Il tramonto34 del complesso edipico

Diventa sempre più palese l’importanza del complesso edipico come fenomeno centrale del periodo sessuale della piccola infanzia. Poi questo complesso tramonta, soggiace come noi diciamo alla rimozione, e cede il passo all’epoca di latenza. Tuttavia, non è stato ancora chiarito perché il complesso edipico subisca questo tracollo; le analisi sembrano dirci che ciò avviene per le delusioni amorose cui va incontro. Alla bambina che ama considerarsi la prediletta del padre, dovrà pur capitare un giorno o l’altro di ricevere proprio da lui un duro castigo, e allora si sentirà precipitare d’un colpo dal suo paradiso. Il maschietto, che considera la madre un suo possesso esclusivo, dovrà rendersi conto prima o poi che ella distoglie da lui amore e cure per rivolgerle a un nuovo venuto. Più riflettiamo sull’influenza di questi fatti, più il loro valore si accentua, giacché ci rendiamo conto che tali esperienze dolorose, che si pongono in contrasto col contenuto del complesso edipico, non possono essere comunque evitate. Anche quando non si producono episodi come quelli qui addotti come esempi, la mancanza del soddisfacimento sperato, la persistente frustrazione del desiderio di avere un bambino,35 indurrebbero necessariamente il piccolo innamorato ad abbandonare la propria inclinazione che è senza speranze. Il complesso edipico crollerebbe dunque per effetto del suo insuccesso, in quanto intrinsecamente impossibile.

Altri sosterranno una tesi diversa e diranno che il complesso edipico deve cadere quando e perché ha fatto il suo tempo, al modo stesso in cui cadono i denti di latte quando spuntano i denti definitivi. Benché il complesso edipico sia vissuto individualmente dalla maggior parte degli esseri umani, esso è pur sempre un fenomeno predisposto dall’ereditarietà, e in base a un programma preordinato deve scomparire allorché subentra la fase successiva dello sviluppo. Se questo è vero non ha grande rilievo che ciò accada a seguito dell’una o dell’altra circostanza, né se tali cause occasionali risultino o meno identificabili.36

Entrambe queste concezioni sono incontestabilmente giustificate, e tuttavia non si escludono a vicenda; rimane posto per l’interpretazione ontogenetica accanto a quella più vasta filogenetica. È vero che l’individuo nel suo insieme è già destinato a morire fin dalla nascita ed è vero che forse la sua disposizione organica contiene già fin dall’inizio l’indicazione della malattia per cui dovrà morire. Eppure non è privo di interesse considerare come questo programma, che l’individuo reca in sé, si compia, e in qual modo eventi casuali dannosi utilizzino tale predisposizione.

Recentemente37 abbiamo acquisito la chiara consapevolezza del fatto che lo sviluppo sessuale del bambino procede fino a una certa fase nella quale il genitale già assume una funzione dominante. Ma questo genitale è soltanto quello maschile, e più precisamente il pene; il genitale femminile non è ancora stato scoperto. Questa fase fallica, che corrisponde temporalmente a quella del complesso edipico, non si sviluppa ulteriormente fino all’organizzazione genitale definitiva, ma decade ed è soppiantata dall’epoca di latenza. Essa si conclude però in un modo tipico e in relazione a eventi che si ripetono con invariabile regolarità.

Quando il bambino (di sesso maschile) rivolge il proprio interesse al genitale, uno dei modi in cui esprime tale interesse è rappresentato dalla frequente manipolazione del genitale stesso; egli si rende conto poi che gli adulti non approvano questo suo comportamento. Più o meno chiaramente, più o meno brutalmente, compare la minaccia che lo si voglia privare di questa parte per lui preziosissima del suo corpo. Perlopiù la minaccia di evirazione proviene da donne, che sovente cercano di rafforzare la propria autorità richiamandosi al prestigio del padre o del dottore, che – a quanto assicurano – eseguirà il castigo. Qualche volta queste stesse donne recano alla minaccia una simbolica attenuazione annunciando non tanto l’asportazione del genitale, in verità passivo, bensì quella della mano attivamente colpevole. Spessissimo accade anzi che il maschietto non sia colpito dalla minaccia di evirazione perché gioca manualmente col suo pene, ma perché bagna ogni notte il letto e non riesce a tenersi pulito. Le persone che hanno cura di lui si comportano come se questa incontinenza notturna fosse conseguenza e prova del fatto ch’egli si occupa troppo del suo pene [vedi Alcune conseguenze psichiche della differenza anatomica tra i sessi, in OSF, vol. 10], e in ciò hanno probabilmente ragione.38 Comunque l’enuresi notturna prolungata può essere assimilata alla polluzione dell’adulto, può essere cioè interpretata quale espressione di quello stesso eccitamento dei genitali che in quest’epoca ha spinto il bambino a masturbarsi.

Sono convinto che l’organizzazione genitale fallica del bambino crolli dinanzi a questa minaccia di evirazione. Non subito tuttavia, e non prima che si aggiungano altri influssi. Il bimbo, in effetti, da principio non presta fede e non si sottomette alla minaccia. La psicoanalisi ha dato nuovo valore a due esperienze che a nessun bambino vengono risparmiate e che dovrebbero in verità prepararlo alla perdita di parti corporee a cui tiene moltissimo: queste esperienze sono la sottrazione, dapprima temporanea e poi definitiva, del petto materno, e la separazione, ogni giorno impostagli, dal proprio contenuto intestinale. Eppure non si è mai notato che queste esperienze abbiano effetto alcuno in occasione della minaccia di evirazione.39 Solo dopo aver fatto una nuova esperienza, il bambino comincia a prendere in considerazione la possibilità di un’evirazione: e anche ora con titubanza, controvoglia, e non senza cercare di diminuire la portata della propria osservazione.

Ciò di fronte a cui l’incredulità del bambino è costretta a capitolare è l’osservazione del genitale femminile. Una volta o l’altra al bambino, orgoglioso del possesso del proprio pene, capita sott’occhio la zona genitale di una bimba, ed è allora che egli si convince della mancanza del pene in un essere che pure gli somiglia tanto. In questo modo egli può rappresentarsi anche per sé stesso la perdita del pene, e la minaccia dell’evirazione ottiene posticipatamente l’effetto voluto.

Non ci è lecito essere miopi come le persone che minacciano l’evirazione, e non dobbiamo perciò trascurare il fatto che la vita sessuale del bambino non si esaurisce per nulla, in questo periodo, nella masturbazione. Si può dimostrare che il bambino vive un’impostazione edipica verso i suoi genitori; la masturbazione è soltanto la scarica genitale dell’eccitamento sessuale inerente a questo complesso; a questa relazione la masturbazione deve la sua importanza per tutti i tempi a venire. Il complesso edipico offriva al bambino due possibilità di soddisfacimento, una attiva e una passiva. Egli poteva, mascolinamente, mettersi al posto del padre e come lui avere rapporti con la madre, e con ciò il padre veniva tosto sentito come un ostacolo; oppure poteva volersi sostituire alla madre per lasciarsi amare dal padre, e con ciò la madre diveniva superflua. Su ciò che sono i rapporti amorosi soddisfacenti, il bambino poteva avere solo idee vaghissime; certo però il pene doveva entrarci in qualche modo, giacché in tal senso deponevano le sue sensazioni d’organo. Nulla ancora gli aveva fatto sorgere dei dubbi sul pene della donna. L’accettazione della possibilità dell’evirazione, la persuasione che la donna sia evirata, posero poi termine a entrambe le possibilità di soddisfacimento del complesso edipico. Entrambe implicavano la perdita del pene: una, quella maschile, come conseguenza di un castigo, l’altra, la femminile, come presupposto. Se il soddisfacimento dell’amore sul terreno del complesso edipico deve costare la perdita del pene, inevitabile è il conflitto tra l’interesse narcisistico per questa parte del corpo e l’investimento libidico degli oggetti parentali. In questo conflitto la vittoria arride normalmente alla prima delle due forze, e l’Io del bambino si distoglie dal complesso edipico.

Ho esposto altrove in quale modo ciò avvenga.40 Gli investimenti oggettuali vengono abbandonati e sostituiti dall’identificazione. L’autorità paterna o parentale introiettata nell’Io vi costituisce il nucleo del Super-io, il quale assume dal padre la severità, perpetuando il suo divieto dell’incesto, e garantendo così l’Io contro il ritorno di investimenti oggettuali libidici. Le tendenze libidiche inerenti al complesso edipico vengono in parte desessualizzate e sublimate (ciò che verosimilmente accade in ogni processo che dà luogo a un’identificazione), in parte inibite nella meta e trasformate in moti di tenerezza. L’intero processo ha da un lato salvato il genitale, stornando il pericolo di una sua perdita, d’altro lato lo ha però paralizzato, sospendendone la funzione. Con ciò si instaura l’epoca di latenza, che interrompe ora lo sviluppo sessuale del bambino.

Non vedo alcun motivo per rifiutare il nome di “rimozione” a questo distogliersi dell’Io dal complesso edipico, quantunque le rimozioni ulteriori si compiano in genere con il concorso del Super-io, che qui è ancora in via di formazione. Ma il processo descritto è più di una semplice rimozione; esso equivale, se portato a termine nel modo ideale, a una completa distruzione ed eliminazione del complesso. È facile rendersi conto che siamo qui in presenza della linea di demarcazione, che in verità non è mai molto netta, fra normale e patologico. Se davvero l’Io non ha ottenuto niente di più che una rimozione del complesso, allora questo continuerà a persistere inconscio nell’Es ed esplicherà in seguito la sua azione patogena.

L’osservazione analitica consente dunque di rilevare, o di intravedere, queste relazioni tra organizzazione fallica, complesso edipico, minaccia di evirazione, formazione del Super-io ed epoca di latenza. Esse forniscono legittimità alla tesi secondo cui il complesso edipico tramonta in forza della minaccia di evirazione. Con ciò tuttavia il problema non è esaurito; vi è campo per una speculazione teorica la quale potrebbe o capovolgere il risultato raggiunto o metterlo in una luce nuova. Prima di percorrere questa via, dobbiamo però occuparci di un problema che si è presentato nel corso della discussione condotta fin qui e che abbiamo finora lasciato da parte. Il processo descritto si svolge, come abbiamo detto espressamente, soltanto nel maschietto. Come si compie lo sviluppo corrispondente nella bambina?

Il nostro materiale diventa qui – incomprensibilmente41 – molto più oscuro e lacunoso. Anche il sesso femminile sviluppa un complesso edipico, un Super-io e un’epoca di latenza. Gli si può attribuire anche un’organizzazione fallica e un complesso di evirazione? La risposta è affermativa, ma la situazione non può essere identica a quella del maschio. La richiesta femminista di una parità di diritti per i due sessi non può su questi temi andar molto lontano: la differenza morfologica non può non riflettersi in disparità dello sviluppo psichico. Parafrasando un detto di Napoleone, possiamo dire che “l’anatomia è il destino”.42 La clitoride della bambina si comporta originariamente proprio come un pene, eppure la bimba si accorge, mediante il confronto con un compagno di giochi, che il suo “è troppo piccolo”, e sente ciò come uno svantaggio e un motivo di inferiorità. Per un po’ la conforta ancora la speranza di ricevere più tardi, quando sarà cresciuta, un’appendice grande come quella dei maschi. Da qui si diparte il complesso femminile di mascolinità.43 La bambina non intende però la sua mancanza attuale come carattere sessuale, bensì la interpreta supponendo di aver posseduto una volta un membro altrettanto grande e di averlo in seguito perduto per evirazione. Sembra che essa non estenda questa conclusione da sé stessa alle altre donne adulte, e anzi attribuisca a queste, proprio nel senso della fase fallica, un genitale grande e completo, e dunque maschile. Il risultato principale è dunque che la bambina accetta l’evirazione come un fatto compiuto, mentre il bambino la teme come una possibilità futura.

Venendo meno l’angoscia dell’evirazione, viene anche a mancare un potente motivo per l’erigersi del Super-io e per il crollo dell’organizzazione genitale infantile: questi cangiamenti sembrano essere nella bambina, molto più che non nel maschio, conseguenza dell’educazione, dell’intimidazione esterna, la quale minaccia una perdita d’amore. Il complesso edipico della bambina è molto più univoco che non quello del maschietto e, per quanto mi consta, raramente va al di là del desiderio di sostituire la madre e di assumere un atteggiamento femmineo nei confronti del padre. La rinuncia al pene non viene sopportata senza un tentativo di rivalsa. La bimba scivola (si potrebbe dire sulle tracce di un’equazione simbolica) dal pene al bambino: il complesso edipico culmina nel desiderio, coltivato da tempo, di ricevere dal padre un bambino in regalo, di generargli un figlio.44 Si ha l’impressione che il complesso edipico venga lentamente abbandonato perché questo desiderio non si esaudisce mai. I due desideri, di possedere un pene e di possedere un bambino, permangono fortemente investiti nell’inconscio, aiutando in tal modo la femmina a prepararsi alla sua futura funzione sessuale. La minore intensità del contributo sadico alla pulsione sessuale, che bisogna mettere in rapporto con l’atrofizzazione del membro, facilita la trasformazione delle aspirazioni sessuali dirette in aspirazioni inibite nella meta e improntate a tenerezza. Complessivamente bisogna però riconoscere che le cognizioni da noi acquisite intorno a questo processo evolutivo nella bambina sono insoddisfacenti, lacunose e incerte.45

Non ho dubbi sul fatto che le relazioni temporali e causali qui descritte tra complesso edipico, intimidazione sessuale (minaccia di evirazione), formazione del Super-io e inizio dell’epoca di latenza, abbiano un carattere tipico; non intendo tuttavia sostenere che questo sia l’unico tipo possibile. Eventuali modificazioni nella successione temporale e nella concatenazione di questi eventi hanno certamente un’importanza notevolissima per lo sviluppo dell’individuo.

Non è più possibile, dopo la pubblicazione dell’interessante studio di Otto Rank sul Trauma della nascita,46 accettare senza ulteriore discussione il risultato di questa breve indagine (cioè che il complesso edipico del maschio capitola di fronte al timore dell’evirazione). Mi sembra tuttavia prematuro inoltrarsi oggi in questa discussione, e forse anche inopportuno iniziare qui una critica, negativa o positiva, della dottrina di Rank.47

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