C. L’APPAGAMENTO DI DESIDERIO

Il sogno del bambino che sta bruciando, posto all’inizio del capitolo, ci offre una buona occasione per valutare le difficoltà nelle quali incorre la teoria dell’appagamento di desiderio. Noi tutti certamente abbiamo accolto con sorpresa il fatto che il sogno non sembra essere altro che un appagamento di desiderio, e non soltanto per la contraddizione derivante dal sogno d’angoscia. Dopo aver appreso dai primi chiarimenti dell’analisi che dietro il sogno si celano significato e valore psichico, non eravamo affatto preparati a una determinazione così univoca di questo significato. Secondo la definizione corretta, ma sommaria, di Aristotele, il sogno è il pensiero protratto nello stato di sonno, in quanto si dorme [vedi il cap. 1, in OSF, vol. 3]. Ora, se il nostro pensiero crea di giorno atti psichici così diversi, come giudizi, conclusioni, obiezioni, previsioni, proponimenti e così via, perché dovrebbe essere costretto di notte a limitarsi unicamente alla produzione di desideri? Non esistono anzi molti sogni che presentano, trasfigurato in sogno, un atto psichico di altra natura, per esempio un’apprensione, e non è forse di questo tipo proprio il trasparente sogno del padre, già riportato? Dal riflesso che colpisce i suoi occhi, anche nel sonno, egli conclude con apprensione che una candela si è rovesciata e può aver dato fuoco al cadavere; tramuta questa conclusione in un sogno, dandole la veste di una situazione percettibile e attuale. Quale parte vi ha l’appagamento di desiderio? E si può forse negare in qualche modo la prevalenza del pensiero, che si prolunga dalla veglia o viene destato dalla nuova impressione sensoriale?

Tutto ciò è esatto e ci costringe ad approfondire l’incidenza dell’appagamento di desiderio nel sogno e il significato dei pensieri vigili che persistono nel sonno.

Proprio l’appagamento di desiderio ci ha già indotti a suddividere i sogni in due gruppi. Abbiamo trovato sogni che si manifestavano chiaramente come appagamenti di desideri; altri, in cui quest’appagamento era irriconoscibile e spesso celato con tutti i mezzi. In questi ultimi abbiamo riconosciuto l’intervento della censura onirica. I sogni di desiderio non deformati sono stati trovati soprattutto in bambini; ma sogni di desiderio brevi, sinceri, sembravano – insisto su questa riserva – verificarsi anche in adulti.

Il problema che abbiamo ora di fronte è da dove origini di volta in volta il desiderio che si attua nel sogno. Ma a quali situazioni contrastanti o alternative riferiamo quest’origine? Al contrasto, ritengo, fra la vita diurna divenuta cosciente e un’attività psichica rimasta inconscia, che riesce a farsi notare soltanto di notte. Trovo quindi che il desiderio ha tre possibili provenienze. Primo, può essere stato suscitato di giorno e non aver trovato soddisfazione, in seguito a circostanze esterne; rimane allora libero per la notte un desiderio riconosciuto e irrisolto; secondo, può essere emerso di giorno, ma esser stato respinto; ci rimane allora un desiderio irrisolto ma represso; oppure, terzo, può non aver riferimento con la vita diurna e far parte di quei pensieri che si destano in noi, dalla zona del represso, soltanto di notte.

Rifacendoci al nostro schema di apparato psichico, localizziamo il desiderio del primo tipo nel sistema Prec; per il desiderio del secondo tipo, ammettiamo che esso sia stato ricacciato dal sistema Prec nel sistema Inc e soltanto lì sussista, se si è conservato; quanto all’impulso di desiderio del terzo tipo, crediamo che in generale sia incapace di oltrepassare il sistema dell’Inc. Ora, i desideri che provengono da queste fonti diverse, hanno forse lo stesso valore per il sogno, lo stesso potere di suscitare un sogno?

Una rassegna dei sogni di cui disponiamo per rispondere a questa domanda, ci rammenta in primo luogo la necessità di aggiungere, come quarta fonte del desiderio nel sogno, gli impulsi di desiderio attuali che sorgono di notte (per esempio, in seguito allo stimolo della sete, al bisogno sessuale). Dopo di che ci sembra probabile che la provenienza del desiderio onirico non muti per nulla la sua capacità di suscitare un sogno. Ricordo il sogno della bambina che continua la gita sul lago, interrotta di giorno, e gli altri sogni infantili [vedi il cap. 3, in OSF, vol. 3]: si spiegano con un desiderio inappagato, ma non represso, della veglia. Sono numerosissimi gli esempi che dimostrano come un desiderio represso di giorno si faccia strada nel sogno; potrei aggiungerne qui uno semplicissimo. Una signora piuttosto arguta, la cui giovane amica si è fidanzata, risponde durante il giorno ai conoscenti che le chiedono se conosce il fidanzato e che cosa ne pensa, con elogi sperticati; così facendo mette a tacere il suo vero giudizio su di lui, che avrebbe espresso volentieri: “è un uomo dozzinale”. Di notte, sogna che le si rivolge la stessa domanda e che lei risponde con la formula: “per ulteriori ordinazioni basta l’indicazione del numero”. E infine è risultato da numerose analisi che in tutti i sogni sottoposti a deformazione il desiderio proviene dall’inconscio e non è riuscito a farsi percepire durante il giorno. Così, a prima vista, tutti i desideri sembrano avere lo stesso valore e lo stesso potere rispetto alla formazione del sogno.

Non posso dimostrare ora che in realtà le cose stanno in altro modo. Sono tuttavia molto propenso ad ammettere che il desiderio del sogno sia condizionato in modo più rigoroso. I sogni infantili non consentono dubbi di sorta sul fatto che un desiderio irrisolto di giorno possa suscitare il sogno. Ma non bisogna dimenticare che in questo caso si tratta del desiderio di un bambino, di un impulso di desiderio che ha la forza propria della sfera infantile. Ho gravi dubbi sul fatto che nell’adulto un desiderio inappagato di giorno basti a creare un sogno. Mi sembra piuttosto che col progressivo dominio delle nostre pulsioni da parte dell’attività di pensiero, rinunciamo sempre più alla formazione o alla conservazione di desideri intensi quanto quelli che abbiamo conosciuto da bambini, perché ci sembrano inutili. Possono certamente farsi valere differenze individuali, qualcuno può conservare il tipo infantile di processo psichico più a lungo di un altro, come esistono differenze analoghe anche nel caso dell’attenuazione della vivacità di rappresentazione tipicamente visiva propria dell’infanzia. Ma in linea generale, credo che nell’adulto il desiderio non soddisfatto, residuo del giorno prima, non basti a creare un sogno. Ammetto volentieri che l’impulso di desiderio proveniente dalla sfera cosciente fornisca un contributo all’istigazione del sogno, ma probabilmente nient’altro. Il sogno non sorgerebbe se il desiderio preconscio non sapesse procurarsi un rinforzo altrove.

Nell’inconscio propriamente. Suppongo che il desiderio conscio possa diventare un suscitatore del sogno soltanto se riesce a destare un desiderio affine inconscio, con cui si rafforza. In base alle indicazioni ricavate dall’analisi delle nevrosi, ritengo questi desideri inconsci sempre attivi, sempre pronti a procurarsi un’espressione, qualora si offra loro l’occasione di allearsi con un impulso proveniente dal conscio, sempre pronti a trasferire su di esso la loro maggiore intensità.934 Si arriva quindi per forza all’apparenza, che solo il desiderio conscio si sia realizzato nel sogno; ma una piccola stravaganza nella configurazione del sogno ci metterà sulle tracce del potente collaboratore venuto dall’inconscio. Questi desideri sempre desti, per così dire immortali, del nostro inconscio, che ricordano i leggendari Titani, sui quali da tempo immemorabile gravano i pesanti massi, che, rotolati su di loro dagli dèi vincitori, ancor oggi di tanto in tanto sussultano al fremito delle loro membra, questi desideri rimossi, dico, sono però essi stessi di origine infantile, come sappiamo dall’indagine psicologica delle nevrosi. Vorrei quindi tralasciare la tesi espressa in precedenza [vedi il cap. 7, par. C, in OSF, vol. 3], per cui l’origine del desiderio onirico sarebbe indifferente, e sostituirla con questa: il desiderio che si rappresenta nel sogno dev’essere un desiderio infantile. Nell’adulto proviene dall’Inc; nel bambino, in cui non esistono ancora la separazione e la censura tra Prec e Inc, o dove si stanno formando gradualmente, è un desiderio inappagato, non rimosso, della vita vigile. Certo, questo modo di vedere non è sempre dimostrabile; ma secondo me lo è in molti casi, anche dove non si sospetterebbe, e in linea generale non può essere contestato.

Faccio dunque passare in secondo piano, agli effetti della formazione del sogno, gli impulsi di desiderio che permangono dalla vita vigile cosciente. Non intendo concedere loro parte diversa da quella che ha per esempio, nei confronti del contenuto onirico, il materiale di sensazioni attuali durante il sonno (vedi il cap. 5, par. C, in OSF, vol. 3). Mi mantengo nello stesso ordine di idee, prendendo ora in considerazione gli altri impulsi psichici che sopravvivono alla vita diurna e non sono desideri. Decidendo di dormire, possiamo riuscire a por fine provvisoria agli investimenti di energia del nostro pensiero vigile. Chi vi riesce bene, è uno che dorme bene; sembra che Napoleone I fosse un modello di questa categoria. Ma non sempre ci si riesce e non sempre in modo completo. Problemi non risolti, preoccupazioni tormentose, eccesso d’impressioni, protraggono l’attività del pensiero anche durante il sonno e alimentano processi psichici nel sistema che abbiamo definito preconscio. Dovendo fare una classificazione di questi impulsi di pensiero che si prolungano nel sonno, possiamo raggrupparli nel modo seguente: 1) ciò che di giorno non viene portato a termine per un impedimento casuale; 2) ciò che è incompiuto, irrisolto, per il venir meno della nostra forza intellettuale; 3) ciò che di giorno viene respinto e represso. Vi si aggiunge un vasto gruppo; 4) ciò che durante il giorno è stato destato nel nostro Inc dal lavoro del Prec, e infine: 5) le impressioni diurne indifferenti e perciò rimaste sospese.

Non è il caso di sottovalutare le intensità psichiche che attraverso questi residui della vita diurna vengono introdotte nello stato di sonno, specialmente quelle del secondo gruppo. Di certo questi eccitamenti lottano anche di notte per esprimersi; con altrettanta sicurezza possiamo ammettere che lo stato di sonno renda impossibile l’abituale continuazione del processo d’eccitamento nel preconscio, nonché la sua conclusione nella presa di coscienza. Sin quando, anche di notte, riusciamo a prender coscienza in modo normale dei nostri processi ideativi, non dormiamo. Non saprei indicare quale mutamento sia provocato dallo stato di sonno nel sistema Prec;935 ma è indubbio che la caratteristica psicologica del sonno va ricercata essenzialmente nei mutamenti d’investimento energetico di questo sistema, che domina anche l’accesso alla motilità, paralizzata durante il sonno. Per contro, non conosco alcuna motivazione della psicologia del sogno che ci obblighi ad ammettere che il sonno provochi altro che trasformazioni secondarie nelle condizioni del sistema Inc. All’eccitamento notturno del Prec non rimane dunque altra via che quella presa dagli eccitamenti di desiderio che vengono dall’Inc; è nell’Inc che esso deve cercare il proprio rafforzamento, seguendo le deviazioni degli eccitamenti inconsci. Ma come si comportano nei confronti del sogno i residui diurni preconsci? Non v’è dubbio che essi penetrano copiosamente nel sogno, che si servono del contenuto onirico per imporsi alla coscienza anche di notte; anzi a volte essi dominano questo contenuto, lo costringono a continuare il lavoro diurno. È certo altresì che i residui diurni possono avere qualsiasi altro carattere oltre quello di desiderio; ma a questo punto è assai istruttivo e addirittura decisivo per la teoria dell’appagamento di desiderio, vedere a quale condizione debbano sottostare per essere accolti nel sogno.

Scegliamo uno dei casi già esaminati, per esempio il sogno che mi mostra l’amico Otto con i segni del morbo di Basedow (vedi il cap. 5, par. D, sottopar. β, punto 4, in OSF, vol. 3). Di giorno mi ero creato un’apprensione, che l’aspetto di Otto giustificava; tale preoccupazione mi toccava da vicino, come tutto ciò che concerne questa persona. Mi seguì, posso supporre, anche nel sonno. Probabilmente intendevo mettere in chiaro che cosa potesse avere. Durante la notte, questa preoccupazione si espresse nel sogno che ho comunicato, il cui contenuto, in primo luogo, era assurdo, e in secondo luogo, non rispondeva ad alcun appagamento di desiderio. Ciononostante incominciai a ricercare donde venisse l’espressione – inadeguata – del timore provato di giorno, e per mezzo dell’analisi mi fu dato di trovare una connessione, in quanto identificai l’amico con il barone L., e me stesso col professor R. C’era una sola spiegazione per il fatto che avessi dovuto scegliere proprio questa sostituzione del pensiero diurno. Nell’Inc dovevo essere sempre pronto all’identificazione col professor R., perché attraverso di essa si realizzava uno degli immortali desideri infantili, il desiderio di grandezza. Certi orribili pensieri contro il mio amico, sicuramente respinti di giorno, avevano approfittato dell’occasione per insinuarsi anch’essi nella raffigurazione onirica; ma anche la preoccupazione del giorno era giunta per sostituzione a una specie di espressione nel contenuto onirico. [Vedi il cap. 5, par. D, sottopar. β, in OSF, vol. 3.] Il pensiero del giorno, che di per sé non era un desiderio, ma al contrario un’apprensione, doveva procurarsi, in un modo o nell’altro, l’allacciamento a un desiderio infantile, ora inconscio e represso, il quale poi lo fece “sorgere”, benché opportunamente acconciato, per la coscienza. Quanto più dominante era la preoccupazione, tanto più violenta poteva essere l’unione che doveva essere creata; tra il contenuto del desiderio e quello dell’apprensione non occorreva affatto ci fosse un nesso, e nel nostro esempio infatti non ce n’era alcuno.

Forse è opportuno936 trattare lo stesso problema anche in un’altra forma: vedere cioè come si comporta il sogno, quando nei pensieri onirici gli viene offerto un materiale in piena contraddizione con l’appagamento di un desiderio, ossia preoccupazioni fondate, considerazioni dolorose, giudizi penosi. La varietà dei risultati possibili ammette allora la seguente articolazione: a) il lavoro onirico riesce a sostituire tutte le rappresentazioni penose con rappresentazioni opposte, e a reprimere i corrispondenti affetti spiacevoli. Ne risulta perciò un sogno di pura soddisfazione, un tangibile appagamento di desiderio, del quale non sembra ci sia altro da dire; b) le rappresentazioni penose giungono più o meno modificate, ma ben riconoscibili, nel contenuto onirico manifesto. Questo è il caso che provoca i dubbi sulla validità della teoria del sogno come desiderio e che richiede un’ulteriore indagine. Tali sogni di contenuto penoso possono essere vissuti come indifferenti, oppure possono portare con sé tutte le emozioni penose che sembrano giustificate dal loro contenuto rappresentativo; oppure possono persino, sviluppando angoscia, portare al risveglio.

L’analisi prova poi che anche questi sogni spiacevoli sono appagamenti di desideri. Un desiderio inconscio e rimosso, il cui appagamento non potrebbe essere vissuto dall’Io del sognatore se non in modo penoso, si è servito dell’occasione offertagli dal permanere dei residui diurni penosi, ha prestato loro il suo appoggio e con ciò ha dato loro facoltà di entrare nel sogno. Ma, mentre nel caso a il desiderio inconscio coincideva con quello conscio, nel caso b il dissidio tra l’inconscio e il conscio – tra materiale rimosso e Io – viene messo a nudo e si realizza la situazione della favola dei tre desideri accordati dalla fata alla coppia di sposi.937 La soddisfazione per l’appagamento del desiderio rimosso può riuscire tanto grande da compensare i sentimenti penosi connessi ai residui diurni [vedi il cap. 6, par. H, sottopar. 4, in OSF, vol. 3]; in questo caso il sogno risulta di tonalità affettiva indifferente, anche se da un lato è l’appagamento di un desiderio, dall’altro quello di un timore. Oppure può anche accadere che l’Io dormiente prenda parte ancor più attiva alla formazione del sogno, che reagisca con violenta indignazione all’avvenuta soddisfazione del desiderio rimosso e ponga fine al sogno stesso in situazione d’angoscia. Non è dunque difficile riconoscere che i sogni spiacevoli e quelli angosciosi sono appagamenti di desiderio dal punto di vista della nostra teoria, allo stesso modo dei puri sogni di soddisfazione.

Sogni spiacevoli possono essere anche sogni di punizione. [Ibid.] Bisogna ammettere che, riconoscendoli come tali, si aggiunge in un certo senso qualche cosa di nuovo alla teoria del sogno. Ciò che essi appagano è sempre un desiderio inconscio, il desiderio cioè di una punizione inflitta al sognatore per un moto di desiderio illecito, rimosso. Questi sogni corrispondono all’esigenza qui sostenuta, in quanto la forza motrice che presiede alla loro formazione deve essere stata fornita da un desiderio appartenente all’inconscio. Ma un’analisi psicologica più sottile consente di riconoscere la differenza fra questi e gli altri sogni di desiderio. Nei casi del gruppo b, il desiderio inconscio formatore del sogno faceva parte del materiale rimosso; nei sogni di punizione, si tratta sempre di un desiderio inconscio, che però dobbiamo attribuire non al materiale rimosso, bensì all’“Io.” I sogni di punizione indicano dunque la possibilità di una più intima partecipazione dell’Io alla formazione del sogno. Il meccanismo di questa formazione diventa in genere più trasparente, se al posto dell’antitesi “conscio”-“inconscio” si pone quella “Io”-“materiale rimosso”. Questo non si può fare se non tenendo conto dei processi psiconevrotici e perciò non ne è stata fatta applicazione in questo libro. Osservo soltanto che i sogni di punizione non sono condizionati in generale da residui diurni penosi. Sorgono anzi, con estrema facilità, nella condizione opposta, quando cioè i residui diurni sono pensieri di soddisfazione, che però esprimono soddisfazioni illecite. Di questi pensieri giunge allora nel sogno manifesto solo il loro diretto contrario, come nel caso dei sogni del gruppo a. Il carattere essenziale dei sogni di punizione consisterebbe dunque in questo: artefice del sogno diventa, non il desiderio inconscio proveniente dal materiale rimosso (sistema Inc), ma il desiderio di punizione anche se inconscio (cioè preconscio) che reagisce a esso e appartiene all’Io.938

Voglio illustrare939 alcuni punti dell’esposizione, in primo luogo il modo in cui il lavoro onirico procede con un residuo diurno costituito da un’attesa penosa, servendomi di un sogno personale.

“Inizio poco chiaro. Dico a mia moglie che ho una notizia per lei, qualche cosa di assolutamente particolare. Lei si spaventa e rifiuta di ascoltarmi. Io le assicuro che si tratta al contrario di qualche cosa che le farà molto piacere e incomincio a raccontare che il corpo ufficiali di nostro figlio ha mandato una somma di denaro (5000 corone?)... qualcosa come un riconoscimento... distribuzione... Nel frattempo sono andato con lei in una piccola stanza, una specie di dispensa, per cercare qualcosa. Improvvisamente vedo comparire mio figlio, non è in uniforme, ma piuttosto in tenuta sportiva aderente (come una foca?), con un piccolo berretto. Sale su un cesto che si trova di lato, accanto a un cassone, come per mettere qualcosa su questo cassone. Lo chiamo: nessuna risposta. Mi sembra che abbia il viso o la fronte fasciata, s’aggiusta qualcosa in bocca, vi spinge dentro qualcosa. Per di più i suoi capelli hanno un riflesso grigio. Penso: “Che sia tanto esaurito? e ha denti finti?” Prima che io riesca a chiamarlo di nuovo, mi sveglio senza angoscia ma col batticuore. Il mio orologio segna le due e mezzo.”

Anche questa volta mi è impossibile comunicare un’analisi completa. Mi limito a rilevare alcuni punti decisivi. Lo spunto del sogno era stato fornito da una tormentosa attesa diurna; da più di una settimana mancavano di nuovo notizie del figlio combattente al fronte. È facile notare che nel contenuto del sogno è espressa la convinzione che egli sia ferito o caduto. All’inizio, si nota l’energico sforzo di sostituire ai pensieri penosi il loro contrario. Debbo comunicare qualche cosa di molto piacevole, che si riferisce a un invio di denaro, a un riconoscimento, a una distribuzione. (La somma di denaro deriva da un avvenimento piacevole della mia professione di medico, tende dunque in generale a deviare dal tema.) Ma questo sforzo fallisce. La madre intuisce qualche cosa di terribile e non vuole ascoltarmi. Del resto i travestimenti sono troppo sottili, ovunque traspare il riferimento a ciò che andrebbe represso. Se il figlio è caduto, i suoi compagni ne rispediranno gli averi; dovrò distribuire ai fratelli e agli altri quel che ha lasciato; vengono spesso accordati riconoscimenti all’ufficiale dopo la sua “eroica morte”. Il sogno passa dunque a esprimere direttamente ciò che in un primo tempo intendeva negare, e in ciò si fa notare, seppure attraverso deformazioni, la tendenza ad appagare un desiderio. (Il cambiamento di luogo nel sogno va certamente inteso come “simbolismo della soglia” secondo Silberer.940) [Vedi il cap. 6, par. I, in OSF, vol. 3.] Certo non indoviniamo che cosa gliene dia la necessaria forza motrice. Il figlio non appare però come uno che “cade”, bensì come uno che “sale”. Infatti è stato alpinista temerario. Non è in uniforme, ma in tenuta sportiva, vale a dire al posto dell’infortunio che temiamo ora, ne subentra uno precedente, di tipo sportivo, quando durante una gita cadde con gli sci fratturandosi il femore. Ma il modo in cui è vestito, che lo fa somigliare a una foca, rammenta subito un ragazzo più giovane, il nostro piccolo e buffo nipote; i capelli grigi alludono al padre di questi, nostro genero, che ha risentito molto della guerra. Che cosa significa? Ma di questo, basta. Il luogo, una dispensa, il cassone, dal quale vuol prendere qualche cosa (o sul quale vuol mettere qualche cosa, nel sogno) sono evidenti allusioni a un infortunio personale occorsomi quando avevo dai due ai tre anni.941 Ero salito su uno sgabello in dispensa per prendermi qualche cosa di buono che si trovava su un cassone o su un tavolo. Lo sgabello si rovesciò colpendomi con lo spigolo dietro la mandibola. Avrei anche potuto perdere tutti i denti. Qui si fa vivo un ammonimento: “Ti sta bene”, quasi un impulso ostile nei confronti del valoroso guerriero. Approfondendo l’analisi, riesco a trovare l’impulso celato, che potrebbe trovare soddisfazione nella temuta disgrazia del figlio. È l’invidia per la gioventù, che l’uomo avanzato in età crede di aver radicalmente soffocato, ed è palese che, se una disgrazia del genere si verifica realmente, è appunto l’intensità della commozione dolorosa a rintracciare, per suo lenimento, un simile appagamento di desiderio rimosso.942

Ora posso definire con esattezza il significato che il desiderio inconscio ha per il sogno. Sono disposto ad ammettere che esista tutta una serie di sogni provocati in prevalenza, o addirittura esclusivamente, dai residui della vita diurna, e ritengo che persino il mio desiderio di diventare finalmente Professor extraordinarius avrebbe potuto lasciarmi dormire in pace quella notte, se la preoccupazione del giorno prima per la salute dell’amico non fosse stata ancora operante [vedi il cap. 5, par. D, sottopar. β, punto 4, in OSF, vol. 3]. Ma questa preoccupazione non avrebbe ancora provocato alcun sogno; la forza motrice necessaria al sogno doveva essere fornita da un desiderio; ed era compito della preoccupazione procurarsi un desiderio che fungesse da forza motrice del sogno.

Per usare un paragone: è ben possibile che un pensiero diurno faccia per il sogno la parte dell’imprenditore, ma l’imprenditore – il quale, come si suol dire, ha l’idea e la voglia di tradurla in azione – non può far nulla senza capitale, ha bisogno di un capitalista che sostenga le spese, e il capitalista che sostiene le spese psichiche del sogno è sempre e immancabilmente, qualunque possa essere il pensiero diurno, un desiderio proveniente dall’inconscio.943

Altre volte l’imprenditore è il capitalista stesso; anzi, per il sogno questo è il caso più frequente. Il lavoro diurno ha ravvivato un desiderio inconscio, che ora crea il sogno. I processi onirici corrispondono anche a tutte le altre eventualità del rapporto economico usato come esempio: l’imprenditore può contribuire egli stesso con un piccolo capitale; più imprenditori possono rivolgersi allo stesso capitalista; più capitalisti possono contribuire in comune alle occorrenze degli imprenditori. E così esistono anche sogni sostenuti da più desideri e altre varietà dello stesso tipo, che sono facilmente accertabili e non destano più il nostro interesse. Quel che ancora difetta a questa trattazione sul desiderio del sogno, potrà essere integrato soltanto in seguito.

Il tertium comparationis degli esempi qui usati, la quantità944 posta a disposizione dell’imprenditore in misura adeguata, può essere utilizzato in modo ancora più sottile per delucidare la struttura del sogno. Come si è detto qui nel cap. 6, par. B [e nel cap. 6, par. C], è possibile riconoscere nella maggior parte dei sogni un centro dotato di particolare intensità sensoriale. È questa di solito la raffigurazione diretta dell’appagamento di desiderio, dato che, se prescindiamo dagli spostamenti operati dal lavoro onirico, troviamo che l’intensità psichica degli elementi del contenuto latente è sostituita dall’intensità sensoriale degli elementi del contenuto manifesto. Gli elementi disposti in prossimità dell’appagamento di desiderio non hanno spesso nulla a che vedere con il senso di questo, anzi si rivelano derivati di pensieri penosi che contrastano col desiderio. Ma attraverso il rapporto, spesso artificioso, con l’elemento centrale, hanno ottenuto un’intensità tale da renderli idonei alla raffigurazione. In questo modo la forza rappresentativa dell’appagamento di desiderio si propaga a una determinata sfera di rapporti, all’interno della quale tutti gli elementi, anche quelli di per sé sprovvisti di mezzi, vengono sospinti alla raffigurazione. Nei sogni con più desideri motori, è facile delimitare reciprocamente le sfere dei singoli appagamenti di desiderio e spesso è anche facile interpretare come zone di confine le lacune esistenti nel sogno.

Anche se le precedenti osservazioni restringono l’importanza dei residui diurni nel sogno, vale comunque la pena di dedicar loro ancora un po’ di attenzione. In fondo, devono essere un ingrediente necessario alla formazione del sogno, se l’esperienza riesce a sorprenderci col fatto che ogni sogno riconosce nel suo contenuto un riferimento a un’impressione diurna recente, a volte del tipo più indifferente. Non siamo ancora riusciti a comprendere la necessità di questa aggiunta alla miscela onirica (vedi il cap. 5, par. A, Analisi, in OSF, vol. 3). Infatti tale necessità si ricava soltanto tenendo ben presente la parte giocata dal desiderio inconscio e ricorrendo poi alla psicologia delle nevrosi. Questa ci insegna che la rappresentazione inconscia è, in quanto tale, generalmente incapace di penetrare nel preconscio e che può esercitare in esso qualche effetto soltanto unendosi a una rappresentazione innocente, che fa già parte del preconscio, trasferendo su di essa la sua intensità e servendosene come di una copertura. È questo il fatto della traslazione,945 che implica la spiegazione di tanti strani avvenimenti della vita psichica dei nevrotici. La traslazione può lasciare immutata la rappresentazione preconscia, che raggiunge in questo modo un’immeritata intensità, oppure può imporle una modificazione, attraverso il contenuto della rappresentazione che opera la traslazione. Mi si perdoni la tendenza ai paragoni tratti dalla vita quotidiana, ma sono tentato di dire che, per la rappresentazione rimossa, le condizioni sono analoghe a quelle fatte nel nostro paese al dentista americano, che non può esercitare la sua professione se non servendosi di un dottore in medicina, regolarmente laureato, come prestanome e schermo dinanzi alla legge. E nello stesso modo in cui non sono proprio i medici con più vasta clientela quelli che contraggono simili accordi con gli odontotecnici, anche nello psichico non vengono scelte a copertura di una rappresentazione rimossa le rappresentazioni preconsce o consce che abbiano attirato su di sé una quota sufficiente dell’attenzione attiva nel preconscio. L’inconscio circonda di preferenza con i suoi collegamenti quelle impressioni e rappresentazioni del preconscio che o non sono state prese in considerazione perché indifferenti o che di questa considerazione sono state ben presto private dalla condanna. È un noto principio della teoria associativa, confermato da tutte le esperienze, quello per cui le rappresentazioni che hanno contratto un collegamento assai intimo in un senso si rifiutano in un certo modo a interi gruppi di collegamenti nuovi. Ho tentato una volta di fondare su questo principio una teoria delle paralisi isteriche.946

Ammettendo che lo stesso bisogno di traslazione da parte delle rappresentazioni rimosse, bisogno che conosciamo dall’analisi delle nevrosi, si faccia valere anche nel sogno, si spiegano in una volta sola due dei suoi enigmi: il fatto che l’analisi del sogno riveli l’inserimento di un’impressione recente, e che quest’elemento recente sia spesso del tipo più indifferente [vedi il cap. 5, par. B, in OSF, vol. 3]. Aggiungiamo ciò che abbiamo appreso in un altro punto [vedi il cap. 5, par. A, Analisi, in OSF, vol. 3], cioè che questi elementi recenti e indifferenti giungono tanto spesso nel contenuto onirico in sostituzione di quelli antichissimi provenienti dai pensieri del sogno, perché sono contemporaneamente gli elementi che meno hanno da temere la censura di resistenza. Ma mentre quest’ultimo fatto ci spiega soltanto la preferenza per gli elementi banali, la costanza degli elementi recenti ci fa intravedere la costrizione alla traslazione. La pretesa dell’elemento rimosso, volta a ottenere materiale ancora libero da associazioni, risulta soddisfatta dai due gruppi di impressioni, perché le impressioni indifferenti non hanno offerto motivo di copiose associazioni, mentre per quelle recenti non ce n’è stato ancora il tempo.

Vediamo così che i residui diurni, ai quali possiamo ora aggiungere le impressioni indifferenti, non soltanto prendono in prestito qualche cosa dall’Inc, quando partecipano più intensamente alla formazione del sogno, e precisamente la forza motrice di cui dispone il desiderio rimosso, ma, anche, che offrono all’inconscio qualche cosa di indispensabile, il punto d’attacco necessario per la traslazione. Volendo a questo punto approfondire ulteriormente i processi psichici, dovremmo mettere più a fuoco il giuoco degli eccitamenti tra preconscio e inconscio: lo studio delle psiconevrosi tende infatti a questo, mentre il sogno non offre a questa indagine alcun appiglio.

Un’ultima osservazione sui residui diurni. Non v’è dubbio che sono essi i veri e propri disturbatori del sonno e non i sogni, che invece si sforzano di proteggerlo. Torneremo in seguito su questo punto. [Vedi il cap. 7, par. D, in OSF, vol. 3.]

Finora abbiamo inseguito il desiderio onirico, facendolo derivare dalla regione dell’Inc e analizzandone il rapporto coi residui diurni, che a loro volta possono essere desideri, o sollecitazioni psichiche di qualsiasi altro tipo, o semplicemente impressioni recenti. Abbiamo così dato spazio alle esigenze che si possono sollevare a favore dell’importanza, nei confronti della formazione del sogno, del lavoro ideativo vigile in ogni sua varietà. Non sarebbe neppure impossibile spiegare, secondo quest’ordine di idee, persino quei casi estremi nei quali il sogno, quale continuatore del lavoro diurno, porta a felice conclusione un compito non risolto della veglia [vedi il cap. 1, par. E, in OSF, vol. 3]. Ci manca soltanto un esempio la cui analisi ci consenta di scoprire la fonte di desiderio infantile o rimossa che, chiamata in causa, ha rinsaldato con tanto successo lo sforzo dell’attività preconscia. Ma non ci siamo avvicinati di un passo alla soluzione dell’enigma: perché l’inconscio nel sonno non sa offrire altro che la forza motrice per l’appagamento di un desiderio? La risposta a questa domanda deve far luce sulla natura psichica dell’atto di desiderio; essa potrà essere data in base al nostro schema di apparato psichico.

Non c’è dubbio che anche quest’apparato ha raggiunto la sua odierna perfezione soltanto attraverso una lunga evoluzione. Tentiamo di riportarlo a uno stadio precedente della sua capacità operativa. Da ipotesi che devono essere basate su altre premesse, sappiamo che l’apparato tendeva in un primo tempo a mantenersi il più possibile esente da stimoli;947 esso aveva perciò, nel suo primo assetto, lo schema di un apparato riflesso, che gli consentiva di allontanare rapidamente per via motoria gli eccitamenti sensitivi provenienti dall’esterno. Ma l’urgenza vitale turba questa semplice funzione; ed è a essa che l’apparato deve anche l’impulso a un ulteriore sviluppo. Quest’urgenza gli si presenta in un primo tempo nella forma dei grandi bisogni fisici. L’eccitamento prodotto dal bisogno interno cercherà uno sfogo nella motilità, che si potrà definire “mutamento interno” o “espressione del moto dell’animo.” Il bambino affamato, senza aiuto, griderà o si agiterà. Ma la situazione rimarrà invariata, perché l’eccitamento proveniente dal bisogno interno non corrisponde a una forza che agisce in quel momento, bensì a una forza che opera permanentemente. Può esserci un cambiamento quando, in un modo qualsiasi, nel bambino per l’aiuto di altre persone, si effettua l’esperienza di soddisfacimento, che sospende lo stimolo interno. Componente essenziale di quest’esperienza vissuta è la comparsa di una determinata percezione (l’alimento, nell’esempio dato), la cui immagine mnestica rimane d’ora in poi associata alla traccia mnestica dell’eccitamento dovuto al bisogno. Appena questo bisogno ricompare una seconda volta, si avrà, grazie al collegamento stabilito, un moto psichico che tende a reinvestire l’immagine mnestica corrispondente a quella percezione, e riprovocare la percezione stessa; dunque, in fondo, a ricostruire la situazione del primo soddisfacimento. È un moto di questo tipo che chiamiamo desiderio; la ricomparsa della percezione è l’appagamento del desiderio e la via più breve per raggiungerlo porta dall’eccitamento dovuto al bisogno all’investimento totale della percezione. Nulla ci impedisce di ammettere uno stato primitivo dell’apparato psichico, nel quale questa via viene realmente percorsa in questo modo e l’atto del desiderio sfocia quindi in un’allucinazione. Questa prima attività psichica mira dunque a un’identità di percezione,948 vale a dire alla ripetizione della percezione che è collegata col soddisfacimento del bisogno.

Un’amara esperienza vitale deve aver modificato questa primitiva attività mentale in un’attività più funzionale, secondaria. La produzione dell’identità di percezione per la via breve, regressiva, all’interno dell’apparato psichico, non implica in un altro punto l’esito che si ottiene con l’investimento della stessa percezione dall’esterno. Non c’è il soddisfacimento, il bisogno perdura. Per equiparare l’investimento interno a quello esterno, occorrerebbe che il primo permanesse ininterrottamente, come si verifica realmente nelle psicosi allucinatorie e nelle fantasie da fame, la cui attività psichica si esaurisce nell’atto di tener fermo l’oggetto desiderato. Per raggiungere un impiego più conveniente della forza psichica, diventa necessario impedire la regressione completa, in modo che essa non oltrepassi l’immagine mnestica e possa da qui ricercare altre vie, che alla fine permettono di stabilire la desiderata identità percettiva a partire dal mondo esterno.949

Quest’impedimento, al pari della susseguente deviazione dell’eccitamento, diventa compito di un secondo sistema che domina la motilità volontaria, vale a dire che incorpora nella propria attività l’impiego della motilità per gli scopi precedentemente ricordati. Ma tutta la complessa attività di pensiero, che si svolge dall’immagine mnestica fino alla produzione dell’identità di percezione attraverso il mondo esterno, non rappresenta che una via indiretta, resa necessaria dall’esperienza, per giungere all’appagamento di desiderio.950 Infatti il pensiero non è altro che il surrogato del desiderio allucinatorio ed è ovvio che il sogno sia l’appagamento di un desiderio, dato che nulla, all’infuori di un desiderio, è in grado di mettere in moto il nostro apparato psichico. Il sogno, che appaga i suoi desideri per la via breve, regressiva, non fa altro in questo modo che serbarci un saggio del metodo operativo primario dell’apparato psichico, abbandonato perché inadeguato allo scopo. Ciò che un tempo imperava sulla veglia, quando la vita psichica era ancora giovane e inesperta, sembra relegato nella vita notturna; pressappoco come nella stanza dei bambini ritroviamo le armi primitive, l’arco e la freccia, deposte dall’umanità adulta. L’atto di sognare è un brano della superata vita psichica infantile. Nelle psicosi, questi procedimenti operativi dell’apparato psichico, che di solito sono repressi nella veglia, riusciranno di nuovo a farsi valere e in seguito renderanno palese la loro incapacità a soddisfare i nostri bisogni di fronte al mondo esterno.951

I moti di desiderio inconsci tendono evidentemente a imporsi anche di giorno e sia il fenomeno della traslazione sia le psicosi ci dimostrano che essi vorrebbero farsi strada, passando per il sistema del preconscio, sino alla coscienza e al dominio della motilità. Nella censura tra Inc e Prec, che il sogno addirittura ci costringe ad ammettere, dobbiamo dunque riconoscere e rispettare il guardiano della nostra salute mentale. Ma in questo caso, non è forse imprudente, da parte del guardiano, diminuire nottetempo la sua attività, permettere che si esprimano i moti repressi dell’Inc, rendere nuovamente possibile la regressione allucinatoria? Penso di no, perché quando l’attento guardiano va a riposare – abbiamo però le prove che non dorme profondamente – chiude anche la porta che conduce alla motilità. Quali che siano gli impulsi dell’Inc, normalmente inibito, che si agitano sulla scena, possiamo concedere loro ampia libertà; essi rimangono innocui, perché non sono in grado di azionare l’apparato motorio, l’unico che possa influenzare, mutandolo, il mondo esterno. Lo stato di sonno garantisce la sicurezza della fortezza da sorvegliare. La situazione è meno tranquilla quando lo spostamento delle forze è prodotto non dalla riduzione notturna dell’impegno di energie della censura critica, ma da un loro indebolimento patologico, o da un rafforzamento patologico degli eccitamenti inconsci, mentre il preconscio è investito e le porte della motilità sono aperte. Allora il guardiano viene sopraffatto, gli eccitamenti inconsci sottomettono il preconscio, dominano da esso le nostre parole e le nostre azioni, oppure conquistano con la violenza la regressione allucinatoria e dirigono l’apparato (non a essi destinato) in virtù dell’attrazione che le percezioni esercitano sulla ripartizione della nostra energia psichica. È questo lo stato che chiamiamo psicosi.

Ci troviamo qui sulla strada migliore per proseguire la costruzione dell’impalcatura psicologica, che abbiamo abbandonato dopo l’inserimento dei due sistemi Inc e Prec. Abbiamo però ancora motivo di indugiare sulla valutazione del desiderio come unica forza motrice psichica del sogno. Abbiamo accettato il chiarimento che il sogno è ogni volta un appagamento di desiderio, perché esso è un prodotto del sistema Inc, il quale non conosce altra meta per il proprio lavoro se non l’appagamento di un desiderio e non dispone di altre forze se non di quelle costituite dai moti di desiderio. Volendo ora insistere, anche solo per un minuto, nel diritto di trarre così ampie speculazioni psicologiche dall’interpretazione del sogno, ci incombe l’obbligo di mostrare che per mezzo di esse introduciamo il sogno in un contesto che può abbracciare anche altre formazioni psichiche. Se esiste un sistema dell’Inc – o qualche cosa di analogo dal punto di vista della nostra trattazione – il sogno non può esserne l’unica manifestazione; può darsi che ogni sogno sia l’appagamento di un desiderio, ma, oltre ai sogni, devono pur esservi altre forme di appagamenti anormali di desideri. In realtà la teoria di tutti i sintomi psiconevrotici culmina nella tesi che anch’essi vanno concepiti come appagamenti di desiderio dell’inconscio.952 Nella nostra spiegazione il sogno non è che il primo anello di una serie estremamente importante per lo psichiatra; comprendere questa serie significa risolvere la parte propriamente psicologica del compito psichiatrico.953 Conosco però un carattere essenziale di altri anelli di questa serie, per esempio dei sintomi isterici, che non ho ancora trovato nel sogno. Infatti, dalle indagini accennate nel corso di quest’opera, so che per formare un sintomo isterico devono convergere le due correnti della nostra vita psichica. Il sintomo non è soltanto l’espressione di un desiderio inconscio realizzato; occorre che, in aggiunta, si appaghi per mezzo di esso un desiderio del preconscio, di modo che il sintomo sia determinato almeno due volte, sia dall’uno sia dall’altro dei due sistemi in conflitto. Come nel sogno, non esistono limiti a un’ulteriore sovradeterminazione. La determinazione che non deriva dall’Inc corrisponde regolarmente, mi pare, a una serie di pensieri di reazione nei confronti del desiderio inconscio, per esempio un’autopunizione. Posso dunque dire, in modo assolutamente generale, che un sintomo isterico sorge unicamente là dove due appagamenti di desiderio opposti, ciascuno proveniente da un sistema psichico diverso, possono coincidere in un’unica espressione. (Vedi a questo proposito le mie ultime formulazioni sull’origine dei sintomi isterici nel saggio Fantasie isteriche e loro rapporti con la bisessualità, 1908).954 A poco servirebbero in questo caso degli esempi, perché soltanto la esplicitazione integrale di questi complicati rapporti potrebbe riuscire persuasiva. Mi limito dunque a una costatazione e riferisco un esempio, non per la sua forza dimostrativa, ma unicamente per la sua chiarezza. In una mia paziente, dunque, il vomito isterico risultava essere per un verso l’esaudimento di una fantasia inconscia degli anni della pubertà, e cioè del desiderio di essere continuamente incinta, di avere moltissimi figli, cui si aggiunse in seguito il desiderio di averli dal maggior numero possibile di uomini. Contro questo desiderio sfrenato era insorto un potente moto di difesa. Ma dato che col vomito la paziente poteva perdere formosità e bellezza, in modo da non piacere più a nessun uomo, il sintomo conveniva ugualmente alla serie di idee di punizione. Accolto da entrambe le parti, poté divenire realtà. È lo stesso modo di consentire all’appagamento di un desiderio adottato dalla regina dei Parti nel caso del triumviro Crasso. Pensando ch’egli avesse intrapreso la spedizione perché avido d’oro, fece versare dell’oro fuso nella gola del suo cadavere. “Eccoti ciò che desideravi.” Finora, del sogno sappiamo soltanto che esso esprime un appagamento di desiderio dell’inconscio; sembra che l’imperante sistema preconscio, dopo aver costretto l’appagamento a certe deformazioni, non vi si opponga. E in realtà non siamo generalmente in grado di dimostrare la realizzazione nel sogno, in veste di antagonista, di un pensiero antitetico al desiderio del sogno. Soltanto qua e là abbiamo incontrato, nell’analisi dei sogni, segni di creazioni reattive, per esempio la tenerezza per l’amico R. nel sogno dello zio (qui nel cap. 4). Possiamo però ritrovare altrove l’ingrediente che qui ci manca, proveniente dal preconscio. Mentre il sogno, dopo deformazioni d’ogni genere, riesce a esprimere un desiderio dell’Inc, il sistema dominante ripiega sul desiderio di dormire, lo realizza con la produzione di quei mutamenti d’investimento energetico, di cui è capace all’interno dell’apparato psichico, e infine lo tien fermo per tutta la durata del sonno.955

Questo persistente desiderio di dormire da parte del preconscio agisce dunque, in modo assolutamente generale, facilitando la formazione del sogno. Pensiamo al sogno del padre il quale è spinto a concludere, dalla luce che viene dalla camera ardente, che la salma può aver preso fuoco [vedi il cap. 7, in OSF, vol. 3]. Abbiamo presentato il desiderio, che prolunga di un momento la vita del bambino, rappresentato nel sogno come una delle forze psichiche responsabili del fatto che il padre giunge in sogno a questa conclusione, anziché lasciarsi destare dalla luce. Probabilmente ci sfuggono altri desideri derivanti dal materiale rimosso, perché non siamo in grado di fare l’analisi del sogno. Ma come sua seconda forza motrice, possiamo aggiungere il bisogno di dormire del sognatore: il sogno prolunga di un momento sia la vita del bambino sia il sonno del padre. Lasciamo fare al sogno – è questa la motivazione – altrimenti devo svegliarmi. Come in questo, anche in tutti gli altri sogni il desiderio di sonno concede il suo appoggio al desiderio inconscio. Nel cap. 3 abbiamo citato alcuni sogni che si manifestano chiaramente come sogni di comodità. In verità, tutti i sogni hanno diritto a questa definizione. I sogni di risveglio, che elaborano lo stimolo sensoriale esterno in modo da renderlo compatibile con il proseguimento del sonno, e lo inseriscono nel tessuto di un sogno per rendere inoperante la sua capacità di evocare il mondo esterno, sono quelli in cui è più facile riconoscere l’efficacia del desiderio di continuare a dormire. Ma a questo desiderio deve esser consentito di avere la sua parte anche in tutti gli altri sogni, che possono scuotere lo stato di sonno, come un campanello, soltanto dall’interno. Ciò che il Prec comunica talvolta alla coscienza, quando il sogno oltrepassa i limiti: “Lascia fare e continua a dormire, non è che un sogno” [vedi il cap. 6, par. I, in OSF, vol. 3], descrive in modo assolutamente generale, anche se in sordina, il comportamento della nostra attività psichica dominante nei confronti del sogno. Debbo concludere che per tutta la durata dello stato di sonno sappiamo di sognare, con la stessa certezza con cui sappiamo di dormire. Non è affatto necessario tenere in conto l’obiezione, secondo cui la nostra coscienza non viene mai indotta a prender atto della prima certezza, e per ciò che si riferisce alla seconda, soltanto in una determinata occasione, quando cioè la censura si sente sopraffatta.

Al contrario,956 esistono persone che durante la notte serbano molto chiaramente la nozione del loro dormire e sognare, persone dunque che sembrano avere una capacità cosciente di dirigere la vita onirica. Se, per esempio, uno di questi sognatori non è contento della piega che prende un sogno, lo interrompe senza svegliarsi e lo ricomincia da capo per continuarlo in modo diverso, esattamente come uno scrittore popolare che, a richiesta, dà alla sua commedia un esito più lieto. Oppure un’altra volta, quando il sogno lo trasferisce in una situazione sessualmente eccitante, pensa nel sonno: “Non voglio continuare questo sogno, per poi esaurirmi in una polluzione, preferisco rimandare la cosa a una situazione reale.”

Il marchese d’Hervey de Saint-Denys, citato da Vaschide,957 asseriva di aver raggiunto tale potere sui propri sogni da affrettarne a piacere il decorso, dando loro la direzione desiderata. Forse in lui il desiderio di dormire aveva lasciato il posto a un altro desiderio preconscio, quello di osservare i propri sogni e dilettarsene. Il sogno è compatibile tanto con un proposito di questo genere quanto con una riserva posta a condizione del risveglio (sonno della balia) [vedi il cap. 5, par. C, in OSF, vol. 3]. È inoltre noto che l’interesse per il sogno aumenta notevolmente in tutte le persone il numero dei sogni ricordati al risveglio.

In relazione ad altri rilievi sulla direzione dei sogni, Ferenczi nota:958 “Il sogno rimaneggia d’ogni lato il pensiero che in quel momento impegna la vita psichica, lascia cadere l’immagine onirica che rischia di mandare a monte l’appagamento di desiderio, tenta una nuova soluzione, sinché alla fine riesce a creare un appagamento di desiderio, che soddisfa con un compromesso le due istanze della vita psichica.”

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