Al di là del principio di piacere
Nella teoria psicoanalitica non esitiamo ad affermare che il flusso degli eventi psichici è regolato automaticamente dal principio di piacere; riteniamo che il flusso di questi eventi sia sempre stimolato da una tensione spiacevole, e che prenda una direzione tale che il suo risultato finale coincide con un abbassamento di questa tensione, e cioè col fatto di aver evitato dispiacere o prodotto piacere. Considerando i processi psichici da noi studiati in relazione a questo flusso, introduciamo nel nostro lavoro il punto di vista economico. Riteniamo che un’esposizione che cerchi di valutare anche questo fattore economico, oltre a quello topico e a quello dinamico, sia la più completa che possiamo attualmente immaginare, e meriti la denominazione di esposizione “metapsicologica”.143
In questo contesto non ci interessa affatto cercare di stabilire se e in che misura questa nostra adozione del principio di piacere si avvicini o si ricolleghi a un sistema filosofico particolare, storicamente determinato. Siamo pervenuti a queste ipotesi speculative nello sforzo di descrivere e farci una ragione dei fatti che si possono osservare quotidianamente nel nostro campo di ricerche. La priorità e l’originalità non fanno parte degli scopi che il lavoro psicoanalitico si propone di raggiungere, e le impressioni su cui si fonda l’adozione del principio di piacere sono talmente appariscenti che è praticamente impossibile ignorarle. Esprimeremmo invece volentieri la nostra riconoscenza verso una teoria filosofica o psicologica che sapesse spiegarci il significato delle sensazioni di piacere e di dispiacere, che tanto potere hanno su di noi. Ma purtroppo nulla di utile ci viene offerto a questo riguardo. Si tratta della plaga più oscura e inaccessibile della vita psichica e, dal momento che non possiamo evitare di accostarci ad essa, l’ipotesi meno rigida sarà a mio giudizio la migliore. Ci siamo decisi a mettere in rapporto il piacere e il dispiacere con la quantità di eccitamento che, senza essere in qualche modo “legata”,144 è presente nella vita psichica, talché il dispiacere corrisponde a un incremento e il piacere a una riduzione di tale quantità. Con ciò non pensiamo a una semplice relazione fra la forza delle sensazioni e le modificazioni corrispondenti, e meno che mai – dopo tutto quello che ci ha insegnato la psicofisiologia – a un criterio di proporzionalità diretta; probabilmente il fattore che determina la sensazione è la misura della riduzione o dell’aumento in un dato periodo di tempo. Forse l’esperimento potrebbe svolgere un’utile funzione a questo riguardo; ma non è consigliabile per noi psicoanalisti addentrarci ulteriormente in questi problemi fintantoché non potremo basarci su osservazioni assolutamente precise.145
Tuttavia, non può lasciarci indifferenti il fatto che un ricercatore dell’acutezza di G. T. Fechner abbia sostenuto una teoria del piacere e del dispiacere che coincide sostanzialmente con le conclusioni a cui il lavoro psicoanalitico ci costringe. La concezione di Fechner è contenuta in un suo breve scritto,146 ed è espressa nel modo seguente: “Nella misura in cui gli impulsi coscienti sono sempre in rapporto col piacere o col dispiacere, si può pensare che anche il piacere e il dispiacere abbiano una relazione psicofisica con le situazioni di stabilità e di instabilità. Ciò costituisce la base per un’ipotesi che mi riprometto di sviluppare più dettagliatamente altrove, ipotesi secondo cui ogni moto psicofisico che supera la soglia della coscienza è accompagnato da piacere se e in quanto, al di là di un certo limite, si avvicina alla completa stabilità, ed è accompagnato da dispiacere se e in quanto, al di là di un certo limite, se ne allontana; mentre fra i due limiti, che possono essere definiti come le soglie qualitative del piacere e del dispiacere, esiste un certo margine di indifferenza estetica...”147
I fatti che ci hanno indotto a credere nell’egemonia del principio di piacere nella vita psichica trovano espressione anche nell’ipotesi che l’apparato psichico si sforzi di mantenere più bassa possibile, o quanto meno costante, la quantità di eccitamento presente nell’apparato stesso. Quest’ipotesi non è che una diversa formulazione del principio di piacere, poiché se il lavoro dell’apparato psichico mira a tenere bassa la quantità di eccitamento, tutto ciò che ha invece la proprietà di aumentare tale quantità dev’essere necessariamente avvertito come contrario al buon funzionamento dell’apparato, e cioè come spiacevole. Il principio di piacere consegue dal principio di costanza; invero il principio di costanza è stato inferito dai fatti che ci hanno obbligati ad adottare il principio di piacere.148 Una discussione più approfondita ci mostrerà anche che questa tendenza che abbiamo attribuito all’apparato psichico è un caso particolare che rientra sotto il principio della tendenza alla stabilità con cui Fechner ha messo in rapporto le sensazioni di piacere e di dispiacere.
Eppure dobbiamo ammettere che a rigore non è esatto parlare di un’egemonia del principio di piacere sul flusso dei processi psichici. Se tale egemonia esistesse, la stragrande maggioranza dei nostri processi psichici sarebbe accompagnata da piacere o porterebbe al piacere, mentre l’universale esperienza si oppone energicamente a questa conclusione. Dobbiamo dunque limitarci a dire che nella psiche esiste una forte tendenza al principio di piacere, che però è contrastata da altre forze o circostanze, talché il risultato finale non può essere sempre in accordo con la tendenza al piacere. Si confronti quello che Fechner osserva su un punto analogo:149 “Con ciò va detto tuttavia che la tendenza verso il fine non significa ancora il raggiungimento del fine, e che quest’ultimo è raggiungibile in generale solo con approssimazioni...” Se a questo punto ci poniamo il problema di quali siano le circostanze che possono impedire al principio di piacere di instaurarsi, ci troviamo nuovamente su un terreno noto e sicuro, e per rispondere disponiamo dell’abbondante materiale costituito dalle nostre esperienze psicoanalitiche.
Il primo caso di una siffatta inibizione del principio di piacere ci è familiare, perché si presenta con regolarità. Sappiamo che il principio di piacere si confà a un modo di operare primario dell’apparato psichico ma che, dal punto di vista dell’autoaffermazione dell’organismo che deve affrontare le difficoltà del mondo esterno, esso è fin dall’inizio inefficace e addirittura altamente pericoloso. Sotto l’influenza delle pulsioni di autoconservazione dell’Io il principio di piacere è sostituito dal principio di realtà,150 il quale, pur senza rinunciare al proposito finale di ottenere piacere, esige e ottiene il rinvio del soddisfacimento, la rinuncia a svariate possibilità di conseguirlo e la temporanea tolleranza del dispiacere sul lungo e tortuoso cammino che porta al piacere. Il principio di piacere continua tuttavia per molto tempo a informare il modo in cui operano le pulsioni sessuali, che sono difficilmente “educabili”, e accade continuamente che, a partire da queste pulsioni, oppure nello stesso Io, il principio di piacere riesca a sopraffare il principio di realtà, a detrimento dell’organismo nel suo insieme.
È tuttavia fuori discussione che la sostituzione del principio di piacere con il principio di realtà può essere considerata responsabile solo di una piccola parte delle esperienze spiacevoli, e non di quelle più intense. Un’altra fonte del dispiacere, che lo alimenta con non minore regolarità, è data dai conflitti e dalle scissioni che si verificano nell’apparato psichico mentre l’Io realizza il suo sviluppo verso forme di organizzazione più complesse. Quasi tutta l’energia contenuta nell’apparato psichico deriva dai moti pulsionali di cui esso è dotato; tuttavia questi moti non possono accedere tutti alle medesime fasi evolutive. Nel corso dello sviluppo accade continuamente che singole pulsioni o componenti pulsionali si rivelino incompatibili nelle loro mete o nelle loro pretese con le rimanenti pulsioni che sono in grado di costituire insieme la grande unità dell’Io. Esse vengono allora separate da questa unità mediante il processo della rimozione, trattenute a livelli inferiori dello sviluppo psichico, e, sulle prime, private della possibilità di soddisfacimento. Se in seguito riescono, per vie traverse, a ottenere un soddisfacimento diretto o sostitutivo, come accade assai spesso nel caso delle pulsioni sessuali rimosse, questo successo, che altrimenti sarebbe stato un’occasione di piacere, viene invece avvertito dall’Io come dispiacere. In conseguenza del vecchio conflitto, che si era risolto con la rimozione, nel principio di piacere si è aperta una nuova breccia, proprio mentre alcune pulsioni, agendo in conformità col principio, cercavano di ottenere un nuovo piacere. I dettagli del processo mediante il quale la rimozione trasforma una possibilità di piacere in una fonte di dispiacere non sono ancora stati ben compresi o comunque non possono ancora essere illustrati con chiarezza; ma è certo che ogni dispiacere nevrotico ha questa natura: è un piacere che non può essere avvertito come tale.151
Le due fonti di dispiacere che abbiamo testé indicato sono lungi dall’esaurire la maggioranza delle nostre esperienze spiacevoli; ma quanto alle esperienze rimanenti pare ci siano buoni motivi per affermare che la loro presenza non contraddice al dominio del principio di piacere. La maggior parte del dispiacere che proviamo è invero un dispiacere “percezionale”; può essere la percezione dell’assillo di pulsioni insoddisfatte, oppure una percezione esterna, sia che questa sia penosa in se stessa, sia che susciti aspettative spiacevoli nell’apparato psichico, e cioè che quest’ultimo riconosca in essa un “pericolo”. La reazione a queste pretese pulsionali e minacce di pericolo, in cui si esprime l’attività vera e propria dell’apparato psichico, può essere allora orientata correttamente dal principio di piacere oppure dal principio di realtà che di esso è una modificazione. Non parrebbe che ciò implichi il riconoscimento di un’ulteriore restrizione del principio di piacere; eppure proprio lo studio della reazione psichica al pericolo esterno può fornire nuovo materiale e far sorgere nuovi interrogativi attinenti al problema che stiamo trattando.