglio parlare di infantilismo della vita sessuale piuttosto che di perversione.
Così preparati, possiamo passare alla discussione di un suggerimento che non ci sarà sicuramente risparmiato. Qualcuno verrà a dirmi: “Perché lei si intestardisce a chiamare sessualità già le manifestazioni dell’infanzia, indeterminate, secondo la sua stessa dichiarazione, e dalle quali si svilupperà più tardi la vita sessuale? Perché non preferisce accontentarsi della descrizione fisiologica e dire semplicemente che nel lattante si osservano già attività, come il ciucciare o il trattenere gli escrementi, le quali ci mostrano che egli tende al ‘piacere d’organo’?582 In tal modo eviterebbe l’ipotesi di una vita sessuale dei bambini piccolissimi, che davvero offende la sensibilità di tutti.” Ebbene, signori miei, non ho proprio nulla da obiettare contro il piacere d’organo; so che anche il supremo piacere dell’unione sessuale è solo un piacere d’organo, legato all’attività dei genitali. Ma sapete dirmi quand’è che questo piacere d’organo, originariamente indifferente, acquista il carattere sessuale che possiede indubbiamente nelle fasi successive dello sviluppo? Ne sappiamo di più intorno al “piacere d’organo” che intorno alla sessualità? Risponderete che il carattere sessuale sopravviene appunto quando i genitali cominciano a svolgere il loro ruolo: “sessuale” coincide allora con “genitale”. Respingerete anche l’obiezione basata sulle perversioni, facendomi presente che nella maggior parte delle perversioni ciò che importa in fin dei conti è l’orgasmo sessuale, sia pure raggiunto in modi diversi dall’unione dei genitali. Riconosco che, se cancellate dalla caratterizzazione di ciò che è sessuale il rapporto con la riproduzione, insostenibile per via delle perversioni, e anteponete in sua vece l’attività genitale, la vostra posizione è assai più forte. Ma a questo punto le nostre posizioni non sono più molto lontane: abbiamo semplicemente gli organi genitali contro gli altri organi. Ma cosa pensate di fare di fronte alle molteplici esperienze che dimostrano come i genitali possano venir sostituiti da altri organi per il conseguimento di piacere, come nel caso del normale bacio, come nelle pratiche pervertite dei gaudenti, come nella sintomatologia dell’isteria? In quest’ultima nevrosi, è del tutto comune che i segni della stimolazione, le sensazioni e le innervazioni, e perfino i processi di erezione che sono tipici dei genitali, vengano spostati su differenti e lontane regioni del corpo (per esempio, nel caso di trasposizione verso l’alto, sulla testa o sul viso). Dovete convincervi che non avete nulla su cui basarvi per caratterizzare ciò che è sessuale, e allora dovete decidervi a seguire il mio esempio ed estendere la definizione di “sessuale” anche alle attività della prima infanzia, tendenti al piacere d’organo.
E ora, a mia giustificazione, vi sottopongo ancora due ulteriori considerazioni. Come sapete, noi chiamiamo sessuali le controverse e indefinibili attività che, nella prima infanzia, sono volte al piacere, perché, durante l’analisi, partendo dai sintomi giungiamo a esse per il tramite di materiale incontestabilmente sessuale. Devo ammettere che ciò non significa che debbano essere sessuali anche queste stesse attività. Ma prendete un caso analogo. Immaginate che non disponessimo di alcun mezzo per osservare lo sviluppo, dai loro semi, di due piante dicotiledoni, il melo e il fagiolo, ma che ci fosse possibile in entrambi i casi seguire a ritroso il loro sviluppo dalla pianta pienamente sviluppata fino al primo embrione vegetale con due cotiledoni.583 I due cotiledoni hanno un aspetto indifferenziato, sono del tutto uguali in entrambi i casi. Supporrò per questo che siano realmente uguali e che la differenza specifica tra melo e fagiolo subentri solo più tardi nelle due piante? Oppure è biologicamente più corretto credere che questa differenza sia presente già nell’embrione, benché io non possa ravvisare una diversità nei cotiledoni? Facciamo lo stesso quando chiamiamo sessuale il piacere delle attività del lattante. Non posso qui discutere se ogni piacere d’organo si possa chiamare sessuale, oppure se accanto a quello sessuale vi sia un altro piacere che non merita questo nome. So troppo poco del piacere d’organo e delle condizioni che lo determinano; comunque, dato il carattere a ritroso dell’analisi, non ho di che meravigliarmi se alla fine giungo in presenza di fattori che per il momento sono indefinibili.
Ma non basta! Anche se riuscite a persuadermi che è meglio considerare non sessuali le attività del lattante, ottenete, in complesso, ben poco ai fini di quello che vi sta a cuore, ossia la purezza sessuale del bambino. Infatti, già a partire dal terzo anno, non ci son più dubbi per quanto riguarda la vita sessuale del bambino: a quest’epoca i genitali cominciano già a destarsi; ne risulta regolarmente, forse, un periodo di masturbazione infantile, ossia di soddisfacimento genitale. Quanto alle manifestazioni psichiche e sociali della vita sessuale, non temete: scelta dell’oggetto, tenera preferenza per particolari persone, addirittura decisione in favore di uno dei due sessi, e gelosia, sono il frutto di osservazioni imparziali, fatte indipendentemente e prima dell’avvento della psicoanalisi, e tali da poter essere confermate da ogni osservatore che abbia voglia di costatarle personalmente. Obietterete di non avere dubitato del risveglio precoce della tenerezza, ma solo del fatto che queste tenerezze rivestano carattere “sessuale”. È vero che i bambini fra i tre e gli otto anni hanno già imparato a nascondere queste cose ma, se state attenti, non vi sarà difficile raccogliere sufficienti prove delle intenzioni “sensuali” delle loro tenerezze e, se poi ancora avrete dei dubbi, vi verranno chiariti agevolmente e in larga misura dalle indagini analitiche. Le mete sessuali di questo periodo sono intimamente connesse con la simultanea esplorazione sessuale di cui vi ho dato alcuni saggi [vedi lez. 20, in OSF, vol. 8]. Il carattere perverso di alcune di queste mete dipende, naturalmente, dall’immaturità costituzionale del bambino, il quale non ha ancora scoperto la meta che consiste nell’atto di accoppiamento.
All’incirca dal sesto fino all’ottavo anno si può notare un arresto e una recessione dello sviluppo sessuale che, nei casi più favorevoli dal punto di vista culturale, merita il nome di periodo di latenza. Il periodo di latenza può anche mancare, né esso comporta necessariamente un’interruzione generale dell’attività e degli interessi sessuali. La maggior parte delle esperienze e degli impulsi psichici precedenti l’inizio del periodo di latenza soccombono poi all’amnesia infantile, alla dimenticanza (discussa [vedi lez. 13, in OSF, vol. 8]) che avvolge la nostra prima età e ce la rende estranea. In ogni psicoanalisi si pone il compito di riportare alla memoria questo periodo dimenticato della vita; non si può fare a meno di supporre che gli inizi della vita sessuale, in esso contenuti, siano il vero motivo di questa dimenticanza, che l’oblio sia quindi un risultato della rimozione.
A partire dal terzo anno di età la vita sessuale del bambino presenta molte concordanze con quella dell’adulto. Si distingue da quest’ultima, come già sappiamo, per la mancanza di una solida organizzazione sotto il primato dei genitali, per gli inevitabili tratti di perversione e, ovviamente, anche per l’intensità di gran lunga inferiore dell’aspirazione sessuale nel suo complesso. Ma le fasi teoricamente più interessanti dello sviluppo sessuale o, come diciamo noi, libidico stanno alle spalle di quest’epoca. Tale sviluppo viene percorso con tale rapidità che l’osservazione diretta probabilmente non sarebbe mai riuscita a fissarne le fuggevoli immagini. Solo con l’aiuto dell’indagine psicoanalitica delle nevrosi è diventato possibile indovinare fasi ancora anteriori dello sviluppo della libido. Queste non sono, certo, nient’altro che costruzioni, ma se vi capiterà di praticare la psicoanalisi, troverete che sono costruzioni necessarie e utili. Come avvenga che qui la patologia possa rivelarci condizioni che nel soggetto normale ci sfuggono inevitabilmente, lo comprenderete tra poco.
Eccomi dunque a descrivervi come si forma la vita sessuale del bambino prima che si stabilisca il primato dei genitali la cui preparazione si effettua nell’epoca infantile che precede immediatamente il periodo di latenza e la cui organizzazione si compie a partire dalla pubertà in poi. In questo periodo precedente esiste un’organizzazione meno stabile, che vogliamo chiamare pregenitale. In questa fase, però, stanno in primo piano non le pulsioni genitali parziali, bensì quelle sadiche e anali. Il contrasto tra maschile e femminile non svolge qui ancora alcuna funzione; il suo posto è preso dal contrasto tra attivo e passivo, contrasto che si può dire preannunci la polarità sessuale con cui più tardi si salda. Ciò che nelle attività di questa fase ci appare come maschile, quando consideriamo tali attività dal punto di vista della fase genitale, si rivela l’espressione di una pulsione di appropriazione che sconfina facilmente nella crudeltà. Certe tendenze con meta passiva si collegano alla zona erogena dell’orifizio anale, molto importante in questo periodo. Le pulsioni di guardare e di conoscere si attivano fortemente; il genitale prende parte effettivamente alla vita sessuale soltanto come organo di escrezione dell’urina. Alle pulsioni parziali di questa fase non mancano gli oggetti, ma questi non convergono necessariamente in un unico oggetto. L’organizzazione sadico-anale è lo stadio preliminare più prossimo alla fase del primato genitale. Uno studio più approfondito mostra quanta parte di essa rimane conservata nella successiva, definitiva, conformazione sessuale e in qual modo le sue pulsioni parziali vengono costrette a inserirsi nella nuova organizzazione genitale.584 Dietro la fase sadico-anale dello sviluppo libidico giungiamo a scorgere anche uno stadio di organizzazione precedente, ancora più primitiva, nella quale svolge la parte principale la zona erogena orale. Come potete indovinare, in essa rientra l’attività sessuale del ciucciare [vedi lez. 20, in OSF, vol. 8]; e a questo proposito ammirerete la profonda comprensione degli antichi egizi, la cui arte caratterizza il bambino, compreso il divino Hor, con il dito in bocca. Solo recentemente Abraham ha reso noto quali tracce lasci dietro di sé nella vita sessuale degli anni successivi questa primitiva fase orale.585
Signori, sono pronto a credere che queste notizie sulle organizzazioni sessuali siano state per voi più gravose che istruttive. Forse ancora una volta mi sono troppo addentrato nei particolari. Ma abbiate pazienza; ciò che avete appreso ora acquisterà maggior valore dalla sua successiva applicazione. Attenetevi per ora al principio che la vita sessuale – o, come noi diciamo, la funzione libidica – non compare come qualcosa di compiuto, né continua a svilupparsi a somiglianza di sé stessa, ma attraversa una serie di fasi successive che non si rassomigliano tra loro; si tratta dunque di uno sviluppo che si ripete più volte, come quello dal bruco alla farfalla. Il punto di trapasso dello sviluppo è la subordinazione di tutte le pulsioni sessuali parziali al primato dei genitali e con questo l’assoggettamento della sessualità alla funzione riproduttiva. In precedenza c’è una vita sessuale per così dire dispersa, un’attività indipendente delle singole pulsioni parziali che tendono a conseguire il piacere d’organo. Questa anarchia è mitigata da rudimenti di organizzazioni “pregenitali”: dapprima la fase sadico-anale e, dietro ad essa, quella orale, forse la più primitiva. A ciò si aggiungano i diversi processi, non ancora esattamente conosciuti, che conducono da uno stadio di organizzazione a quello successivo e immediatamente superiore. Una delle prossime volte,586 apprenderemo quale importanza per la comprensione delle nevrosi abbia il fatto che lo sviluppo della libido percorra un cammino così lungo e pieno di interruzioni.
Oggi seguiremo ancora un altro aspetto di questo sviluppo, cioè la relazione delle pulsioni sessuali parziali con l’oggetto. O, piuttosto, daremo una rapida scorsa a questo sviluppo, per soffermarci più a lungo su un suo risultato alquanto tardivo. Alcune componenti della pulsione sessuale – come la pulsione di appropriazione (sadismo), la pulsione di guardare e quella di conoscere – hanno fin dall’inizio un oggetto e lo conservano. Altre, che sono più chiaramente legate a determinate zone erogene del corpo, lo possiedono solo all’inizio, fintantoché continuano ad appoggiarsi alle funzioni non sessuali [ibid.], e lo abbandonano quando si staccano da queste. Così il primo oggetto della componente orale della pulsione sessuale è il seno materno, il quale soddisfa il bisogno di nutrizione del lattante. La componente erotica, che viene contemporaneamente soddisfatta durante il poppare al seno, si rende poi indipendente come atto del ciucciare, abbandona l’oggetto estraneo e lo sostituisce con una zona del proprio corpo. La pulsione orale diventa autoerotica, come lo sono sin dall’inizio le pulsioni anali e le altre pulsioni erogene. Lo sviluppo successivo ha, per esprimerci nel modo più conciso, due mete: in primo luogo deve abbandonare l’autoerotismo, scambiare nuovamente l’oggetto appartenente al proprio corpo con un oggetto esterno; in secondo luogo deve unificare i diversi oggetti delle singole pulsioni sostituendoli con un unico oggetto. Naturalmente ciò può riuscire soltanto se questo oggetto è a sua volta un corpo intero, simile al proprio. Inoltre questo sviluppo non può compiersi senza che un certo numero di spinte pulsionali autoerotiche vengano tralasciate come inutilizzabili.
I processi che danno luogo al rinvenimento dell’oggetto sono piuttosto intricati e non hanno trovato finora un’esposizione chiara ed esauriente. Sottolineiamo per i nostri intenti che, quando il processo ha raggiunto una certa conclusione negli anni infantili che precedono il periodo di latenza, l’oggetto trovato si dimostra quasi identico al primo, all’oggetto della pulsione di quel piacere orale che era stato raggiunto per appoggio [alla pulsione di nutrizione].587 Anche se non è il seno materno, questo oggetto è tuttavia la madre. Noi chiamiamo la madre il primo oggetto d’amore. Parliamo infatti di amore quando portiamo in primo piano il lato psichico delle tendenze sessuali e vogliamo far retrocedere, o dimenticare per un momento, le esigenze pulsionali fisiche o “sensuali” che ne stanno alla base. Nel periodo in cui la madre diventa oggetto d’amore è già cominciato nel bambino anche il lavoro psichico della rimozione, la quale sottrae alla sua consapevolezza la nozione di una parte delle sue mete sessuali. A questa scelta della madre come oggetto d’amore si ricollega tutto ciò che, sotto il nome di complesso edipico, ha assunto così grande importanza nella spiegazione psicoanalitica delle nevrosi e ha contribuito in misura forse non trascurabile a provocare la resistenza contro la psicoanalisi [vedi lez. 13, in OSF, vol. 8].588
Ascoltate un piccolo episodio che si è verificato nel corso di questa guerra. Uno dei valenti discepoli della psicoanalisi si trova come medico al fronte tedesco in qualche parte della Polonia e attira l’attenzione dei colleghi per il fatto di esercitare occasionalmente un inaspettato influsso su un ammalato. Interrogato, confessa di lavorare con i metodi della psicoanalisi e si dichiara pronto a comunicare ai colleghi le sue conoscenze. Ogni sera, dunque, i medici del corpo, colleghi e superiori, si riuniscono per ascoltare le segrete dottrine dell’analisi. Per qualche tempo tutto va bene ma, dopo che egli ha parlato agli ascoltatori del complesso edipico, un superiore si alza e afferma che lui non ci crede, che è una bassezza da parte del conferenziere raccontare cose del genere a loro, bravuomini che combattono per la loro patria e padri di famiglia, e vieta il proseguimento delle conferenze. Così la cosa ha avuto fine. L’analista si è fatto trasferire in un’altra parte del fronte. Io, tuttavia, credo che sarebbe grave se per la vittoria tedesca occorresse una simile “organizzazione” della scienza; la scienza tedesca non la tollererà.
Sarete ora impazienti di sapere che cosa contenga questo terribile complesso edipico. Il nome ve lo dice. Voi tutti conoscete la leggenda greca del re Edipo, che è destinato dal fato a uccidere suo padre e a prendere in sposa sua madre, che fa di tutto per sfuggire alla sentenza dell’oracolo e che poi si punisce accecandosi, quando apprende che ha nondimeno commesso, inconsapevolmente, entrambi questi delitti. Mi auguro che molti di voi abbiano provato di persona l’effetto sconvolgente della tragedia nella quale Sofocle tratta questa materia. L’opera del poeta attico mostra come il misfatto di Edipo, commesso molto tempo prima, venga a poco a poco svelato con un’indagine rallentata ad arte e attizzata da sempre nuovi indizi; sotto quest’aspetto essa ha una certa somiglianza con il procedere di una psicoanalisi. Nel corso del dialogo avviene che Giocasta, l’illusa madre-sposa, si opponga al proseguimento dell’indagine. Ella si appella al fatto che a molti è capitato in sogno di giacere con la propria madre, ma che ai sogni bisogna dar poco peso. Noi non diamo poco peso ai sogni, e tantomeno ai sogni tipici, quelli che sono comuni a molte persone, e non dubitiamo che il sogno menzionato da Giocasta sia intimamente connesso con il contenuto, strano e spaventoso, della leggenda.
C’è da meravigliarsi che la tragedia di Sofocle non provochi il rifiuto indignato dell’ascoltatore, una reazione simile a quella del nostro medico militare semplicione, ma di gran lunga più giustificata. Poiché, in sostanza, è un’opera immorale, che annulla la responsabilità dell’uomo, mostra le forze divine istigatrici del delitto e l’impotenza degli impulsi morali dell’uomo che al delitto si oppongono. Si potrebbe quasi credere che la materia della leggenda si proponga di accusare gli dèi e il fato, e nelle mani di Euripide, spirito critico in rotta con gli dèi, essa si sarebbe probabilmente trasformata in un’accusa di questo genere. Ma trattandosi di un credente come Sofocle, non è il caso di vedere le cose sotto questa luce; un devoto espediente, per cui la più alta moralità starebbe nel piegarsi alla volontà degli dèi, anche quando essi ingiungono qualcosa di criminoso, aiuta a superare la difficoltà. Non ritengo assolutamente che questa morale sia uno dei punti di forza dell’opera; al contrario, essa è indifferente ai fini dell’effetto tragico. L’ascoltatore non reagisce alla morale, ma al senso e al contenuto segreto della leggenda. Reagisce come se, attraverso un’autoanalisi, avesse riconosciuto in sé il complesso edipico e smascherato sia la volontà divina sia l’oracolo, riconoscendo in essi gli elevati travestimenti del suo proprio inconscio. È come se fosse costretto a ricordare i desideri di eliminare il padre e di prendere al suo posto la madre in moglie, e a esserne atterrito. Egli intende anche la voce del poeta come se volesse dirgli: “Invano ti dibatti contro la sua responsabilità e invochi quello che hai fatto contro queste intenzioni delittuose. Sei colpevole lo stesso, perché non hai potuto annientarle; inconsciamente esse esistono ancora in te.” E in ciò è contenuta una verità psicologica. Anche se l’uomo ha rimosso nell’inconscio i suoi impulsi malvagi e vorrebbe dirsi che non è responsabile di essi, qualcosa lo costringe ad avvertire questa responsabilità come un senso di colpa il cui motivo gli è sconosciuto.589
È del tutto indubbio che nel complesso edipico si può vedere una delle più importanti fonti del senso di colpa da cui i nevrotici sono tanto spesso afflitti. Ma dirò di più: in uno studio sugli esordi della religione e della moralità umana, che ho pubblicato nel 1913 con il titolo Totem e tabù, ho avanzato la supposizione che all’inizio della sua storia l’umanità in genere abbia derivato il suo senso di colpa, radice ultima della religione e della morale, dal complesso edipico.590 Mi piacerebbe dirvi di più su questo argomento, ma è meglio che ci rinunci. È difficile staccarsi da questo tema quando si è cominciato a occuparsene; e noi dobbiamo far ritorno alla psicologia individuale.
Che cosa si può dunque scoprire del complesso edipico mediante l’osservazione diretta del bambino, all’epoca della scelta oggettuale che precede il periodo di latenza? Ebbene, si vede facilmente che il maschietto vuole avere la madre soltanto per sé, avverte come incomoda la presenza del padre, si adira se questi si permette segni di tenerezza verso la madre e manifesta la sua contentezza quando il padre parte per un viaggio o è assente. Spesso dà diretta espressione verbale ai suoi sentimenti, promette alla madre che la sposerà. Si penserà che ciò è poca cosa in confronto alle imprese di Edipo, ma di fatto è già abbastanza, in germe è la stessa cosa. L’osservazione viene spesso offuscata dalla circostanza che in altre occasioni lo stesso bambino manifesta contemporaneamente una grande affezione per il padre; tuttavia, simili atteggiamenti emotivi opposti – o per dire meglio, “ambivalenti”591 – che nell’adulto porterebbero al conflitto, nel bambino sono del tutto compatibili tra loro per un lungo periodo, così come più tardi trovano posto permanentemente l’uno accanto all’altro nell’inconscio. Si vorrà anche obiettare che il comportamento del maschietto scaturisce da motivi egoistici e non autorizza affatto a postulare un complesso erotico. La madre provvede a tutte le necessità del bambino, e il bambino ha perciò interesse che ella non si occupi di nessun altro. Anche questo è vero, ma diventa subito chiaro che in questa, come in altre situazioni simili, l’interesse egoistico592 offre solo il punto di appoggio, al quale si allaccia la tendenza erotica. Quando il piccolo mostra la più scoperta curiosità sessuale per la madre, quando pretende di dormirle vicino durante la notte, quando insiste per essere presente alla sua toeletta o intraprende addirittura tentativi di seduzione – come spesso la madre può costatare e riferire ridendo – la natura erotica dell’attaccamento alla madre è garantita al di là di ogni dubbio. Non si deve dimenticare neppure che la madre prodiga le stesse premure alla figlioletta, senza ottenere lo stesso risultato,593 e che abbastanza spesso il padre fa a gara con lei nel prendersi cura del maschio, senza riuscire ad acquistare la sua stessa importanza. In breve, nessuna obiezione critica è in grado di eliminare dalla situazione il fattore della predilezione sessuale. Dal punto di vista dell’interesse egoistico sarebbe solo sciocco da parte del maschietto non voler ammettere ai suoi servizi due persone invece che una sola.
Come vedete, ho descritto solo il rapporto del maschio con il padre e la madre. Quanto alla femmina, esso si configura in modo del tutto analogo, con le necessarie varianti.594 L’attaccamento affettuoso al padre, la necessità di eliminare la madre come superflua e di occuparne il posto, e una civetteria che mette già in opera i mezzi della futura femminilità, contribuiscono a dare della bimbetta un quadro incantevole, che ci fa dimenticare il lato serio e le possibili gravi conseguenze che stanno dietro questa situazione infantile. Non trascuriamo di aggiungere che spesso gli stessi genitori esercitano un’influenza decisiva sul risveglio dell’atteggiamento edipico del bambino, abbandonandosi anch’essi all’attrazione sessuale e, nel caso che vi sia più di un figlio, anteponendo nel modo più evidente nel proprio affetto il padre la figlioletta e la madre il figlio. Ma la natura spontanea del complesso edipico del bambino non può essere scossa seriamente nemmeno da questo fattore.
Col sopraggiungere di altri bambini, il complesso edipico si allarga nel complesso familiare; appoggiandosi nuovamente al senso egoistico di esser danneggiati, tale complesso costituisce il motivo per cui i fratellini o le sorelline vengono accolti con avversione ed eliminati senza esitazione nel desiderio. A questi sentimenti di odio i bambini, di regola, danno molto più facilmente espressione verbale che a quelli scaturiti dal complesso parentale.595 Se un simile desiderio trova adempimento e la morte riporta via entro breve tempo l’indesiderato nuovo membro della famiglia, l’analisi in età più tarda mostrerà quanto importante sia stata per il bambino l’esperienza di questa morte, anche se essa non è necessariamente rimasta impressa nella sua memoria. Il bambino, spinto in seconda linea dalla nascita di un fratellino o di una sorellina, quasi isolato dalla madre per i primi tempi, molto difficilmente le perdona di essere stato negletto; in lui si insinuano sentimenti che nell’adulto sarebbero definiti di grave esasperazione e che diventano spesso la base di un duraturo estraniamento. Abbiamo già menzionato il fatto che l’esplorazione sessuale, con tutte le sue conseguenze, si riallaccia di solito a questa esperienza della vita del bambino [vedi lez. 20, in OSF, vol. 8]. Con il crescere di questi fratelli o sorelle, l’atteggiamento verso di essi subisce trasformazioni molto significative. Il fanciullo può assumere la sorella quale oggetto amoroso in sostituzione della madre infedele; tra più fratelli che si contendono una sorellina più piccola, si verificano già all’epoca dei giochi quelle situazioni di rivalità ostile che nella vita successiva assumeranno grande importanza. Una bambina trova nel fratello maggiore un sostituto del padre che non si cura più di lei in modo affettuoso come nei primi anni, oppure prende una sorella minore come sostituto del bambino che ha invano desiderato dal padre.
Simili cose, e molte altre ancora di natura analoga, vi mostrerà l’osservazione diretta dei bambini e la considerazione dei ricordi degli anni infantili, purché siano chiaramente conservati e non influenzati dall’analisi. Ne trarrete, tra l’altro, la conclusione che la posizione occupata dal bambino nella serie dei figli è un fattore estremamente importante per il configurarsi della sua vita successiva, che dovrebbe venir preso in considerazione in ogni biografia. Ma, ciò che è più importante, di fronte a questi chiarimenti così facili da ottenere non potrete ricordare senza sorridere le asserzioni fatte dalla scienza per spiegare il divieto dell’incesto [vedi lez. 13, in OSF, vol. 8]. Che cosa non si è inventato in proposito! L’inclinazione sessuale sarebbe stata distolta dai membri di sesso diverso della stessa famiglia a causa della convivenza fin dall’infanzia; oppure nell’innato orrore per l’incesto troverebbe la sua rappresentanza psichica una tendenza biologica a evitare i contatti tra consanguinei! Qui si dimentica completamente che da parte della legge e della morale non ci sarebbe bisogno di una tale inesorabile proibizione se vi fosse una qualsiasi sicura barriera naturale contro la tentazione dell’incesto. La verità sta nel contrario. La prima scelta oggettuale degli esseri umani è sempre incestuosa, diretta, nel caso del maschio, verso la madre e la sorella; e sono necessari i più severi divieti per trattenere dall’attuazione questa persistente inclinazione infantile. Presso i primitivi ancor oggi viventi, i popoli selvaggi, i divieti relativi all’incesto sono ancora più severi che da noi, e recentemente Theodor Reik ha mostrato in uno splendido lavoro596 che i riti di pubertà dei selvaggi, che rappresentano una rinascita, hanno il significato di sciogliere il legame incestuoso del fanciullo con la madre e di stabilire la sua conciliazione con il padre.
La mitologia vi insegna che l’incesto, che si presume sia così aborrito dagli uomini, viene concesso tranquillamente agli dèi, e dalla storia antica potete apprendere che il matrimonio incestuoso con la sorella era un precetto sacro per la persona del sovrano (presso gli antichi faraoni e gli incas del Perù). Si tratta quindi di un privilegio proibito ai comuni mortali.
L’incesto con la madre è uno dei delitti di Edipo, l’altro è l’uccisione del padre. Sia detto per inciso che sono anche i due grandi delitti che la prima istituzione sociale-religiosa degli uomini, il totemismo, proibisce rigorosamente.597
Dall’osservazione diretta del bambino rivolgiamoci ora all’indagine analitica di adulti diventati nevrotici. Qual è il contributo dell’analisi per un’ulteriore conoscenza del complesso edipico? È presto detto. Essa lo presenta così come la leggenda lo racconta; mostra che ognuno di questi nevrotici è stato egli stesso un Edipo o, ciò che mette capo alla stessa cosa, per reazione al complesso è divenuto un Amleto.598 Naturalmente, la descrizione che dà l’analisi del complesso edipico è una amplificazione semplificata dell’abbozzo infantile. L’odio contro il padre, il desiderio di morte nei suoi confronti non sono più timidamente accennati, la tenerezza per la madre riconosce il proprio scopo di possederla come donna. Possiamo realmente attribuire questi impulsi emotivi brutali ed estremi a quei teneri anni infantili o invece l’analisi ci inganna inserendo un nuovo fattore? Non è difficile scoprirne uno. Ogni qual volta un uomo riferisce sul passato, si tratti pure di uno storiografo, dobbiamo prendere in considerazione ciò che egli senza volere traspone nel passato dal presente o da periodi intermedi, così da falsare il quadro. Nel caso del nevrotico c’è perfino da domandarsi se questa trasposizione regressiva sia del tutto inintenzionale; in seguito ci toccherà scoprirne alcuni motivi e prendere atto del valore che spetta in generale al “fantasticare retrospettivo” sul proprio lontano passato.599 Scopriamo altrettanto facilmente che l’odio verso il padre è rafforzato da una quantità di motivi che provengono da epoche e circostanze successive, e che i desideri sessuali nei confronti della madre assumono forme che di necessità erano ancora aliene al bambino. Ma sarebbe fatica inutile voler spiegare l’intero complesso edipico mediante il fantasticare retrospettivo e volerlo riferire a epoche successive. Il nucleo infantile come pure un numero maggiore o minore di elementi accessori permangono, com’è testimoniato dalla diretta osservazione del bambino.
Il fatto clinico che ci appare dietro la forma del complesso edipico, quale risulta dall’analisi, è della massima importanza pratica. Rileviamo che all’epoca della pubertà, allorché per la prima volta la pulsione sessuale fa sentire le sue pretese, gli antichi oggetti familiari e incestuosi vengono riassunti e libidicamente reinvestiti. La scelta oggettuale infantile era solo un debole preludio, che ha indicato però la direzione della scelta oggettuale nella pubertà. A questo punto si svolgono, dunque, processi emotivi intensissimi in direzione del complesso edipico o in reazione ad esso, i quali però, essendo le loro premesse diventate intollerabili, devono in gran parte rimanere lontani dalla coscienza. A partire da questo momento, l’individuo umano deve dedicarsi al grande compito di svincolarsi dai genitori e solo dopo la soluzione di questo compito può cessare di essere un bambino e diventare un membro della comunità sociale. Per il figlio, il compito consiste nello staccare i suoi desideri libidici dalla madre onde impiegarli nella scelta di un oggetto d’amore estraneo e reale, e nel conciliarsi con il padre se è rimasto in antagonismo con lui o nel liberarsi dalla sua oppressione se, reagendo alla ribellione infantile, è incorso in un rapporto di soggezione nei suoi confronti. Questi compiti si pongono a ognuno di noi, ed è degno di nota quanto raramente il loro assolvimento riesca in modo ideale, in modo cioè corretto sia psicologicamente, sia socialmente. Ai nevrotici, però, questo distacco non riesce affatto: il figlio rimane per tutta la vita piegato sotto l’autorità del padre e non è in grado di trasferire la sua libido su un oggetto sessuale estraneo. La stessa sorte può toccare, mutando le parti, alla figlia. In questo senso il complesso edipico è ritenuto, a ragione, il nucleo delle nevrosi.600
Signori, voi intuite come io abbia toccato solo di sfuggita un gran numero di circostanze di notevole importanza pratica e teorica, connesse col complesso edipico. Non mi addentro nemmeno nelle varianti e nel possibile rovesciamento di quest’ultimo.601 Voglio accennarvi soltanto a una delle sue più remote ramificazioni: e cioè a come si è dimostrato uno degli elementi che maggiormente hanno determinato la produzione poetica. In un’opera meritoria602 Otto Rank ha mostrato che i drammaturghi di tutti i tempi hanno attinto i loro soggetti principalmente dal complesso edipico e dall’incesto, dalle sue varianti e dai suoi travestimenti. Inoltre, non si deve omettere di menzionare che molto prima dell’avvento della psicoanalisi, i due desideri delittuosi del complesso edipico sono stati riconosciuti come i veri rappresentanti della vita pulsionale priva di inibizioni. Tra gli scritti dell’enciclopedista Diderot figura un dialogo famoso, Le neveu de Rameau, reso in tedesco nientemeno che da Goethe. Ivi potete leggere questa frase sorprendente: “Si le petit sauvage était abandonné à lui-même, qu’il conservât toute son imbecillité et qu’il réunît au peu de raison de l’enfant au berceau la violence des passions de l’homme de trente ans, il tordrait le col à son père et coucherait avec sa mère.”603
C’è qualcos’altro ancora che non posso tralasciare. La madre-sposa di Edipo non deve averci richiamato invano ai sogni [vedi lez. 21, in OSF, vol. 8]. Ricordate ancora il risultato delle nostre analisi dei sogni? che i desideri costruttori del sogno sono tanto spesso di natura perversa, incestuosa, o tradiscono un’insospettata ostilità verso congiunti prossimi e amati? Allora [vedi lez. 9, in OSF, vol. 8] abbiamo lasciato inspiegato da dove provengano questi impulsi cattivi. Ora potete dirlo da voi. Sono collocamenti della libido e investimenti oggettuali che datano dall’infanzia e sono stati abbandonati da lungo tempo nella vita cosciente, ma che nottetempo si dimostrano ancora presenti e in un certo senso efficaci. Ma, poiché tutti gli uomini hanno questi sogni perversi, incestuosi e omicidi, e non solamente i nevrotici, possiamo trarre la conclusione che anche coloro che oggi sono normali hanno percorso il cammino evolutivo attraverso le perversioni e gli investimenti oggettuali del complesso edipico, che questo cammino è quello dello sviluppo normale, che i nevrotici ci mostrano soltanto ingrandito e aggravato ciò che l’analisi dei sogni ci rivela a proposito delle persone sane. Ed è questo uno dei motivi per cui abbiamo fatto precedere lo studio dei sogni a quello dei sintomi nevrotici.