2.

Veramente c’eravamo proposti soltanto di esaminare, con l’aiuto di certi metodi analitici, i due o tre sogni che si trovano inseriti nel racconto Gradiva; come è accaduto dunque che ci siamo lasciati trascinare ad anatomizzare l’intera storia e ad analizzare i processi psichici dei due personaggi principali? Non è stato un lavoro superfluo, ma un lavoro preparatorio indispensabile. Anche quando vogliamo capire i sogni effettivi di una persona reale, siamo costretti a occuparci con cura del carattere e delle vicende che riguardano quella persona, e non possiamo limitarci agli avvenimenti che precedono immediatamente il sogno ma dobbiamo informarci anche di quelli che appartengono a un passato remoto. Penso anzi che neppure ora siamo liberi di dedicarci al nostro compito specifico, e che ci rimane ancora da soffermarci su quest’opera poetica svolgendo un ulteriore lavoro preparatorio.

I nostri lettori avranno certo osservato con qualche sorpresa che abbiamo finora trattato Norbert Hanold e Zoe Bertgang, in tutte le loro manifestazioni e attività psichiche, come se fossero individui reali e non creazioni di un poeta, e come se la mente del poeta fosse uno schermo trasparente e non un mezzo deformante od offuscante. E tanto più strano deve apparire il nostro modo di procedere dal momento che il poeta espressamente ha escluso di descrivere qualche cosa di reale, denominando il proprio racconto una “fantasia”. Troviamo però che tutte le sue descrizioni sono così fedelmente aderenti alla realtà, che non vi sarebbe nulla da obiettare se la Gradiva fosse descritta non come una fantasia, ma come uno studio psichiatrico. Solo in due punti il poeta si è servito della libertà che gli era concessa per creare premesse che non sembrano avere radici nel terreno legittimo della realtà. La prima volta quando fa trovare al giovane archeologo un bassorilievo indubbiamente antico che riproduce, non solo nella peculiare posizione del piede durante il passo, ma anche in ogni particolare della forma del volto e del portamento, una persona vivente molto tempo dopo; tanto che quando quest’ultima gli appare egli può prenderla per la stessa immagine di pietra resuscitata. La seconda volta quando fa incontrare al suo eroe la donna vivente proprio a Pompei, dove soltanto la fantasia di lui aveva collocato la trapassata, mentre col viaggio a Pompei egli non avrebbe fatto che allontanarsi dalla donna viva che aveva intravisto per la strada nella sua città. Tuttavia questa seconda combinazione, disposta dal poeta, non è in effetti una violenta deviazione dalle possibilità della vita; essa fa semplicemente uso del caso, che indiscutibilmente ha una parte in tante umane vicende, e inoltre conferisce ad esso un senso poiché qui il caso riproduce quel destino che, appunto, fa sì che il mezzo impiegato per la fuga conduca precisamente a ciò che si fugge. Più fantastica, e dovuta soltanto all’arbitrio del poeta, appare la prima premessa, a cui si collegano tutti gli avvenimenti ulteriori, e cioè la piena somiglianza dell’immagine di pietra con la ragazza vivente, che una più moderata scelta avrebbe potuto limitare alla singola coincidenza della particolare posizione del piede durante il passo. Si sarebbe tentati a questo punto di sbrigliare la propria fantasia per stabilire un aggancio alla realtà. Il nome Bertgang potrebbe significare che le donne di questa famiglia fin dai tempi più remoti si siano distinte per questa particolarità del bell’incedere, e si potrebbe supporre che per discendenza le Bertgang germaniche si colleghino a una stirpe greca, un membro della quale era la donna che aveva indotto l’antico artista a riprodurre nella pietra la singolarità del suo passo. E poiché le singole variazioni della conformazione umana non sono indipendenti le une dalle altre, e di fatto anche in mezzo a noi si riproducono spesso tipi antichi che si trovano nelle raccolte d’arte, nulla vieterebbe che una moderna Bertgang riproducesse le forme di una sua antica antenata anche in tutti gli altri elementi della sua struttura corporea. Molto più saggio, tuttavia, che non abbandonarsi a tale tipo di speculazione, sarebbe l’informarsi presso lo stesso autore circa le fonti da cui è derivato quest’elemento dell’opera sua creatrice; avremmo in tal caso una buona probabilità di ricondurre una parte di supposto arbitrio entro il campo della realtà retta da leggi. Ma poiché non abbiamo libero accesso alle fonti della vita psichica dell’autore, non possiamo che concedergli l’incontrastato diritto di costruire una vicenda del tutto corrispondente alla vita reale su una premessa inverosimile, diritto questo di cui anche Shakespeare, per esempio, si è servito nel suo Re Lear.280

A parte questo però, e vogliamo ripeterlo, l’autore ci ha offerto uno studio psichiatrico pienamente corretto, sul quale possiamo misurare il nostro intendimento della vita psichica; ci ha offerto la storia di un caso e del suo trattamento che potrebbe essere destinata a mettere in rilievo certe teorie fondamentali della psicologia medica. È un fatto abbastanza singolare che un poeta abbia fatto questo! Ma che dovremo pensare se egli, interrogato, dovesse negare in tutto e per tutto che la sua intenzione sia stata questa? È tanto facile costruire analogie e attribuire significati alle cose; non potrebbe quindi darsi che noi stessi avessimo inserito nel bel racconto poetico un significato del tutto estraneo al suo autore? La cosa è possibile, e torneremo a parlarne più avanti. Per il momento tuttavia abbiamo cercato di premunirci da una simile interpretazione tendenziosa, ripetendo il racconto quasi esclusivamente con le parole stesse del poeta, e lasciando perciò ch’egli stesso fornisse tanto la trama della storia quanto il suo commento. Chi vorrà confrontare la nostra esposizione con la Gradiva originale dovrà darci atto di ciò.

Può darsi anche che si renda un brutto servizio al nostro autore, presso il pubblico, qualificando la sua opera come uno studio psichiatrico. Si dice in genere che il poeta deve evitare i contatti con la psichiatria e lasciare ai medici il compito di descrivere gli stati mentali patologici. Ma in realtà nessun vero poeta ha mai rispettato questa prescrizione. La descrizione della vita interiore dell’uomo è proprio il suo campo specifico ed egli è sempre stato il precursore della scienza e anche della psicologia scientifica. Ma il confine fra gli stati psichici definiti normali e quelli patologici è per un verso puramente convenzionale, e per l’altro così fluido che ognuno di noi rischia di sorpassarlo più volte nel corso di una sola giornata. D’altra parte la psichiatria avrebbe torto se volesse permanentemente limitarsi allo studio di quelle gravi e cupe malattie che sorgono da alterazioni massicce del delicato apparato psichico. Le deviazioni dalla sanità mentale più lievi e suscettibili di correzione, e che oggi possiamo semplicemente ricondurre ad alterazioni nel giuoco delle forze psichiche, sono di non minore interesse per la psichiatria; anzi solo mediante queste essa riesce a intendere tanto gli stati normali quanto i fenomeni di malattia grave. Così né il poeta può sfuggire allo psichiatra, né lo psichiatra al poeta; e la trattazione poetica di un tema psichiatrico può, senza perdere la propria bellezza, risultare corretta.281

Corretta è effettivamente questa descrizione poetica di un caso di malattia e del suo trattamento: e ora che abbiamo esaurito il racconto e soddisfatto la nostra ansiosa curiosità, possiamo averne una visione migliore e riprodurla con la terminologia tecnica della nostra scienza, senza esser disturbati dalla necessità di ripetere cose già dette.

Lo stato di Norbert Hanold viene abbastanza spesso descritto dall’autore come “delirio”; e noi pure non abbiamo motivo per rifiutare questa definizione. Possiamo attribuire al “delirio” due caratteri principali, che se non sono sufficienti da soli a caratterizzarlo compiutamente, sono però idonei a distinguerlo da altri disturbi. Anzitutto esso appartiene a quel gruppo di stati morbosi che non producono effetti somatici diretti, ma che si esprimono soltanto con sintomi psichici; secondariamente è caratterizzato dal fatto che in esso delle “fantasie” hanno preso il sopravvento, hanno cioè ottenuto credito e acquisito influenza sull’azione. Se ci ricordiamo del viaggio a Pompei, compiuto per cercar nella cenere le peculiari impronte dei piedi della Gradiva, abbiamo subito un magnifico esempio di un’azione che si svolge sotto il dominio del delirio. Forse lo psichiatra includerebbe il delirio di Norbert Hanold nel grande gruppo della paranoia ed eventualmente lo qualificherebbe come “erotomania feticistica”, dato che l’elemento più appariscente è l’innamoramento per un’immagine di pietra, e perché, nella sua concezione che tende a ridurre le cose al loro aspetto più grossolano, l’interesse del giovane archeologo per i piedi e il loro movimento nelle persone di sesso femminile può apparire sospetto di “feticismo”. Tuttavia tutte queste denominazioni e classificazioni delle varie specie di delirio, in base al loro contenuto, sono piuttosto incerte e poco importanti.282

Lo psichiatra severo inoltre bollerebbe il nostro eroe, in quanto persona capace di sviluppare sulla base di una tale strana passione un delirio, come degenerato, e andrebbe a cercare le tare ereditarie che possono averlo portato inesorabilmente a tale sorte. Il nostro autore però, non lo segue per questa via, e con buona ragione. Egli vuole avvicinarci all’eroe e rendere più facile l’“immedesimazione”; con la diagnosi di degenerazione, giustificata scientificamente o no che essa sia, il giovane archeologo sarebbe subito respinto lontano da noi, poiché noi lettori siamo evidentemente gli uomini normali, e cioè il metro per l’intera umanità. Neppure le precondizioni costituzionali ed ereditarie possono interessare molto il poeta: il quale cerca invece di immergersi nella situazione psichica personale dalla quale il delirio può essere scaturito.

In un aspetto importante Norbert Hanold si comporta in modo del tutto diverso da un uomo qualsiasi. Non ha alcun interesse per la donna vivente; la scienza che egli serve gli ha tolto un tale interesse per spostarlo sulle donne di pietra e di bronzo. Ciò non deve essere considerato come una particolarità banale; costituisce piuttosto la premessa fondamentale di tutta la vicenda narrata: accade infatti un bel giorno che una di queste immagini di pietra abbia fatto valere per sé tutto quell’interesse che normalmente compete soltanto alla donna viva, e con ciò il delirio risulta costituito. Successivamente si viene svolgendo di fronte a noi la vicenda, per cui, guarito il delirio per effetto di una felice combinazione, l’interesse viene nuovamente spostato dalla pietra a una donna vivente. L’autore non ci fa seguire le traversie nelle quali il nostro eroe è incorso e che hanno causato il suo allontanamento dalle donne. Ci dice soltanto che un siffatto comportamento non trova spiegazione nella sua disposizione naturale, la quale piuttosto comprende in sé una parte di bisogni fantastici (e noi potremmo anche aggiungere erotici). Abbiamo anche potuto in seguito vedere che egli durante l’infanzia non era diverso dagli altri bambini: aveva allora un’amicizia con una ragazzina, era da lei inseparabile, divideva con lei le sue merende, la picchiava anche e si lasciava tirare i capelli da lei. Con tale attaccamento, con tale impasto di tenerezza e di aggressività, si manifesta appunto l’erotismo immaturo dell’infanzia: il quale solo più tardi, ma allora in modo irresistibile, produce i propri effetti, e che durante la stessa età infantile viene di solito riconosciuto come erotismo soltanto dal medico e dal poeta. Il nostro autore ci fa capire chiaramente di non pensare in modo diverso da noi, giacché al momento opportuno fa improvvisamente sorgere nel suo eroe un vivo interesse per il modo femminile di camminare e di tenere il piede, interesse che presso la scienza e presso le donne della sua città debbono procurargli la fama di feticista del piede, ma che a noi sembra derivare direttamente dal ricordo della compagna d’infanzia. Questa ragazza presentava certamente, fin da bambina, questo bel modo di camminare con la punta del piede quasi verticale nel passo; e appunto per la raffigurazione di un passo simile, un antico bassorilievo assume in seguito per Norbert Hanold un così grande significato. Possiamo del resto aggiungere subito che l’autore, spiegando a questo modo l’origine di quel singolare fenomeno di feticismo, si trova in pieno accordo con la scienza. Da Alfred Binet in poi noi cerchiamo in effetti di far risalire il feticismo a impressioni erotiche dell’infanzia.283

Lo stato di permanente distacco dalla donna produce un’attitudine personale o, come siamo soliti dire, la “disposizione” per il formarsi di un delirio. Lo sviluppo del disturbo psichico inizia nel momento in cui un’impressione casuale risveglia le esperienze dell’infanzia, dimenticate e almeno in parte eroticamente colorite. “Risveglia” non è certo però il termine esatto, se teniamo conto di quanto segue. Dobbiamo ripetere la descrizione, per sé stessa corretta, dell’autore in termini psicologici precisi. Norbert Hanold, alla vista del bassorilievo, non ricorda affatto di aver già veduto quell’atteggiamento del piede nella sua amica d’infanzia; egli non ricorda nulla, e pure tutta l’azione esercitata su di lui dal bassorilievo deriva da questo collegamento con l’impressione provata in quell’epoca. Tale impressione è resa attiva, efficiente, così da cominciare a produrre dati effetti, senza tuttavia giungere alla coscienza: essa rimane “inconscia”, come oggi usiamo dire con un termine che è divenuto inevitabile nella psicopatologia. Noi vorremmo che questo concetto di inconscio fosse sottratto a tutte quelle dispute dei filosofi e dei filosofi naturali, che perlopiù si riducono a pure questioni etimologiche. Per il momento non disponiamo di un termine migliore per designare quei processi psichici che si comportano attivamente senza tuttavia giungere alla coscienza di una determinata persona, e questo è tutto ciò che vogliamo dire con il termine “inconscio”. Se vi sono pensatori che ritengono di contestare l’esistenza di un tale inconscio come qualche cosa di contraddittorio, noi dobbiamo supporre che essi non si siano mai occupati dei fenomeni psichici corrispondenti, e che stiano semplicemente sotto l’impressione dell’esperienza ordinaria, nella quale tutto lo psichico che si fa efficiente e intenso diventa contemporaneamente anche conscio; che perciò essi debbano ancora imparare quello che invece il nostro autore sa assai bene, e cioè che vi sono processi psichici i quali, pur essendo intensi e pur producendo effetti imponenti, rimangono tuttavia esclusi dalla coscienza.

Più su [cap. 1] abbiamo affermato che i ricordi relativi ai suoi rapporti con Zoe allorché erano bambini si trovavano in Norbert Hanold nello stato di “rimozione”; ora li abbiamo chiamati ricordi “inconsci”. Bisogna ora che ci occupiamo della relazione che vi è tra questi due termini tecnici che sembrerebbero di significato equivalente. Non è difficile chiarire le cose. “Inconscio” è un concetto più generale, “rimosso” è più ristretto. Tutto ciò che è rimosso è inconscio; ma non possiamo dire che tutto quello che è inconscio sia rimosso. Se Hanold, vedendo il bassorilievo, si fosse ricordato del modo di camminare di Zoe, un ricordo prima inconscio sarebbe divenuto contemporaneamente attivo e cosciente, e avrebbe così dimostrato di non essere stato precedentemente rimosso. “Inconscio” è un termine puramente descrittivo e, per qualche aspetto, indeterminato, un termine per così dire statico; “rimosso” è un’espressione dinamica, che tiene conto del giuoco delle forze psichiche e dice che è presente una forza la quale tenta di mandare a effetto tutte le operazioni psichiche, compreso quella del divenir cosciente, ma che vi è anche una controforza, una resistenza, che è in grado di impedire una parte di questi effetti psichici, e fra essi anche quello del divenir cosciente. Caratteristico del rimosso resta appunto il fatto che esso, nonostante la sua intensità, non riesce a pervenire alla coscienza. Nel caso di Hanold dunque si tratta, dopo l’apparizione del bassorilievo, di un inconscio che è stato rimosso, o più semplicemente di un rimosso.

Rimossi sono in Norbert Hanold i ricordi dei suoi rapporti d’infanzia con la fanciulla dal bel modo di camminare; ma questa non è ancora la descrizione esatta della situazione psicologica. Rimaniamo alla superficie fin tanto che ci occupiamo solo di ricordi e di rappresentazioni. Ciò che veramente conta nella vita psichica sono i sentimenti, e tutte le forze psichiche sono importanti solo per la loro capacità di risvegliare sentimenti. Le rappresentazioni sono rimosse soltanto perché sono collegate allo sprigionamento di sentimenti che non dovrebbe verificarsi. Sarebbe più giusto dire che la rimozione colpisce i sentimenti, ma che questi non possono essere da noi colti che nel loro collegamento con rappresentazioni.284 In Norbert Hanold dunque, rimossi sono i sentimenti erotici; e poiché il suo erotismo non conosce, o non ha conosciuto, alcun altro oggetto all’infuori della Zoe Bertgang della sua infanzia, i ricordi di questa sono dimenticati. L’antico bassorilievo risveglia in lui l’erotismo dormiente e rende attivi i ricordi d’infanzia. In forza della resistenza verso l’erotismo che agisce in lui, questi ricordi possono divenire efficienti soltanto come ricordi inconsci. Ciò che in seguito si svolge in lui è una lotta fra la potenza dell’erotismo e le forze rimoventi; ciò che di questa lotta si manifesta è un delirio.

Il nostro autore ha omesso di spiegare le ragioni che hanno dato origine alla rimozione della vita amorosa nel suo eroe; infatti il suo immergersi nella scienza costituisce soltanto il mezzo di cui la rimozione si serve. Il medico dovrebbe qui indagare più a fondo, ma forse senza giungere in questo caso fino alla radice. Ma il poeta non ha trascurato di mostrarci (e l’abbiamo già rilevato con ammirazione) come il risveglio dell’erotismo rimosso provenga proprio dall’ambito dei mezzi che erano serviti alla rimozione. Giustamente proprio un pezzo d’antichità, il bassorilievo di una donna, è quello che ha strappato il nostro archeologo dal suo distacco dall’amore, sollecitandolo a pagare alla vita il debito che con essa abbiamo contratto con la nostra nascita.

Le prime manifestazioni del processo messo in moto in Hanold dal bassorilievo sono fantasie che si sviluppano attorno alla persona in quello raffigurata. Il modello gli appare come vagamente “moderno” nel senso migliore, come se l’artista avesse fermato l’“immagine vivente” della ragazza che camminava per la strada. Egli dà all’antica fanciulla il nome “Gradiva”, riproducendo l’appellativo del dio della guerra “che muove verso il combattimento”, Marte Gradivo, e delinea la personalità di lei determinandola progressivamente in modo sempre più preciso [vedi sopra, cap. 1]. Deve essere la figlia di un uomo ragguardevole, forse di un patrizio, preposto all’ufficio religioso di una divinità; gli sembra di individuare nei suoi tratti un’origine greca; e infine è spinto a collocarla lontano dal traffico di una metropoli nella più silenziosa Pompei, dove egli la fa camminare sulle pietre di lava che consentono il passaggio da una parte all’altra della strada. Queste produzioni della fantasia sembrano abbastanza arbitrarie e allo stesso tempo non sospette, perché ancora innocenti; e anche quando subito dopo sviluppano per la prima volta un impulso ad agire, quando l’archeologo, indotto a chiedersi se quel modo di porre il piede corrisponda alla realtà, comincia a fare osservazioni sulla realtà vivente per esaminare i piedi delle donne e delle fanciulle sue contemporanee, questa azione è coperta da una motivazione scientifica cosciente, come se tutto l’interesse per l’immagine di pietra della Gradiva in Hanold fosse sorto sul terreno della sua attività professionale di archeologo. Le donne e le ragazze per via, divenute oggetto della sua ricerca, sono naturalmente indotte a preferire un’altra interpretazione, grossolanamente erotica, per il suo comportamento, e noi dobbiamo dar loro ragione. Per noi non vi è alcun dubbio che Hanold ignora le ragioni di questa sua investigazione, allo stesso modo come ignora l’origine delle proprie fantasie sulla Gradiva. Queste ultime, come veniamo a sapere più tardi, sono echi dei suoi ricordi della fanciulla amata, derivati di tali ricordi, trasformazioni e deformazioni di essi dato che non sono riusciti ad accedere alla coscienza in forma immutata. Il giudizio, apparentemente estetico, che l’immagine di pietra raffiguri qualche cosa di “moderno” sostituisce la consapevolezza che quel passo appartiene a una ragazza a lui nota, che attraversa la strada nel tempo presente; dietro all’impressione di “immagine vivente” e alla fantasia riguardante la sua origine greca, si nasconde il ricordo del suo nome Zoe, che in greco significa vita; Gradiva, come alla fine ci spiega il protagonista guarito dal delirio, è una buona traduzione del cognome “Bertgang”, che equivale a “colei che risplende nel camminare” [vedi sopra, cap. 1]; le precisazioni riguardanti il padre provengono dalla conoscenza che Zoe Bertgang è la figlia di un distinto professore universitario, ufficio che può corrispondere al servizio al tempio nel mondo antico. Infine la sua fantasia la colloca a Pompei, e questo non perché a ciò faccia pensare, come egli dice, “il suo aspetto, il suo portamento tranquillo e silenzioso”, ma perché nella scienza di lui non vi è altra e migliore analogia con la strana condizione, in cui egli si trova, di avvertire i suoi ricordi d’infanzia mediante una ricognizione oscura. Dopo aver agguagliato, come per lui era molto facile, la propria infanzia al passato classico, il seppellimento di Pompei (questa scomparsa, che è insieme conservazione, del passato) presenta una somiglianza perfetta con la rimozione, di cui egli ha sentore mediante percezione per così dire “endopsichica”. Agisce cioè in lui quello stesso simbolismo che, verso la fine del racconto, l’autore fa usare coscientemente alla ragazza: “Mi sono detta che avrei ben scavato qualche cosa d’interessante qui anche da sola. Quanto a ciò che ho trovato... non ci avevo contato” (p. 96 [vedi sopra, ibid.]). Proprio alla fine poi (p. 111 [ibid.]), rispondendo alla proposta sul viaggio di nozze, essa si rivolge al “suo amico d’infanzia, anch’esso in certo modo dissepolto dalla cenere”.

Così dunque troviamo, fin dalle prime fantasie e azioni deliranti di Hanold, una doppia determinazione, una derivazione da due fonti differenti. La prima determinazione è quella riconosciuta dallo stesso Hanold, l’altra è quella che ci viene svelata da un’analisi dei suoi processi psichici. Rispetto alla persona di Hanold, la prima è cosciente, l’altra completamente inconscia. La prima deriva tutta dall’ordine d’idee della scienza archeologica, l’altra proviene invece dai ricordi d’infanzia rimossi destatisi in lui e dalle spinte emotive inerenti a questi ricordi. La prima può essere definita superficiale e copre la seconda, che per così dire si nasconde dietro ad essa. Si potrebbe dire che la motivazione scientifica serve da pretesto a quella erotica inconscia e che la scienza si è posta a completo servizio del delirio. Ma non si deve neppure dimenticare che la determinazione inconscia non può ottenere nulla che non soddisfi contemporaneamente la determinazione scientifica cosciente. I sintomi del delirio, fantasie e azioni, sono infatti il risultato di un compromesso tra entrambe le correnti psichiche; e in un compromesso si tiene conto delle richieste di ciascuna delle due parti, ma ciascuna di esse deve anche rinunciare a qualche cosa di ciò che avrebbe voluto ottenere. Quando si forma un compromesso vi è stata anteriormente una lotta: nel caso nostro il conflitto che abbiamo supposto tra l’erotismo represso e le forze che appunto lo mantengono nella rimozione. Nella formazione di un delirio questa lotta non si conclude mai. Assalto e resistenza si rinnovano dopo la formazione di ogni compromesso, che non è mai, per così dire, del tutto soddisfacente. Ciò è noto anche al nostro autore, che per questo ci descrive il nostro eroe in questa fase del suo turbamento psichico come dominato da un sentimento di insoddisfazione, da una particolare inquietudine che precorre e garantisce gli sviluppi ulteriori.

Col progredire del racconto incontreremo ancora più spesso e forse in modo anche più chiaro queste significative peculiarità, sia della doppia determinazione per le fantasie e i propositi, sia della formazione di giustificazioni coscienti per azioni nella cui motivazione il contributo maggiore è stato dato dal rimosso. Ed è giusto che sia così, dato che il poeta con ciò coglie e descrive quello che è l’immancabile carattere principale dei processi psichici morbosi.

Lo sviluppo del delirio continua in Norbert Hanold con un sogno che, non essendo determinato da alcun nuovo avvenimento, sembra provenire interamente dalla sua vita interiore tutta dominata da un conflitto. Ma prima di esaminare se l’autore dia prova, come ci attendiamo, di profonda comprensione anche per quanto riguarda la formazione dei sogni, soffermiamoci per un istante e chiediamoci che cosa la scienza psichiatrica abbia da dire sulle ipotesi dell’autore circa l’origine di un delirio, e quale posizione essa assuma circa la funzione della rimozione e dell’inconscio, circa i conflitti e le formazioni di compromesso. Domandiamoci insomma se la descrizione poetica della genesi del delirio possa reggere di fronte al giudizio della scienza.

E qui dobbiamo dare una risposta che forse è inattesa. In realtà purtroppo è tutto il contrario: la scienza non regge di fronte all’opera del poeta. Fra le premesse d’ordine ereditario-costituzionale e le produzioni del delirio che sembrano emergere ben finite, la scienza lascia sussistere un vuoto, che troviamo invece riempito dal poeta. Essa, la scienza ufficiale, non ha ancora intuito il significato della rimozione, non riconosce ancora che volendo spiegare il mondo dei fenomeni psicopatologici è assolutamente indispensabile ricorrere all’inconscio, non cerca la radice del delirio in un conflitto psichico e non ne afferra i sintomi come formazioni di compromesso. Dobbiamo allora dire che il poeta si trova solo contro la scienza intera? No, questo no... almeno se è lecito all’autore considerare anche i propri lavori come qualche cosa che appartiene alla scienza. Da vari anni infatti egli sostiene (restando in complesso isolato fino a poco tempo fa)285 tutti quei punti di vista che qui ha estratto dalla Gradiva di Jensen dando loro una formulazione tecnica. Ha dimostrato, in modo specifico per gli stati noti come isteria e ossessioni, che la condizione individuale del disturbo psichico è data dalla repressione di una parte della vita pulsionale e dalla rimozione dei contenuti rappresentativi in cui la pulsione repressa si esprime; e ha subito dopo ripetuto la stessa interpretazione per varie forme di delirio.286 Che poi le pulsioni che si debbono prendere in considerazione per tale etiologia siano sempre componenti della pulsione sessuale, o che invece possano essere anche di altra natura, è un problema che, per l’analisi della Gradiva, può essere trascurato, dato che nel caso scelto dal poeta non vi è alcun dubbio che si tratti senz’altro della repressione di sentimenti erotici. L’autore ha potuto dimostrare la validità delle ipotesi sia del conflitto psichico, sia della formazione di sintomi attraverso compromessi tra le due correnti psichiche in lotta fra loro, in casi clinici realmente osservati e terapeuticamente trattati, in modo del tutto simile a ciò che ha potuto fare per la personalità di Norbert Hanold, quale il poeta l’ha ideata.287 Già prima dell’autore Pierre Janet, l’allievo del grande Charcot, e, in collaborazione con l’autore, Josef Breuer avevano cercato di ricondurre le manifestazioni delle malattie nervose, e in ispecie dell’isteria, al potere di pensieri inconsci.288

Mentre negli anni successivi al 1893 l’autore si dedicava a tali ricerche sull’origine dei disturbi psichici, non gli era in verità venuto in mente di cercare una conferma alle proprie conclusioni presso i poeti; grande perciò è stata la sua meraviglia quando poté costatare nella Gradiva, pubblicata nel 1903, che lo scrittore aveva fondato la propria creazione poetica proprio su quanto egli stesso riteneva di aver costruito, come una novità, in base all’esperienza medica. In qual modo dunque il poeta era pervenuto allo stesso sapere del medico? o almeno in qual modo era giunto a comportarsi come se possedesse questo stesso sapere?

Stavamo dicendo che il delirio di Norbert Hanold si sviluppa ulteriormente mediante un sogno, che gli capita di fare proprio mentre si sforza di ritrovare per le vie della sua città natale un modo di camminare eguale a quello della Gradiva. Possiamo facilmente riassumere in breve il contenuto di tale sogno. Il sognatore si trova a Pompei proprio nel giorno in cui l’infelice città viene distrutta, assiste agli orrori di tale distruzione senza trovarsi egli stesso in pericolo, vede a un tratto camminare la Gradiva e capisce improvvisamente, come una cosa del tutto naturale, che essa è una pompeiana la quale vive nella sua città natale e “senza che egli lo sospettasse, proprio contemporaneamente a lui” [vedi sopra, cap. 1]. Viene preso da angoscia per la sorte di lei, e la chiama, così che essa fuggevolmente gli rivolge uno sguardo. Tuttavia essa procede senza badargli, si posa sui gradini del Tempio di Apollo e viene sepolta dalla pioggia di cenere, dopo che il suo volto si era scolorito come trasformandosi in bianco marmo, fino a rassomigliare completamente a una figura di pietra. Egli, mentre sta svegliandosi, interpreta ancora i rumori della grande città che giungono fino al suo letto come disperate grida di aiuto degli abitanti di Pompei e come fragore del mare agitato. L’impressione che quanto ha sognato gli sia accaduto veramente non lo abbandona anche diverso tempo dopo il risveglio, e la convinzione che la Gradiva abbia effettivamente vissuto a Pompei e sia morta in quel giorno fatale perdura dopo il sogno come nuovo elemento aggiunto al suo delirio.

Meno agevole è per noi dire che cosa il poeta si sia proposto con questo sogno, e che cosa lo abbia indotto ad annodare lo sviluppo del delirio proprio a un sogno. Zelanti investigatori hanno sì raccolto vari esempi di come i disturbi psichici si riallaccino a sogni e sorgano da sogni,289 e anche nella biografia di alcuni uomini illustri si trovano impulsi ad azioni importanti e decisioni che hanno avuto origine da sogni. Ma queste analogie ci aiutano poco a capire; limitiamoci perciò al nostro caso, al caso dell’archeologo Norbert Hanold immaginato dal poeta. Come dobbiamo intendere questo sogno per inserirlo nel contesto, se non deve rimanere un inutile ornamento accessorio del racconto?

Posso ben immaginare che a questo punto un lettore esclami: ma il sogno si spiega assai facilmente! Si tratta di un semplice sogno d’angoscia, prodotto dal chiasso della grande città, che l’archeologo, il quale si sta occupando della sua pompeiana, trasforma nella distruzione di Pompei. Nel disconoscimento, generalmente predominante, dell’importanza della funzione del sogno, tutto ciò che di solito viene richiesto dalla spiegazione di un sogno è che si trovi uno stimolo esterno che coincida più o meno con una parte del contenuto onirico. Nel caso nostro lo stimolo esterno sarebbe costituito dal chiasso che risveglia Hanold; con ciò il nostro interesse per questo sogno dovrebbe essere esaurito. Avessimo almeno un motivo per supporre che quel mattino il rumore della città fosse più intenso del solito! e il poeta si fosse ad esempio dimenticato di comunicarci che Hanold quella notte, contro le sue abitudini, si era addormentato con la finestra aperta! Peccato che il poeta non si sia dato questa fatica! E fosse pure il sogno d’angoscia qualche cosa di tanto semplice! No, il nostro interesse non si acquieta tanto facilmente.

Il collegamento con uno stimolo sensorio esterno non costituisce nulla di essenziale per la formazione del sogno. Il dormiente può trascurare questo stimolo del mondo esterno; può lasciarsi svegliare da esso senza fare alcun sogno; e può, come accade nel caso nostro, intrecciarlo nel proprio sogno, se per qualche altro motivo gli conviene. E inoltre vi sono numerosi sogni per il cui contenuto non è dimostrabile una simile determinazione da parte di uno stimolo che pervenga ai sensi del dormiente.290 No, conviene cercare un’altra strada.

Forse possiamo procedere partendo dal residuo lasciato dal sogno nella vita vigile di Hanold. Fino ad ora, egli non aveva avuto che una fantasia che la Gradiva fosse una pompeiana. Ora questa ipotesi diviene per lui certezza, e vi si accompagna la seconda certezza che essa sia stata sepolta nell’anno 79 (Gradiva, p. 30). Sentimenti malinconici accompagnano questo nuovo elemento del delirio, costituendo una specie di eco dell’angoscia che aveva riempito il sogno. Questo nuovo dolore non ci sembra giustificato, giacché la Gradiva, anche se si fosse salvata dalla catastrofe nell’anno 79, dovrebbe in ogni caso essere oggi morta da vari secoli. Oppure dovremmo fare a meno di discutere in questo modo sia con Norbert Hanold che col poeta? Anche qui sembra che non ci sia una strada per giungere a una spiegazione. Ciononostante è opportuno osservare che all’accentuazione che il delirio trae dal sogno è inerente un colorito emotivo fortemente doloroso.

Ciò tuttavia non migliora il nostro disorientamento. Questo sogno non si spiega da sé, e dobbiamo deciderci a ricorrere all’Interpretazione dei sogni da me scritta e a utilizzare alcune delle regole in essa contenute per la soluzione dei sogni.

Una di queste regole dice che un sogno ha sempre una qualche connessione con gli avvenimenti del giorno prima.291 Il poeta sembra volerci dire che ha seguito questa regola, poiché egli riferisce il sogno direttamente alle “indagini pedestri” di Hanold. Queste ultime non hanno altro significato che quello di una ricerca della Gradiva, che egli vuol riconoscere in base al suo passo caratteristico. Il sogno dovrebbe dunque contenere un’indicazione del luogo dove la Gradiva può trovarsi. Esso contiene effettivamente una indicazione di questo genere, in quanto ce la mostra a Pompei; ma questa ancora non è una novità per noi.

Un’altra regola dice: se, dopo un sogno, la persuasione nella realtà delle immagini oniriche persiste più a lungo del solito, così che si stenta a staccarsi dal sogno, questo non costituisce un errore di valutazione provocato dalla vivacità delle immagini oniriche, ma un atto psichico a sé, un’assicurazione, circa il contenuto del sogno, che qualche cosa in esso è veramente come la si è sognata;292 ed è giusto prestare fede a tale assicurazione. Se ci atteniamo a entrambe le regole, dobbiamo concludere che il sogno dà notizia del luogo dove si trova la ricercata Gradiva, notizia che corrisponde alla realtà. Ora, noi conosciamo il sogno di Hanold: l’applicazione ad esso delle due regole conduce a qualche cosa di sensato?

È strano, ma è così. Solo che il senso è mascherato in una certa maniera, per modo che di primo acchito non lo si riconosce. Hanold apprende in sogno che la ragazza cercata vive in una città contemporaneamente a lui. Questo è esatto per Zoe Bertgang, solo che nel sogno questa città non è la città universitaria tedesca, ma Pompei; e il tempo non è il presente, ma l’anno 79 dell’era volgare. Si è prodotta come una deformazione per spostamento: non la Gradiva è trasferita nel presente, ma il sognatore lo è nel passato. Tuttavia l’elemento essenziale e nuovo, che cioè egli ha in comune luogo e tempo con quella che va cercando, è espresso egualmente. Qual è l’origine di questo spostamento e travestimento, destinato a ingannare tanto noi quanto il sognatore sul vero significato e contenuto del sogno? Ora abbiamo in mano gli strumenti per dare una risposta soddisfacente a questo interrogativo.

Ricordiamo tutto ciò che è stato detto sulla natura e le origini delle fantasie che hanno precorso il delirio. Esse sono sostitutivi e derivati di ricordi rimossi, ai quali una resistenza impedisce di venire alla coscienza nella loro forma genuina, ma che riescono a penetrarvi purché tengano conto, ricorrendo a cambiamenti e deformazioni, della censura esercitata dalla resistenza. Effettuato un tale compromesso, quei ricordi si volgono in fantasie, le quali possono facilmente essere fraintese dalla persona cosciente: esse vengono cioè intese nel senso di quella che è la corrente psichica dominante. Supponiamo ora che le immagini oniriche costituiscano per così dire le costruzioni deliranti fisiologiche dell’uomo, i risultati di un compromesso di quella lotta tra il rimosso e il dominante che probabilmente si svolge quotidianamente in ogni essere umano, anche in coloro che di giorno sono completamente sani di mente. Allora si comprende che le immagini del sogno debbano essere considerate come qualche cosa di deformato, dietro cui va ricercato qualche cosa d’altro, di non deformato, ma in certo senso disdicevole, come i ricordi rimossi di Hanold dietro le sue fantasie. Possiamo esprimere la contrapposizione così riconosciuta distinguendo ciò che il sognatore ricorda al risveglio come contenuto onirico manifesto, da ciò che costituirebbe la base del sogno prima della deformazione della censura, i pensieri onirici latenti. Interpretare un sogno significa allora tradurre il contenuto onirico manifesto nei pensieri onirici latenti, con procedimento inverso a quello della deformazione che questi ultimi hanno dovuto subire da parte della censura della resistenza. Se applichiamo questo punto di vista al sogno di cui ci stiamo occupando, troviamo che i pensieri latenti possono essere soltanto questi: la ragazza che ha quel bel modo di camminare, e che tu stai cercando, vive veramente in questa stessa città con te. Ma in questa forma il pensiero non poteva divenire cosciente; gli si opponeva il fatto che una fantasia aveva stabilito, come risultato di un compromesso precedente, che la Gradiva era una pompeiana; perciò se doveva essere mantenuto il fatto reale – della vita nello stesso luogo e nello stesso tempo – non restava altra soluzione: tu stai vivendo a Pompei nel tempo stesso della Gradiva. E questa è allora l’idea che si esprime nel contenuto onirico manifesto, sotto forma di un presente che si sta vivendo.

Raramente un sogno è la figurazione, o come si potrebbe dire l’allestimento scenico, di un unico pensiero; perlopiù si tratta di una serie o di un tessuto di pensieri. Nel sogno di Hanold si può rintracciare un altro elemento del contenuto la cui deformazione è facilmente cancellabile in modo da poter cogliere l’idea latente. Si tratta di un frammento del sogno a cui può essere estesa quella assicurazione di realtà con cui il sogno si conclude. Nel sogno la Gradiva che procede si trasforma in un’immagine di pietra. Questa non è altro che una figurazione ingegnosa e poetica del reale svolgimento dei fatti. Hanold aveva di fatto trasferito il suo interesse dalla persona vivente all’immagine di pietra: l’amata si era in lui trasformata in un bassorilievo marmoreo. I pensieri onirici latenti, destinati a rimanere inconsci, tentano di ritrasformare questa immagine nella donna vivente; essi gli dicono, con un certo riferimento a quanto precede: tu ti interessi al bassorilievo della Gradiva soltanto perché esso ti ricorda la Zoe attuale che vive qui. Ma questa scoperta, se potesse divenire cosciente, significherebbe la fine del delirio.

Ci spetta forse l’obbligo di sostituire, nella stessa maniera, ogni singola parte del contenuto onirico manifesto con pensieri inconsci? A rigore sì; nell’interpretazione di un sogno effettivamente sognato non potremmo sottrarci a tale obbligo. Il soggetto del sogno dovrebbe però in tal caso rispondere alle nostre domande in modo più esauriente. È chiaro che non possiamo far valere tale esigenza presso quella che è soltanto una creazione del poeta. Tuttavia non vogliamo trascurare il fatto che ancora non abbiamo sottoposto il contenuto principale di questo sogno al lavoro di interpretazione o di traduzione.

Il sogno di Hanold è un sogno d’angoscia. Il suo contenuto è terrificante, il soggetto prova angoscia durante il sonno, e continua ad avere sentimenti dolorosi anche dopo il risveglio. Ciò rappresenta una complicazione per il nostro tentativo di spiegazione, e siamo di nuovo costretti a ricorrere alla teoria dell’interpretazione onirica. Questa ci suggerisce di non cadere nell’errore di attribuire l’angoscia provata durante il sogno al contenuto del sogno medesimo e di non considerare un tale contenuto allo stesso modo di come faremmo per un contenuto rappresentativo della vita vigile. Essa ci ricorda che assai spesso si possono sognare i fatti più orribili senza provare neppure un briciolo di paura. Il vero stato di cose è molto diverso e, se non è facile indovinarlo, può però essere provato con sicurezza. L’angoscia, nel sogno d’angoscia, corrisponde – come in genere ogni angoscia nevrotica – a un affetto sessuale, a una sensazione libidica, e proviene, in virtù del processo di rimozione, dalla libido.293 Nell’interpretazione del sogno si dovrebbe perciò sostituire all’angoscia un’eccitazione sessuale. L’angoscia sorta in questa guisa esercita – non sempre ma abbastanza spesso – un influsso selettivo sopra il contenuto del sogno, e fa sì che s’inseriscano nel sogno elementi rappresentativi che sembrano idonei (per la interpretazione cosciente che è erronea) a giustificare l’affetto d’angoscia. Questo, come ho detto, non si verifica con assoluta regolarità, dato che vi sono anche numerosi sogni d’angoscia il cui contenuto non è affatto spaventoso, e dove quindi l’angoscia avvertita non si presta a essere coscientemente spiegata.

So bene che quest’interpretazione dell’angoscia nel sogno appare strana e trova scarso credito; ma non posso far altro che consigliare di accoglierla. Certo può apparire sorprendente che il sogno di Norbert Hanold concordi con questa concezione dell’angoscia e si lasci interpretare con essa. Dovremmo dire allora che nel sognatore è sorto durante la notte un gran desiderio d’amore, che esso ha esercitato una potente spinta per rendergli cosciente il ricordo dell’amata, strappandolo così dal delirio, che esso però è stato nuovamente respinto e trasformato in angoscia, la quale a sua volta avrebbe portato nel contenuto onirico le immagini terrificanti traendole dai ricordi scolastici del soggetto. In tal modo il vero contenuto inconscio, la nostalgia amorosa per la Zoe conosciuta nel passato, si sarebbe trasformata nel contenuto manifesto della distruzione di Pompei e della perdita della Gradiva.

Fino a questo punto ritengo che l’interpretazione sia del tutto plausibile. Tuttavia sarebbe legittimo chiedere una conferma: se il contenuto non deformato di questo sogno è costituito da desideri erotici, dovrebbe pur trovarsi, nello stesso sogno deformato, magari nascosto in qualche parte, un loro riconoscibile residuo. Bene, forse con l’aiuto di un’indicazione tratta dal seguito del racconto, è possibile rintracciare anche un tale residuo. Al primo incontro con la presunta Gradiva, Hanold si ricorda di questo sogno e rivolge all’apparizione la preghiera di tornare a posarsi così come egli l’aveva vista fare nel sogno.294 Subito dopo però la giovane si alza indignata e lascia in asso lo strano interlocutore, nel cui discorso dominato dal delirio essa ha colto l’espressione di uno sconveniente desiderio erotico. Ritengo che si debba far nostra l’interpretazione della Gradiva. Anche da un sogno reale non si potrebbe sempre pretendere una maggior precisione per la rappresentazione di un desiderio erotico.

L’applicazione di alcune regole dell’interpretazione onirica al primo sogno di Hanold ha così avuto il risultato di renderci intelligibile questo sogno nei suoi elementi principali, permettendo di inserirlo nel contesto del racconto. È necessario per questo che il poeta lo abbia composto tenendo presenti queste regole? E anche un’altra domanda potremmo aggiungere: per quale motivo il poeta ha comunque fatto ricorso a un sogno per l’ulteriore sviluppo del delirio? Sono persuaso che tutto è stato composto in modo assai sensato e anche in modo assai fedele alla realtà. Abbiamo già detto che nei casi reali di malattia spesso una formazione delirante si produce in connessione con un sogno e, dopo le nostre spiegazioni sull’essenza del sogno, non occorre più vedere in questo fatto un nuovo enigma. Sogno e delirio provengono dalla stessa fonte, dal rimosso; il sogno è per così dire il delirio fisiologico dell’uomo normale. Prima che il rimosso sia divenuto sufficientemente forte per poter irrompere nella vita vigile sotto forma di delirio, è facile che esso abbia ottenuto un primo successo nelle più favorevoli condizioni dello stato di sonno, sotto forma di un sogno con effetti persistenti. Durante il sonno, insieme alla riduzione generale dell’attività psichica, si ha anche un rilassamento della forza della resistenza che le potenze psichiche dominanti oppongono al rimosso. Proprio questo rilassamento rende possibile la formazione del sogno; e per questo il sogno diventa per noi la migliore via di conoscenza dello psichismo inconscio. Solo che di solito, col ristabilimento degli investimenti psichici della veglia, il sogno dilegua, e il terreno guadagnato dall’inconscio viene nuovamente abbandonato.

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