Psicogenesi di un caso di omosessualità femminile
L’omosessualità femminile, che non è certo meno frequente di quella maschile, pur essendo di gran lunga meno vistosa, non solo è stata ignorata dalla legge, ma è stata anche trascurata dalla ricerca psicoanalitica. La comunicazione di un singolo caso, non eccessivamente smaccato, del quale è stato possibile accertare la genesi e lo sviluppo psichico con sicurezza assoluta e quasi senza lacune, potrà quindi pretendere una certa attenzione. Se l’esposizione fornisce soltanto i lineamenti generalissimi delle vicende in questione, nonché le prospettive che sono state ricavate dallo studio di questo caso, trascurando invece tutte le particolarità specifiche su cui l’interpretazione si è basata, tale limitazione è facilmente spiegabile in base alla discrezione cui il medico è tenuto quando parla di un caso recente.
Una ragazza diciottenne, bella e intelligente, che proviene da una famiglia socialmente altolocata, ha suscitato il malcontento e la preoccupazione dei suoi genitori a causa della tenerezza con cui non dà tregua a una signora “del bel mondo” che ha circa dieci anni più di lei. I genitori affermano che, nonostante il suo nome prestigioso, questa signora non è nient’altro che una cocotte. Di lei si sa che vive con un’amica sposata con la quale intrattiene relazioni intime pur avendo, nello stesso tempo, torbidi rapporti amorosi con una quantità di uomini. La ragazza non contesta queste voci maligne ma non si lascia sviare da esse nella sua adorazione per la signora; eppure non le manca affatto né il senso della decenza né quello della proprietà. Non c’è proibizione e vigilanza che riesca a impedirle di sfruttare le rare occasioni che le si offrono per stare con la persona amata, spiare ogni sua abitudine, aspettarla per ore davanti al portone di casa o alla fermata del tram, mandarle fiori, e così via. È evidente che nella ragazza quest’unico interesse ha assorbito tutti gli altri. Ella non si preoccupa di continuare la sua preparazione scolastica, non attribuisce alcun valore alla vita sociale e alle cose di cui si dilettano normalmente le ragazze e mantiene rapporti solo con alcune amiche con cui può confidarsi o che la possono aiutare. I genitori non sanno fino a che punto sono giunti i rapporti tra la figlia e quell’equivoca signora, se i limiti di una tenera infatuazione sono già stati superati. Non hanno mai notato che la ragazza abbia dimostrato interesse per i giovanotti e accolto con piacere le loro attenzioni; al contrario, sono sicuri che l’attuale inclinazione per quell’unica donna altro non sia che la continuazione, a un livello di intensità maggiore, dei sentimenti che la figliuola ha dimostrato negli ultimi anni per altre persone di sesso femminile, e che già avevano suscitato il sospetto e la collera del padre.
I genitori erano esasperati soprattutto da due aspetti del comportamento della ragazza, in apparente contrasto tra loro. Da un lato ella non si preoccupava affatto di mostrarsi pubblicamente per le strade più frequentate in compagnia dell’amica malfamata, e dunque non si curava della propria reputazione; d’altro lato non disdegnava alcun inganno, pretesto o menzogna che le consentisse di incontrarsi con l’amica e di nascondere questi convegni. Un eccesso di schiettezza da una parte, dunque, e un eccesso di simulazione dall’altra. Come prima o poi doveva accadere date le circostanze, un giorno al padre capitò di incontrare per strada la figlia in compagnia della signora che ormai aveva imparato a conoscere. Passò accanto ad esse con uno sguardo irato che non prometteva nulla di buono. Immediatamente la ragazza si staccò dall’amica e, scavalcando un muretto, si gettò nel fossato della metropolitana che si trovava lì sotto. Questo tentativo di suicidio – indubbiamente serio – fu scontato con un lungo periodo di degenza, ma, per fortuna, con un danno permanente di modesta entità. Una volta ristabilita, trovò una situazione più propizia per i propri desideri. I genitori non osavano più contrastarla con la risolutezza di prima, e la signora, che fino allora aveva respinto sdegnosamente il suo corteggiamento, fu commossa da una prova così inequivocabile di seria passione e cominciò a trattarla in modo più amichevole.
Circa sei mesi dopo questo incidente i genitori si rivolsero al medico e gli affidarono il compito di ricondurre la figlia alla normalità. Il tentato suicidio della ragazza aveva dimostrato loro che i mezzi della disciplina familiare non avevano il potere di vincere il suo disturbo. Ma a questo punto è opportuno distinguere tra l’atteggiamento del padre e quello della madre. Il padre era un uomo serio, rispettabile, e in fondo tenerissimo, il quale però aveva adottato verso i figli un atteggiamento severo che glieli aveva un po’ estraniati. Il suo comportamento nei confronti dell’unica figlia era fin troppo condizionato dal riguardo per la moglie, madre della ragazza. Quando era venuto a sapere per la prima volta delle tendenze omosessuali della figlia, si era infuriato e aveva cercato di reprimerle con le minacce; a quel tempo esitava forse tra concezioni diverse ma ugualmente incresciose, non sapendo se attribuire alla figlia una natura viziosa e degenerata o se considerarla una malata di mente. Anche dopo l’incidente egli non pervenne mai a quella superiore rassegnazione che fece dire a un medico nostro collega, nella cui famiglia si era manifestata un’anomalia analoga, la seguente frase: “In fondo è una disgrazia come tante altre!” L’omosessualità della figlia aveva qualcosa che suscitava nel padre un’esasperazione profondissima. Egli era deciso a combatterla con tutti i mezzi; la scarsa considerazione in cui la psicoanalisi è in genere tenuta a Vienna non gli impedì di rivolgersi ad essa sperando di riceverne aiuto. Se questo mezzo fosse fallito, egli teneva sempre in serbo la più forte delle contromisure: un rapido matrimonio, che avrebbe destato gli istinti naturali della ragazza e soffocato le sue innaturali inclinazioni.
L’atteggiamento della madre della ragazza non era altrettanto trasparente. Era una donna ancora giovanile, che evidentemente non voleva rinunciare alla pretesa di esser bella e per questo di piacere agli uomini. Ebbene, era chiaro che ella non prendeva l’infatuazione della figlia nel modo tragico del padre, che non ne era affatto altrettanto corrucciata. Per un periodo di tempo piuttosto lungo aveva persino goduto della confidenza della figlia, che le aveva parlato del suo innamoramento per la signora; la sua opposizione pareva determinata essenzialmente dalla pericolosa schiettezza con cui la figlia manifestava davanti a tutti i suoi sentimenti. La madre stessa era stata nevrotica per parecchi anni, godeva di grande considerazione da parte del marito e si comportava con i figli in modo assai disuguale: in verità era dura nei confronti della figlia ed eccessivamente tenera con i tre maschi, di cui il più piccolo era nato a distanza di molti anni dai fratelli e, all’epoca, non aveva ancora tre anni. Non era facile ottenere informazioni più precise sul suo carattere, poiché la paziente, per motivi che potranno essere intesi solo in seguito, quando parlava della madre mostrava sempre una reticenza che non aveva invece affatto quando parlava del padre.
Il medico che doveva incaricarsi del trattamento analitico della ragazza aveva parecchi motivi per sentirsi a disagio. La situazione in cui doveva intervenire non era quella che l’analisi richiede e nella quale soltanto essa può dimostrare la sua efficacia. Come è noto, questa situazione si presenta nei suoi lineamenti ideali quando qualcuno, che per il resto è padrone di sé, soffre a causa di un conflitto interno che non è in grado di risolvere da solo, e si rivolge allora allo psicoanalista, gli descrive la propria sofferenza e lo prega di aiutarlo. In questo caso il medico lavora solidalmente con una parte della personalità patologicamente dimidiata contro l’altra parte con cui essa è in conflitto. Situazioni diverse da questa sono più o meno sfavorevoli per l’analisi, giacché alle difficoltà insite nel caso altre se ne aggiungono. Situazioni come quella del proprietario che commissiona all’architetto una villa che deve rispondere ai gusti e bisogni propri, o quella del pio donatore che si fa dipingere dal pittore un quadro di argomento sacro dove in un angolo ha da esserci il proprio ritratto in atteggiamento orante, non sono in definitiva compatibili con le condizioni della psicoanalisi. È vero che capita tutti i giorni che un marito si rivolga al medico dicendogli: “Mia moglie è nervosa, e pertanto i suoi rapporti con me sono cattivi; cerchi di guarirla di modo che la nostra vita coniugale torni a essere felice.” Ma abbastanza spesso risulta che questo incarico non può essere assolto, nel senso che il medico non può ottenere il risultato per cui il marito desiderava il trattamento. Non appena la donna è stata liberata dalle sue inibizioni nevrotiche decide di rompere il matrimonio, che in effetti poteva reggere solo a condizione della sua nevrosi. Oppure dei genitori pretendono che si guarisca il loro bambino, che è nervoso e indocile. Per bambino sano essi intendono un figlio che non procura difficoltà ai suoi genitori, che è per essi fonte di gioia e soddisfazione. Il medico può riuscire a guarire il bambino, ma questo, una volta ristabilito, va tanto più decisamente per la sua strada da rendere i genitori assai più scontenti di prima. Insomma, non è un fatto irrilevante se un individuo si rivolge allo psicoanalista di propria iniziativa o perché altri lo spingono a questo, se desidera egli stesso di cambiare o se invece lo desiderano solo i suoi congiunti che lo amano o dai quali ci si dovrebbe aspettare un tale amore.
Nel nostro caso bisognava tener conto di questi ulteriori fattori sfavorevoli: la ragazza, in effetti, non era malata – non soffriva per motivi interni, non si lamentava della propria situazione – e inoltre il compito affidatoci non consisteva nel risolvere un conflitto nevrotico bensì nel convertire una delle varianti dell’organizzazione genitale della sessualità nell’altra. L’esperienza mi ha insegnato che l’adempimento di questo compito – l’eliminazione dell’inversione genitale o omosessualità – non è mai facile. Ho costatato al contrario che esso può essere assolto solo in circostanze particolarmente favorevoli, e anche in questi casi il successo è consistito essenzialmente nel far sì che la persona esclusivamente omosessuale ritrovasse l’accesso (che fino allora le era precluso) al sesso opposto, e cioè ripristinasse pienamente le sue funzioni bisessuali. Questa persona aveva poi la facoltà di scegliere se disertare o meno l’altra strada, quella condannata dalla società, e in alcuni casi ciò è effettivamente accaduto. Dobbiamo rammentare che anche la sessualità normale si fonda su una limitazione nella scelta dell’oggetto; in generale l’impresa di trasformare un omosessuale pienamente sviluppato in un eterosessuale non offre prospettive di successo molto migliori dell’impresa opposta; l’unica differenza è che quest’ultima, per ottimi motivi di ordine pratico, non viene mai tentata.
In verità il numero dei successi ottenuti dalla terapia psicoanalitica nel trattamento dell’omosessualità – la quale tra l’altro può assumere forme diversissime – non è significativo. Di regola l’omosessuale non è capace di rinunciare all’oggetto che gli procura piacere; non si riesce a persuaderlo che se sostituirà quest’oggetto con un altro, otterrà da quest’ultimo lo stesso piacere al quale ha rinunciato. Se e quando decide di affidarsi al trattamento analitico, perlopiù vi è indotto da motivi estrinseci, dagli svantaggi e dai rischi sociali che la sua scelta oggettuale comporta, e tali componenti della pulsione di autoconservazione si rivelano troppo deboli nella lotta contro le tendenze sessuali. In questo caso riusciamo a scoprire in fretta il suo piano segreto, che consiste nell’utilizzare il clamoroso fallimento di questo tentativo per tranquillizzarsi e dire a se stesso che avendo fatto tutto il possibile per combattere la propria particolare natura, può ora abbandonarsi ad essa con la coscienza a posto. Quando il tentativo di farsi curare è stato motivato da un riguardo verso gli amati genitori o altri congiunti, il caso è un po’ diverso. Sono allora veramente presenti determinate tendenze libidiche suscettibili di sviluppare energie che contrastano la scelta d’oggetto omosessuale; ma è raro che la loro forza basti allo scopo. La prognosi della terapia psicoanalitica può essere più favorevole solo quando la fissazione all’oggetto dello stesso sesso non è ancora diventata abbastanza forte, o quando sono presenti notevoli spunti e residui della scelta d’oggetto eterosessuale, e cioè quando l’organizzazione o è ancora oscillante o è palesemente bisessuale.
Per queste ragioni evitai decisamente di promettere ai genitori che il loro desiderio si sarebbe realizzato. Mi dichiarai semplicemente disposto a studiare accuratamente la ragazza per alcune settimane o alcuni mesi, in modo da poter dire loro in seguito se e in che misura una continuazione dell’analisi avrebbe potuto influenzarla positivamente. In moltissimi casi l’analisi si suddivide infatti in due fasi chiaramente distinte: nella prima il medico si procura dal malato le informazioni necessarie, lo rende edotto dei presupposti e dei postulati dell’analisi ed elabora dinanzi a lui la costruzione della genesi del suo male alla quale si ritiene autorizzato in base al materiale fornito dall’analisi. Nella seconda fase lo stesso malato si impadronisce del materiale che gli è stato prospettato, ci lavora su, rammenta quel che può dei contenuti che si presumono rimossi e si sforza di ripetere il resto in certo qual modo come se lo rivivesse. Così facendo egli può confermare, integrare e rettificare le congetture del medico. Solo durante quest’ultimo lavoro il malato sperimenta, mediante il superamento delle resistenze, quel cambiamento interno che si vuole ottenere da lui, e si procura quei convincimenti che lo rendono indipendente dall’autorità del medico.117 Non sempre nel corso della terapia analitica queste due fasi sono separate nettamente l’una dall’altra; ciò può accadere solo se la resistenza rispetta determinate condizioni, ma, quand’è così, si può stabilire un paragone con le due parti di un viaggio. La prima comprende tutte le operazioni preliminari – oggi così complicate e difficili da portare a termine – che consentono finalmente di essere in possesso del biglietto ferroviario, di percorrere la banchina e di impadronirsi del proprio posto nella carrozza. Ora si ha il diritto e la possibilità di viaggiare verso il paese lontano, ma, nonostante tutti questi preparativi, ancora non lo si è raggiunto, e, in fin dei conti, non ci si è avvicinati alla meta di un solo chilometro. A questo scopo bisogna fare il viaggio stesso, da una stazione all’altra, e questa parte del viaggio può ben essere paragonata alla seconda fase dell’analisi.
Ebbene, l’analisi della malata di cui ci stiamo ora occupando si è svolta secondo questo schema in due fasi, ma non è stata portata avanti oltre l’inizio della seconda. Cionondimeno, una particolare costellazione della resistenza mi ha permesso di ottenere una piena conferma delle mie costruzioni e una conoscenza complessivamente sufficiente dello sviluppo della sua inversione. Ma, prima di esporre i risultati dell’analisi della mia paziente, devo trattare alcuni punti che o io stesso ho già sfiorato o certo hanno suscitato immediatamente l’interesse del lettore.
La mia prognosi l’avevo fatta dipendere in parte dal punto a cui la ragazza si era spinta nel soddisfacimento della sua passione. L’informazione che ricevetti durante l’analisi pareva sotto questo riguardo favorevole. Con nessuno degli oggetti delle sue infatuazioni il godimento della giovane era andato al di là di pochi baci e qualche abbraccio; la sua castità genitale – se così possiamo esprimerci – era rimasta intatta. La donna di dubbia moralità che aveva suscitato i suoi sentimenti più recenti e di gran lunga più intensi aveva tenuto nei suoi confronti un atteggiamento sdegnoso e non le aveva mai concesso un favore maggiore di quello di lasciarsi baciare la mano. Probabilmente la ragazza faceva di necessità virtù quando insisteva continuamente sulla purezza del proprio amore e sulla propria repulsione fisica per ogni rapporto sessuale. Ma forse non aveva tutti i torti quando, esaltando la sua sublime amica, diceva che costei era di nobili origini e che, essendo stata spinta da circostanze familiari avverse nell’attuale posizione, conservava purtuttavia in questo frangente un tratto di dignità. In effetti, ogni volta che s’incontravano, la signora usava invitare la ragazza a lasciar da parte la sua inclinazione per lei e per le donne in genere; inoltre, fino al tentativo di suicidio, aveva sempre assunto nei confronti della ragazza un atteggiamento di netto rifiuto.
Un secondo punto, che cercai di chiarire il più in fretta possibile, concerneva le motivazioni personali della ragazza sulle quali il trattamento analitico avrebbe potuto in qualche modo far leva. Essa non cercò di ingannarmi dichiarando di sentire un impellente bisogno di essere liberata dalla sua omosessualità. Al contrario, non riusciva a concepire una forma diversa di innamoramento; ma, aggiungeva, per amore dei suoi genitori intendeva collaborare con lealtà al tentativo terapeutico, giacché le pesava molto procurare al padre e alla madre tutti quegli affanni. Anche questa affermazione mi sembrò ovviamente all’inizio un buon segno; non potevo infatti immaginare l’atteggiamento affettivo inconscio che dietro di essa si celava. Ciò che in merito venne in luce più tardi influenzò in modo decisivo e la forma assunta dalla terapia e la sua prematura interruzione.
È probabile che i lettori privi di preparazione psicoanalitica attendano da tempo con impazienza che io risponda ad altre due domande. Aveva questa ragazza omosessuale delle caratteristiche somatiche che appartengono tipicamente all’altro sesso, e inoltre era il suo un caso di omosessualità congenita o un caso di omosessualità acquisita (che si è sviluppata più tardi)?
Non disconosco l’importanza che va annessa alla prima di queste due domande. Tuttavia non si dovrebbe esagerare tale importanza e in suo nome obliterare il fatto che singoli caratteri distintivi secondari dell’altro sesso si presentano molto spesso in soggetti umani normali e inoltre che si possono benissimo riscontrare spiccate caratteristiche somatiche del sesso opposto in persone la cui scelta d’oggetto non ha subito alterazione alcuna nel senso di un’inversione: insomma, per dirla in altri termini, che in entrambi i sessi il grado dell’ermafroditismo fisico è in larga misura indipendente da quello dell’ermafroditismo psichico. Queste affermazioni vanno attenuate aggiungendo che tale indipendenza è più evidente nell’uomo che nella donna, nella quale più frequentemente l’impronta somatica e quella psichica del sesso opposto compaiono insieme.118 Tuttavia nel caso della mia malata non sono ancora in grado di dare una risposta soddisfacente alla prima di queste due domande. Va da sé che in certi casi lo psicoanalista suole astenersi dal visitare minuziosamente i suoi pazienti. Comunque non c’era una vistosa deviazione dal tipo fisico femminile né la ragazza soffriva di disturbi mestruali. È vero che essa – bella e ben fatta – aveva l’alta statura del padre e marcati i tratti del volto, più che morbidi e graziosamente femminei, e che tali caratteristiche potrebbero essere considerate come indizi di una mascolinità somatica. Anche alcune delle sue peculiarità intellettuali potrebbero essere ricondotte a una natura maschile: così, ad esempio, l’acume del suo intelletto e la fredda lucidità del suo pensiero se e quando non soggiaceva al dominio della passione. Ma sono distinzioni, queste, che hanno un carattere più convenzionale che scientifico. È invece certamente più significativo il fatto che nel suo comportamento verso l’oggetto d’amore questa ragazza avesse assunto in tutto e per tutto il ruolo tipico maschile, e cioè manifestasse la deferenza e la straordinaria sopravvalutazione sessuale che è tipica dell’uomo innamorato, rinunciasse ad ogni soddisfacimento narcisistico e preferisse la parte di chi ama a quella di chi è amato. Essa non si era dunque limitata a scegliere un oggetto femminile, ma aveva altresì sviluppato un atteggiamento maschile nei confronti di tale oggetto.
La risposta all’altra domanda, se si trattasse nel suo caso di omosessualità congenita o acquisita, emergerà in base alla storia evolutiva complessiva del suo disturbo. Studiandolo ci renderemo conto fino a che punto il porsi questo problema è di per sé sterile e inopportuno.
Dopo un’introduzione così prolissa non mi resta che esporre l’evoluzione libidica di questo caso in modo molto conciso e sintetico. Nell’infanzia la ragazza era passata, in modo poco appariscente, attraverso la normale impostazione del complesso edipico femminile119 e in seguito aveva anche cominciato a sostituire il padre con un fratello di poco maggiore di lei. Non ricordava sogni sessuali fatti nella lontana fanciullezza e neppure l’analisi ne palesò alcuno. Il confronto tra i genitali del fratello e i propri, che avvenne più o meno all’inizio dell’epoca di latenza (a cinque anni o un po’ prima) suscitò in lei una forte e duratura impressione e produsse effetti che si protrassero a lungo nel tempo. Pochissimi erano i segni che rinviavano all’onanismo infantile, o forse l’analisi non andò abbastanza lontano per chiarire questo punto. La nascita di un secondo fratello, quando lei aveva cinque anni e mezzo, non esercitò una particolare influenza sul suo sviluppo. Negli anni scolastici e prepuberali venne gradualmente a conoscenza dei fatti della vita sessuale, e li apprese con quel misto di lascivia e spaventata ripugnanza che dobbiamo definire normale e che inoltre non si estrinsecò in lei con intensità esagerata. Nell’insieme queste informazioni appaiono davvero molto scarse e neanche posso affermare che in compenso sono complete. Può darsi che la storia di questa giovinetta sia stata ben più ricca; io non lo so. Come ho già detto, l’analisi fu interrotta dopo breve tempo e quindi fornì un’anamnesi che non è molto più attendibile di altre anamnesi di omosessuali che a buon diritto vengono contestate. Inoltre la ragazza non era mai stata nevrotica e non portò in analisi neppure un sintomo isterico; perciò le occasioni per indagare sulla storia della sua infanzia non si presentarono molto presto.
Fra i tredici e i quattordici anni la ragazza manifestò una tenera predilezione – che tutti considerarono esagerata – per un bimbetto non ancora treenne che aveva occasione di vedere regolarmente in un parco per bambini. Si affezionò al piccolo a un punto tale che ne nacque una durevole amicizia con i suoi genitori. Da questo episodio si può inferire che a quel tempo era dominata da un forte desiderio di essere essa stessa madre e di avere un bambino. Ma poco dopo il maschietto le divenne indifferente, ed essa incominciò invece a mostrare interesse per donne mature, ma ancora giovanili. Le manifestazioni di questo interesse le procurarono ben presto una severa punizione da parte del padre.
Fu accertato al di là di ogni dubbio che questa metamorfosi coincise cronologicamente con un certo evento che si verificò nella famiglia, dal quale, per conseguenza, possiamo attenderci la spiegazione della metamorfosi stessa. Prima di questo evento la libido della ragazza era concentrata in un atteggiamento materno, dopo ella divenne un’omosessuale attratta da donne mature, e tale è rimasta d’allora in poi. Questo evento così importante per la nostra comprensione del caso fu una nuova gravidanza della madre e la nascita di un terzo fratello: all’epoca la ragazza aveva circa sedici anni.
La situazione che sto per palesare non è un prodotto delle mie elucubrazioni; l’ho derivata da un materiale analitico talmente degno di fede che posso rivendicare per essa un’obiettiva validità. Particolarmente decisivi si sono rivelati in proposito una serie di sogni tra loro interconnessi e facilmente interpretabili.
L’analisi consentì di accertare inequivocabilmente che la signora amata dalla ragazza era un sostituto di sua madre. Vero è che la signora non era essa stessa madre, ma neppure era il primo amore della ragazza. I primi oggetti dell’inclinazione di costei a partire dalla nascita dell’ultimo fratello erano stati effettivamente delle madri, donne fra i trenta e i trentacinque anni che essa incontrava con i loro bambini durante le vacanze estive o tra le conoscenze della sua famiglia nella grande città. La condizione della maternità venne in seguito lasciata cadere perché mal si conciliava, nella vita reale, con un’altra condizione che divenne sempre più importante. L’attaccamento particolarmente intenso al suo ultimo amore, alla “signora”, aveva anche un’altra motivazione, che un giorno la ragazza scoprì senza difficoltà. La figura slanciata, la bellezza severa e il carattere scontroso della signora le rammentavano suo fratello, quello che era un po’ più vecchio di lei. La sua ultima scelta, quindi, non corrispondeva solo al suo ideale femminile, ma anche a quello maschile, conciliava in sé il soddisfacimento dell’aspirazione omosessuale con quello dell’aspirazione eterosessuale. Com’è noto, l’analisi di uomini omosessuali ha messo in risalto più volte questa stessa coincidenza, il che dovrebbe esserci di stimolo a non concepire la natura e la genesi dell’inversione in maniera troppo semplicistica e a non perdere di vista l’universale bisessualità degli esseri umani.120
Ma come si può spiegare il fatto che la ragazza, proprio dalla nascita di un bambino che venne al mondo tardi, quando lei era già grande e aveva forti desideri propri, fu indotta a indirizzare la propria appassionata tenerezza sulla genitrice di questo bambino, sulla propria madre, e a esprimere questo sentimento nei confronti di una persona che della madre faceva le veci? Dopo tutto quello che abbiamo imparato dovremmo aspettarci proprio l’opposto. In questi frangenti le madri, di solito, sono imbarazzate di fronte alle figlie che hanno quasi raggiunto l’età da marito, mentre queste ultime nutrono nei loro confronti un sentimento misto di compassione, disprezzo e invidia che non contribuisce ad aumentare la loro tenerezza per la madre. In ogni modo la ragazza di cui ci stiamo occupando aveva ben pochi motivi per essere tenera con sua madre. Ancora giovanile, la madre vedeva in questa figlia rapidamente sbocciata una scomoda rivale, mostrava di prediligere i fratelli, limitava quanto più possibile l’autonomia della ragazza ed esercitava una sorveglianza particolarmente assidua per tenerla lontana dal padre. Che la figlia avvertisse da tempo il bisogno di una madre più affettuosa è quindi comprensibile; ma perché questo bisogno fosse esploso proprio allora e avesse assunto la forma di una divorante passione è difficile da comprendere.
La spiegazione è la seguente. La ragazza si trovava nella fase della reviviscenza puberale del complesso edipico infantile quando ebbe la sua grande delusione. Il desiderio di avere un bambino, e un bambino maschio, le divenne limpidamente consapevole; di desiderare un figlio dal proprio padre, e che fosse il ritratto di quest’ultimo, era invece qualcosa che la sua coscienza non poteva accettare. Ma poi accadde che non fu lei stessa ad avere il bambino, bensì la rivale inconsciamente odiata, la madre. Risentita e amareggiata, la ragazza voltò le spalle al padre e agli uomini in genere. In seguito a questo primo grande scacco ripudiò la sua femminilità e andò in cerca di un’altra collocazione per la propria libido.
Così facendo la ragazza si comportò in modo assai simile a molti uomini che dopo una prima dolorosa esperienza rompono definitivamente ogni rapporto con l’infido sesso femminile e diventano misogini. Si dice che un giovane di sangue reale – uno dei più affascinanti e infelici del nostro tempo – sia diventato omosessuale perché la sua promessa sposa lo aveva ingannato con un altro uomo. Non so se questa voce corrisponda alla verità storica, ma certamente essa cela un elemento di verità psicologica. In tutti noi la libido oscilla normalmente, per tutta la vita, tra l’oggetto maschile e quello femminile; lo scapolo rinuncia alle sue amicizie quando si sposa, e ritorna alle vecchie abitudini quando il suo matrimonio è diventato insipido. Ovviamente, quando la variazione è assolutamente radicale e definitiva, sospettiamo la presenza di un fattore particolare che favorisce decisamente una parte piuttosto che l’altra, e che forse ha solo atteso il momento opportuno per determinare secondo la propria direzione la scelta dell’oggetto.
Dopo quella delusione la nostra ragazza aveva dunque ripudiato il desiderio del bambino, l’amore per l’uomo e il ruolo femminile in genere. È evidente che a questo punto sarebbero potute accadere le cose più svariate; quello che effettivamente accadde fu il caso estremo. La ragazza si trasformò in un uomo e prese la madre al posto del padre come proprio oggetto d’amore.121 Giacché il suo atteggiamento verso la madre era stato certamente ambivalente fin dall’inizio, fu facile far rivivere il suo amore di un tempo per la madre e di questo avvalersi per sovracompensare la sua attuale ostilità verso di lei. Poiché con la madre reale c’era ben poco da fare, questa metamorfosi emotiva diede luogo alla ricerca di un sostituto materno a cui potersi attaccare con appassionata tenerezza.122
A tutto ciò bisognava aggiungere un altro motivo di ordine pratico derivante dai suoi reali rapporti con la madre, motivo che rappresentava un “tornaconto” [secondario] della sua malattia. La madre stessa attribuiva ancora molto valore al fatto di esser corteggiata e ammirata dagli uomini. Diventando omosessuale, lasciando gli uomini a sua madre (per così dire “cedendole il passo”), la ragazza avrebbe tolto di mezzo un ostacolo che era stato fino allora responsabile della cattiva disposizione della madre nei propri confronti.123
Ebbene, l’impostazione libidica in tal modo acquisita si rafforzò allorché la ragazza si rese conto di quanto essa fosse sgradita al padre. Dopo quella prima punizione determinata da un suo atteggiamento troppo affettuoso verso una donna, ella sapeva come fare per offendere il padre e vendicarsi di lui. A questo punto rimase omosessuale in sfida a suo padre. E neppure si fece alcuno scrupolo di ingannarlo e mentirgli in tutti i modi. Verso la madre era insincera solo quel tanto che era necessario a che il padre non venisse a sapere quel che faceva. Avevo l’impressione che il suo comportamento seguisse la legge del taglione: “Giacché mi hai ingannata, devi acconciarti a che t’inganni anch’io.” Anche le clamorose imprudenze commesse da questa ragazza, peraltro estremamente accorta e intelligente, non potevano essere spiegate altrimenti. Ogni tanto il padre doveva assolutamente venire a conoscenza dei suoi rapporti con la signora, altrimenti il suo bisogno più assillante, il bisogno di vendetta, sarebbe rimasto insoddisfatto. Ella faceva dunque in modo di mostrarsi pubblicamente in compagnia dell’amata, passeggiava con lei nelle vicinanze dell’ufficio del padre, e così via. Comunque questi comportamenti incauti non erano inintenzionali. Va inoltre rilevato che entrambi i genitori si comportavano come se conoscessero la segreta psicologia della figlia. La madre si mostrava tollerante come se apprezzasse il favore che la figlia le faceva cedendole il passo, il padre si adirava come se si rendesse conto del proposito di vendetta rivolto contro di lui.
Ma l’inversione della ragazza si rafforzò definitivamente quando, nella “signora”, ella trovò un oggetto che al tempo stesso offriva un soddisfacimento alle sue tendenze omosessuali e a quella parte della sua libido eterosessuale che era ancora ancorata al fratello.
Il metodo dell’esposizione lineare risulta scarsamente adatto alla descrizione di processi psichici intricati e che si svolgono a livelli diversi della psiche. Sono pertanto costretto a interrompere la discussione di questo caso e ad ampliare e approfondire alcuni punti già trattati.
Ho detto che nel suo rapporto con la donna adorata la ragazza aveva adottato il tipo di amore caratteristico dell’uomo. La sua deferenza, la sua tenera mancanza di pretese, “che poco spera e nulla chiede”,124 la sua beatitudine quando le era concesso di accompagnare per un tratto la signora e di baciarle la mano al momento del congedo, la sua felicità quando sentiva che quella donna lodava la sua bellezza (mentre non le importava assolutamente nulla di questo stesso riconoscimento, se veniva da altri), i suoi pellegrinaggi nei luoghi che erano stati visitati dall’amata, l’ammutolire di ogni altro possibile desiderio sensuale: tutti questi piccoli tratti si potevano assimilare alla prima, appassionata infatuazione di un adolescente per una celebre attrice che egli collochi molto al di sopra di sé e su cui osi appena sollevare timidamente lo sguardo. La concordanza con “un tipo particolare di scelta oggettuale dell’uomo” che ho altrove illustrato e le cui caratteristiche ho ricondotto all’attaccamento alla madre125 era perfetta, fin nei minimi dettagli. Può apparire sorprendente che la ragazza non fosse per nulla intimorita dalla cattiva reputazione dell’amata, anche se a convincerla della verità di tali dicerie bastavano le cose che lei stessa poteva costatare. Eppure dopo tutto era una ragazza bene educata e pudica, che personalmente aveva sempre evitato le avventure sessuali e che considerava antiestetiche le soddisfazioni sensuali grossolane. Comunque, già le sue prime infatuazioni erano state indirizzate a donne che non erano decantate per particolare severità di costumi. La prima protesta del padre contro la sua scelta amorosa era stata provocata dalla caparbietà con cui ella aveva cercato la compagnia di un’attrice del cinema in un certo luogo di villeggiatura estiva. Con tutto ciò non si era mai trattato di donne in qualche modo note per essere omosessuali e che quindi le offrissero la prospettiva di una soddisfazione di quel genere; al contrario, la ragazza corteggiava illogicamente donne civette nel senso comune della parola, e aveva respinto senza esitare le condiscendenti profferte di un’amica omosessuale della sua stessa età. La cattiva reputazione della “signora” era anzi precisamente una condizione necessaria del suo amore per lei. Tutto ciò che vi è di enigmatico in questo comportamento scompare se ci ricordiamo che anche il tipo di scelta oggettuale dell’uomo che deriva dall’attaccamento alla madre ha come sua condizione che la donna amata sia “sessualmente malfamata” e che in sostanza possa esser definita una “cocotte”. Allorché apprese in seguito fino a che punto questo termine si attagliava alla sua adorata signora, e che costei viveva semplicemente facendo mercato del proprio corpo, la ragazza reagì sviluppando una grande compassione ed elaborando fantasie e progetti di ogni sorta per “salvare” l’amata e trarla fuori da quell’indegna situazione. Questa stessa tendenza a salvare la donna amata ci ha colpito negli uomini del tipo che ho descritto, e nel saggio succitato ho cercato di fornire la derivazione analitica di questa loro aspirazione.
Completamente diverso è l’ambito esplicativo al quale ci porta l’analisi del tentato suicidio, che devo considerare come fatto sul serio, e che, tra l’altro, migliorò considerevolmente la posizione della ragazza sia nei confronti dei genitori sia nei confronti dell’amata signora. Un giorno essa andò a spasso con la signora in un luogo e in un’ora in cui non era improbabile incontrare il padre che tornava dall’ufficio. Il padre passò effettivamente accanto a loro e rivolse un’occhiata furiosa alla ragazza e alla sua accompagnatrice che ormai conosceva. Poco dopo la ragazza si gettò nel fossato della metropolitana. La ragione addotta come causa immediata della sua decisione pare del tutto plausibile. Aveva confessato alla signora che l’uomo che le aveva guardate così male era suo padre, il quale non ne voleva sapere della loro amicizia. A questo punto la signora si era adirata, le aveva ordinato di lasciarla immediatamente e di non aspettarla né di rivolgerle mai più la parola: questa storia doveva assolutamente finire. Disperata per aver perso l’amica per sempre, ella aveva cercato di darsi la morte. Ma l’analisi permise di scoprire un’altra e più profonda interpretazione che si celava dietro quella che la ragazza aveva indicato, e che venne confermata dai suoi stessi sogni. Come ci si poteva aspettare, il suo tentativo di suicidio aveva anche altri due significati: era da una parte l’adempimento di un castigo (un’autopunizione) e dall’altra l’adempimento di un desiderio. Aveva questo secondo senso in quanto era l’attuazione di quel desiderio la cui disillusione l’aveva spinta all’omosessualità, del desiderio cioè di avere un bambino dal padre; infatti ora, per colpa del padre, ella “veniva giù” [o “partoriva”].126 Il collegamento tra questa interpretazione profonda e quella superficiale, di cui la stessa ragazza era consapevole, è dato dal fatto che in quel momento la signora si era espressa esattamente negli stessi termini del padre e aveva formulato lo stesso divieto. Nel suo aspetto autopunitivo l’azione della ragazza ci testimonia che nel suo inconscio ella aveva sviluppato forti desideri di morte contro l’uno o l’altro dei suoi genitori: forse questi desideri erano rivolti contro il padre per la sete di vendetta suscitata dal fatto che egli contrastava il suo amore, ma ancor più probabilmente ella li aveva nutriti contro la madre allorché costei era incinta del fratellino. L’analisi ci ha spiegato infatti l’enigma del suicidio nel seguente modo: nessuno, forse, troverebbe l’energia psichica necessaria per uccidersi, se innanzitutto in questo modo non uccidesse insieme anche un altro oggetto con cui si è identificato, e se inoltre così facendo non volgesse contro se medesimo un desiderio di morte che era prima diretto contro un’altra persona. Del resto, l’immancabile scoperta di questi inconsci desideri di morte nei suicidi non deve lasciarci sconcertati e neppure deve apparirci come una conferma impressionante delle nostre deduzioni, giacché l’inconscio di tutti gli esseri umani è pieno di tali desideri di morte, che talvolta sono anche diretti contro persone peraltro amate.127 Ma poiché la ragazza si identificava con la madre che avrebbe dovuto morire di parto insieme al bambino di cui lei, la figlia, era stata privata, l’adempimento di questo castigo era di nuovo in effetti l’adempimento di un desiderio. Infine, la scoperta che era stata necessaria l’azione congiunta di motivi molto diversi tra loro, e ciascuno di grande intensità, per rendere possibile un’azione come quella della ragazza, non è certamente in contrasto con le nostre aspettative.
Spiegando le ragioni del suo atto la ragazza non parla del padre, non fa neanche cenno alla paura della sua collera. Nella motivazione rintracciata dall’analisi al padre tocca invece la parte principale. Il rapporto col padre ha avuto un’importanza decisiva anche per l’andamento e l’esito del trattamento analitico, o meglio dell’esplorazione analitica. Dietro il preteso riguardo della ragazza verso i suoi genitori, per amore dei quali essa aveva dichiarato di voler collaborare al tentativo di una trasformazione, si celava un atteggiamento di sfida e vendetta contro il padre; tale atteggiamento fece sì che ella rimanesse ancorata saldamente all’omosessualità. Ben protetta da questa corazza, la resistenza lasciò a disposizione dell’indagine analitica una vasta zona. L’analisi si svolse quasi senza segni di resistenza, con la viva partecipazione intellettuale dell’analizzata, ma anche con la sua più assoluta imperturbabilità emotiva. Quando una volta le illustrai una parte della teoria particolarmente importante e che la riguardava da vicino, ella esclamò con un’intonazione inimitabile: “Ah, è davvero molto interessante!”, come se fosse stata una signora del gran mondo che è accompagnata a visitare un museo ed esamina attraverso il monocolo degli oggetti che le sono completamente indifferenti. La sua analisi faceva un’impressione simile a quella di un trattamento ipnotico nel quale, pure, la resistenza si sia ritirata fino a un determinato limite, oltre il quale si rivela tuttavia imbattibile. La resistenza adotta questa stessa tattica – russa, potremmo dire – in molti casi di nevrosi ossessiva, che per un certo periodo offrono quindi risultati limpidissimi e permettono di penetrare a fondo nelle cause dei sintomi. A un certo punto, però, cominciamo a stupirci che così grandi progressi nella comprensione analitica non siano accompagnati dal benché minimo mutamento nelle coazioni e inibizioni del malato, finché ci accorgiamo che tutti i risultati ottenuti erano soggetti alla riserva del dubbio, e che dietro questo baluardo la nevrosi poteva sentirsi al sicuro. “Sarebbe tutto giustissimo”, pensa il malato, spesso consapevolmente, “se fossi costretto a credere in quest’uomo, ma non ci penso neppure lontanamente, e finché le cose stanno così non ho bisogno di cambiare nulla.” Quando poi ci si avvicina alla motivazione di questo dubbio, la lotta con le resistenze esplode con grandissima forza.
Nel caso della nostra ragazza non il dubbio, bensì il fattore affettivo della vendetta contro il padre, determinò il suo atteggiamento gelidamente riservato, spezzò l’analisi in due fasi chiaramente distinte, e consentì che gli esiti della prima fase risultassero così completi e perspicui. Inoltre pareva che non si fosse verificato nella ragazza nulla che assomigliasse a una traslazione sul medico. Ma naturalmente questo è un controsenso, o perlomeno si tratta di un modo impreciso di esprimersi. In un modo o in un altro un rapporto con lo psicoanalista si stabilisce sempre, e nella stragrande maggioranza dei casi in questo rapporto viene trasferita una relazione infantile. In verità la ragazza trasferiva su di me quel radicale rifiuto degli uomini da cui era dominata fin dall’epoca della delusione che le era stata inflitta dal padre. Di regola l’animosità contro gli uomini può essere facilmente soddisfatta nel rapporto col medico, non ha bisogno di suscitare manifestazioni emotive violente, si esprime semplicemente con la vanificazione di tutti gli sforzi che il medico fa e col tenace attaccamento al proprio star male. So per esperienza quanto è diffìcile far capire al soggetto analizzato il senso di questa sua muta sintomatologia e renderlo cosciente, senza mettere a repentaglio la terapia, di questa sua ostilità latente e spesso esagerata. Non appena appurato qual era l’atteggiamento della ragazza verso suo padre interruppi dunque il trattamento e consigliai ai genitori di far continuare il tentativo terapeutico – se ad esso attribuivano qualche valore – a una dottoressa. Nel frattempo la ragazza aveva promesso a suo padre che avrebbe almeno smesso di incontrarsi con la “signora”, e non so se il mio consiglio, le cui motivazioni sono più che evidenti, verrà effettivamente seguito.
Una sola volta, anche nel corso di questa analisi, capitò qualcosa che mi fu possibile valutare come una traslazione positiva, come un rinnovarsi straordinariamente attenuato dell’originaria passione amorosa per il padre. Anche questa manifestazione non era esente da altre motivazioni, ma vi accenno qui perché, da un altro punto di vista, mette in luce un interessante problema della tecnica analitica. In un certo periodo, non molto dopo l’inizio del trattamento, la ragazza raccontò una serie di sogni che, deformati come di dovere ed espressi nell’usuale linguaggio onirico, potevano comunque essere tradotti con facilità e sicurezza. Il loro contenuto, una volta interpretato, era però sorprendente. Questi sogni anticipavano la guarigione dall’inversione per opera del trattamento analitico, sottolineavano la gioia della ragazza per le nuove prospettive che la vita le apriva, confessavano il suo desiderio struggente dell’amore di un uomo e di avere dei bambini, e quindi avrebbero potuto essere accolti con soddisfazione, come preparazione dell’auspicata metamorfosi. La contraddizione tra questi sogni e il modo in cui la ragazza si comportava in questo stesso periodo nella vita vigile era molto grande. Essa non mi faceva mistero del fatto che pensava sì di sposarsi, ma solo per sottrarsi alla tirannia del padre e coltivare indisturbata le sue autentiche inclinazioni. Col marito, diceva in tono alquanto sprezzante, avrebbe trovato il modo di cavarsela, e dopo tutto si potevano avere rapporti sessuali con un uomo e con una donna nello stesso tempo, come dimostrava l’esempio della sua adorata signora. Avvertito da certe piccole impressioni, un giorno le dissi che non credevo a questi sogni, che essi erano menzogneri o ipocriti, e che, quanto a lei, il suo scopo era quello di ingannarmi, così come usava ingannare suo padre.128 Avevo ragione; dopo tale dichiarazione sogni di questo tipo non se ne presentarono più. Sono comunque convinto che accanto all’intenzione di portarmi fuori strada in quei sogni si esprimesse anche, in parte, il desiderio di farmi la corte; c’era in essi anche un tentativo di accattivarsi il mio interesse e la mia stima, forse allo scopo di potermi deludere ancor più radicalmente in seguito.
Posso supporre che la segnalazione dell’esistenza di questi sogni compiacenti129 e mendaci susciterà in alcuni lettori che si dicono analisti una vera tempesta di disarmata indignazione. “Come!”, esclameranno costoro, “può dunque mentire anche l’inconscio, il vero nucleo della nostra vita psichica, la parte di noi che è tanto più prossima al divino di quanto lo sia la nostra misera coscienza?! Se è così, come potremo continuare a basarci sulle interpretazioni analitiche e sull’attendibilità dei nostri accertamenti?” A questa protesta dobbiamo replicare che aver riconosciuto l’esistenza di questi sogni mendaci non rappresenta una sconvolgente novità. So bene che il bisogno mistico dell’umanità è inestirpabile e che sforzi incessanti vengono compiuti al fine di riconquistare alla mistica quell’ambito di fenomeni che ad essa è stato sottratto dall’Interpretazione dei sogni; tuttavia, nel caso che stiamo considerando, le cose sono abbastanza semplici. Il sogno non è l’“inconscio”; il sogno è la forma nella quale un pensiero scartato dal preconscio, o persino dalla coscienza della vita vigile, ha potuto rifondersi grazie alle favorevoli condizioni create dallo stato di sonno.130 Nello stato di sonno questo pensiero è stato rafforzato da inconsci moti di desiderio ed è stato pertanto deformato dal “lavoro onirico” in un modo che è determinato dai meccanismi che vigono nell’inconscio. Nel caso della nostra sognatrice l’intenzione di ingannarmi, così come usava ingannare suo padre, proveniva certamente dal preconscio, se addirittura non era cosciente; tale intenzione poteva ora realizzarsi congiungendosi con il desiderio inconscio di compiacere il padre (o un suo sostituto) e creò perciò un sogno mendace. Le due intenzioni, quella di imbrogliare il padre e quella di compiacerlo, traggono origine dal medesimo complesso; la prima è sorta dalla rimozione della seconda e il lavoro onirico ha ricondotto l’intenzione più recente a quella più antica. Non ha dunque alcun senso parlare di una svalutazione dell’inconscio e sostenere che questi sogni scuotono la fiducia nei risultati della nostra analisi.
Non voglio lasciarmi sfuggire l’occasione di esprimere una buona volta il mio stupore per il fatto che gli esseri umani possano passare attraverso momenti così grandi e importanti della loro vita amorosa senza prestare ad essi molta attenzione, e anzi, talvolta, senza rendersene conto affatto, oppure, quando ne prendono coscienza, che essi possano ingannarsi così profondamente nel valutarli. Ciò non accade solo nelle condizioni della nevrosi dove tale fenomeno ci è familiare, ma, a quanto pare, anche in altre circostanze e con notevole frequenza. Nel nostro caso, una ragazza sviluppa un’infatuazione per alcune donne che sulle prime si limita a irritare i suoi genitori, i quali, però, non la prendono veramente sul serio; la ragazza stessa sa benissimo di essere molto impegnata in queste relazioni, ma quasi non si rende conto di provare le sensazioni caratteristiche di un profondo innamoramento fin quando, un bel giorno, una determinata frustrazione produce una reazione assolutamente eccessiva che mostra a tutti quanti che la sua è una passione divorante di forza primordiale. La ragazza non si era neppure mai accorta della presenza, in lei, di quelle premesse in assenza delle quali una tempesta psichica di tal fatta non avrebbe potuto esplodere. Ci capita altre volte di incontrare ragazze o donne in preda a una grave depressione, le quali, interrogate su quale possa essere la causa del loro stato, rispondono di essersi sì rese conto di provare un certo interesse per una determinata persona, ma che non era niente di molto profondo, e che se ne sono liberate non appena si sono accorte che dovevano rinunciare a tale rapporto. Eppure questa rinuncia, che in apparenza è stata sopportata così bene, è diventata la causa del loro grave disturbo. Oppure si ha a che fare con uomini che hanno posto fine a superficiali relazioni amorose con donne, e che solo considerando le conseguenze di questa rottura sono costretti a rendersi conto di esser stati appassionatamente innamorati della persona che a loro dire tenevano in scarsa considerazione. Sorprendenti sono altresì gli insospettati effetti che possono derivare da un procurato aborto, dall’uccisione di un feto a cui ci si è risolti senza alcuna esitazione e rimorso. Ci vediamo dunque costretti ad ammettere che hanno ragione quei poeti i quali prediligono la descrizione di personaggi che amano senza saperlo, o che non sanno se amano, o che credono di odiare mentre invece amano. Parrebbe che con particolare frequenza proprio le nozioni che la nostra coscienza ottiene riguardo alla nostra vita amorosa possano essere incomplete, lacunose o false. Naturalmente, nel fare queste considerazioni non ho dimenticato di tenere nel debito conto la parte svolta da un’eventuale successiva dimenticanza.
Torno alla discussione precedentemente interrotta del mio caso. Ci siamo fatti un’idea generale delle forze che hanno distolto la libido della ragazza dalla normale impostazione edipica per trasferirla su quella omosessuale, nonché delle vie psichiche che in questo processo sono state percorse. Tra queste forze è particolarmente importante l’impressione suscitata nella ragazza dalla nascita del fratello più piccolo; pertanto potremmo essere indotti a classificare questo caso tra le inversioni acquisite tardivamente.
Tuttavia a questo punto la nostra attenzione è attirata da una circostanza che si presenta anche in molti altri casi di dilucidazione psicoanalitica di un processo psichico. Fintantoché seguiamo lo sviluppo del caso a ritroso, a partire dal suo esito finale, la catena degli eventi ci appare continua e pensiamo di avere raggiunto una visione delle cose del tutto soddisfacente e fors’anche completa. Ma se percorriamo la via opposta, se partiamo dalle premesse a cui siamo risaliti mediante l’analisi, e cerchiamo di seguirle fino al risultato, l’impressione di una concatenazione necessaria e non altrimenti determinabile viene completamente meno. Ci accorgiamo immediatamente che l’esito avrebbe potuto essere diverso e che questo diverso esito avremmo potuto capirlo e spiegarlo ugualmente bene. La sintesi non è dunque altrettanto soddisfacente dell’analisi; in altre parole, la conoscenza delle premesse non ci permetterebbe di prevedere la natura del risultato.
È molto facile riportare questa spiacevole situazione alle sue cause. Pur supponendo di avere una conoscenza completa dei fattori etiologici che sono determinanti per un dato risultato, ciò che noi conosciamo di essi è soltanto la loro peculiarità qualitativa e non la loro forza relativa. Alcuni di questi fattori, troppo deboli, saranno repressi da altri e quindi non entreranno in giuoco ai fini dell’esito finale. Ma noi non sappiamo mai in anticipo quali dei fattori determinanti si riveleranno i più deboli e quali i più forti. Solo alla fine possiamo dire che quelli che si sono affermati erano i più forti. Pertanto la concatenazione causale può essere sempre individuata con certezza se si segue la direzione dell’analisi, mentre viceversa la sua previsione nella direzione della sintesi è impossibile.
Non intendiamo dunque affermare che ogni ragazza, il cui desiderio di amore derivante dall’impostazione edipica degli anni puberali subisca una delusione come questa, è per ciò stesso e necessariamente destinata all’omosessualità. Al contrario, altri tipi di reazione a questo trauma sono certamente più frequenti. Ma allora nella ragazza di cui ci stiamo occupando altri fattori particolari devono aver avviato il processo, fattori estrinseci rispetto al trauma, probabilmente di natura interna. E in effetti non è difficile indicarli.
Com’è noto anche nella persona normale bisogna che trascorra un certo periodo di tempo prima che abbia luogo la decisione definitiva riguardo al sesso dell’oggetto d’amore. Infatuazioni omosessuali, amicizie esageratamente intense e con un’impronta sensuale sono normalissime per entrambi i sessi nei primi anni dopo la pubertà. Questo fu anche il caso della nostra ragazza, nella quale, però, queste inclinazioni si rivelarono indubbiamente più forti e durevoli che in altri adolescenti. A ciò si aggiunga il fatto che queste premonizioni della successiva omosessualità avevano sempre occupato la sua vita cosciente, mentre l’atteggiamento scaturito dal complesso edipico era rimasto inconscio e si era annunciato solo per certi segni particolari, come il tenero comportamento di cui abbiamo parlato verso quel suo piccolo amico. A scuola era stata innamorata per un lungo periodo di un’insegnante severa e inavvicinabile, che era per lei un evidente sostituto della madre. Aveva mostrato un interesse particolarmente vivo per un certo numero di giovani madri ben prima della nascita del fratello, e dunque in un’epoca assai precedente a quella cui risale il primo rimprovero da parte del padre. Dunque la sua libido si era suddivisa assai per tempo in due correnti, di cui la più superficiale può essere chiamata tranquillamente omosessuale. Tale corrente rappresentava probabilmente la continuazione diretta e immutata di una fissazione infantile sulla madre. È possibile che la nostra analisi non abbia scoperto null’altro che il processo mediante il quale, approfittando di un’occasione propizia, anche la corrente libidica più profonda, quella eterosessuale, confluì nella corrente manifestamente omosessuale.
Inoltre l’analisi mostrò che la ragazza recava in sé fin dall’infanzia uno spiccato “complesso di mascolinità”. Vivace e rissosa, non era affatto disposta a restare indietro rispetto al fratello di poco maggiore di lei; dopo averne ispezionato i genitali [qui, par. 2], aveva sviluppato una fortissima invidia del pene, e pensieri derivanti da questa invidia continuavano tuttora a occuparle la mente. Era invero una femminista, trovava ingiusto che le ragazze non godessero delle stesse libertà dei loro coetanei maschi e si ribellava contro la sorte della donna in genere. All’epoca dell’analisi le idee della gravidanza e del parto le riuscivano sgradevoli, suppongo anche a causa della deformazione fisica che è connessa con tali situazioni. Il suo narcisismo di fanciulla, che aveva cessato di esprimersi nella forma di orgoglio per la propria bellezza, si era ritirato in questa posizione difensiva.131 Numerosi segni rinviavano alla presenza, in passato, di una fortissima tendenza alla scopofilia e all’esibizionismo. Chi non vede di buon occhio che nell’etiologia siano sottovalutati i fattori acquisiti, farà osservare che il comportamento che abbiamo descritto, stante la forte fissazione materna, era esattamente quello che doveva conseguire dalla combinazione dei due fattori seguenti: l’ingiustizia della madre a danno della ragazza e il confronto da essa istituito tra i propri genitali e quelli del fratello. Anche qui è possibile risalire all’impronta di un elemento esterno intervenuto in tempi lontani per spiegare qualcosa che avremmo volentieri considerato come una peculiarità costituzionale. D’altro canto, una parte di questa disposizione acquisita (ammesso che tale sia stata veramente) dev’essere attribuita alla costituzione innata. Nella pratica assistiamo dunque a una continua mescolanza e combinazione di ciò che nella teoria vorremmo distinguere in una coppia di opposti costituita dai caratteri ereditari e da quelli acquisiti.
Se la precedente e provvisoria conclusione dell’analisi ci aveva condotto ad affermare che questo era un caso di omosessualità acquisita, l’attuale disamina del materiale ci induce piuttosto alla conclusione che si tratta di un’omosessualità congenita, la quale, come accade normalmente, si è fissata e manifestata inequivocabilmente solo nel periodo successivo alla pubertà. In verità ognuna di queste classificazioni rende conto soltanto di una parte delle circostanze accertabili mediante l’osservazione, mentre trascura l’altra. Meglio sarebbe che a questo problema non fosse comunque attribuita una grande importanza.
Di solito nella letteratura scientifica sull’omosessualità non si trova una demarcazione sufficientemente netta tra i problemi della scelta oggettuale da un lato e il carattere sessuale e l’impostazione sessuale dall’altro, quasi che la soluzione di uno di questi due punti fosse necessariamente connessa con la soluzione dell’altro. Eppure l’esperienza dimostra proprio il contrario: un uomo che ha caratteristiche prevalentemente maschili e che si comporta anche secondo il tipo maschile di vita amorosa, può essere tuttavia invertito rispetto all’oggetto, amare cioè solo uomini anziché donne. Ci si potrebbe aspettare che un uomo nel cui carattere le peculiarità femminili siano vistosamente prevalenti, e che per di più nell’amore si comporti come una donna, sia portato, proprio per questa sua impostazione femminile, a scegliere un uomo come oggetto d’amore. E invece, nonostante tutto, egli può essere eterosessuale e nella scelta del suo oggetto dimostrare un grado di inversione non superiore a quello medio degli uomini normali. Lo stesso vale per le donne, anche per loro le caratteristiche sessuali psichiche e la scelta oggettuale non sono indissolubilmente connesse. Il segreto dell’omosessualità non è dunque per nulla così semplice come si è propensi a illustrarlo a uso del popolo: “Un’anima femminile, destinata quindi ad amare gli uomini, è disgraziatamente finita in un corpo maschile; un’anima maschile, irresistibilmente attratta dalle donne, è purtroppo imprigionata in un corpo femminile.” Si ha invece a che fare con i seguenti tre ordini di fattori:
Caratteristiche sessuali
fisiche
(ermafroditismo somatico)
Caratteristiche sessuali
psichiche
(impostazione maschile o femminile)
Tipo di scelta oggettuale
i quali, entro certi limiti, variano l’uno indipendentemente dall’altro, e, a seconda degli individui, si manifestano in molteplici permutazioni. Una letteratura tendenziosa ha reso più difficile la nostra comprensione di questi rapporti, giacché, per motivi pratici, mette in primo piano il terzo elemento (la scelta oggettuale), che è l’unico che colpisce il profano, esagerando inoltre la stabilità del rapporto fra questo elemento e il primo. Questa letteratura si preclude comunque la possibilità di una più profonda comprensione di tutto ciò che è uniformemente indicato come omosessualità, poiché rifiuta di accettare due fatti fondamentali che sono stati scoperti dalla ricerca psicoanalitica. Il primo di questi fatti è che gli uomini omosessuali hanno sperimentato una fissazione sulla madre particolarmente intensa; il secondo è che in tutte le persone normali è possibile rintracciare, accanto all’eterosessualità manifesta, un grado assai considerevole di omosessualità latente o inconscia. Se si tien conto di questi dati, l’ipotesi di un “terzo sesso”, creato da una natura in vena di bizzarrie, viene completamente a cadere.
La psicoanalisi non è chiamata a risolvere il problema dell’omosessualità. Essa deve accontentarsi di rendere palesi i meccanismi psichici che sono stati determinanti per la scelta oggettuale, e poi di percorrere a ritroso la via che collega tali meccanismi con le disposizioni pulsionali del soggetto. A questo punto la ricerca psicoanalitica si interrompe e cede il passo a quella biologica, che proprio ora, con gli esperimenti di Steinach,132 ha raggiunto risultati assai significativi circa l’influsso che il primo ordine di fattori succitato esercita sul secondo e sul terzo. La psicoanalisi si pone sullo stesso piano della biologia in quanto ipotizza un’originaria bisessualità dell’individuo umano (nonché di quello animale). Essa, tuttavia, non può chiarire l’essenza profonda di ciò che nel linguaggio comune o in quello biologico è chiamato “maschile” e “femminile”, e deve limitarsi ad assumere questi due concetti ponendoli a fondamento dei propri lavori. Se tenta un’ulteriore riduzione, la mascolinità si dissolve nell’attività e la femminilità nella passività,133 il che è troppo poco. Ho già cercato di illustrare [qui, par. 1] in che misura possiamo ragionevolmente aspettarci (o l’esperienza ha già confermato) che quel tanto di lavoro esplicativo che compete alla psicoanalisi troverà un impiego adeguato per modificare l’inversione. La portata di questa nostra possibile influenza non ci farà certo una grande impressione se la confrontiamo con gli imponenti sovvertimenti che in alcuni casi sono stati ottenuti mediante gli interventi di Steinach. Comunque sarebbe prematuro, o frutto di un’esagerazione pericolosa, se fin d’ora coltivassimo la speranza di una “terapia” dell’inversione universalmente valida. I casi di omosessualità maschile che Steinach ha curato con successo soddisfacevano alla condizione, che non sempre si verifica, di uno spiccatissimo “ermafroditismo” somatico. Per il momento non riusciamo a vedere bene come l’omosessualità femminile potrebbe esser curata in maniera analoga. Se il trattamento dovesse consistere nella asportazione delle ovaie che sono presumibilmente ermafroditiche e nell’innesto di altre ovaie che si sperano unisessuali, esso avrebbe scarse possibilità di essere effettivamente applicato. Una donna che si sente uomo e che ama in modo maschile difficilmente si lascerà imporre il ruolo femminile se deve pagare questa trasformazione, che non è vantaggiosa sotto ogni riguardo, con la rinuncia ad ogni prospettiva di maternità.134