Lezione 15
Incertezze e critiche
Signore e signori, non lasceremo il campo del sogno senza trattare i dubbi e le incertezze più comuni che si riallacciano alle novità e alle concezioni finora enunciate. Gli ascoltatori più attenti che si trovano fra voi avranno già raccolto entro di sé un bel po’ di materiale a questo proposito.
1. Può esservi rimasta l’impressione che i risultati del nostro lavoro interpretativo sul sogno, per quanto correttamente sia stata seguita la tecnica, ammettano un numero tale di indeterminazioni da impedire la traduzione sicura del sogno manifesto nei pensieri onirici latenti. A sostegno di ciò addurrete il fatto che, in primo luogo, non si sa mai se un determinato elemento del sogno debba essere inteso nel suo senso proprio oppure simbolicamente, poiché le cose usate come simboli non cessano per questo di essere sé stesse. E, se non si ha alcun sostegno oggettivo per dirimere questa questione, l’interpretazione rimane affidata all’arbitrio dell’interprete del sogno. Inoltre, siccome nel lavoro onirico gli opposti coincidono, rimane sempre imprecisato se un certo elemento onirico debba venir inteso in senso positivo oppure negativo, come sé stesso o come il suo contrario [vedi lez. 11, in OSF, vol. 8]; e questa è una nuova occasione per l’interprete di esercitare il suo arbitrio. In terzo luogo, a causa delle inversioni di ogni specie così care al sogno [ibid.], l’interprete è libero di intraprendere una simile inversione in qualsiasi punto del sogno. Infine, sosterrete di aver udito che raramente si è sicuri che l’interpretazione del sogno trovata sia l’unica possibile. Si corre il pericolo di trascurare una sovrainterpretazione, peraltro plausibilissima, dello stesso sogno [ibid.]. Stando così le cose – concluderete – all’arbitrio dell’interprete resta un margine la cui ampiezza appare incompatibile con l’obiettiva sicurezza dei risultati. Oppure, potete anche supporre che il difetto non risieda nel sogno, bensì che le insufficienze della nostra interpretazione dei sogni siano riconducibili a inesattezze insite nelle nostre concezioni e premesse.
Tutti i vostri argomenti sono ineccepibili, ma non credo che giustifichino le vostre conclusioni, sia quando sostenete che l’interpretazione dei sogni, quale noi l’esercitiamo, è lasciata in balia dell’arbitrio, sia quando dite che le deficienze dei risultati pongono in questione la legittimità del nostro procedimento. Se al posto dell’arbitrio dell’interprete mettete la sua abilità, la sua esperienza, la sua comprensione, allora vi darò ragione. Tale fattore personale è inevitabile, specialmente in problemi interpretativi piuttosto difficili. Le cose non stanno però diversamente nelle altre discipline scientifiche. Non c’è alcun mezzo per impedire che uno applichi peggio di un altro, o sfrutti meglio, una certa tecnica. Del resto, l’impressione di arbitrarietà, che suscita per esempio l’interpretazione dei simboli, scompare se si tiene conto del fatto che normalmente l’interconnessione dei pensieri onirici, quella del sogno con la vita del sognatore, e la situazione psichica complessiva nella quale il sogno si inserisce, implicano la scelta di una delle interpretazioni possibili e respingono le altre come inservibili. D’altra parte, se dalle imperfezioni dell’interpretazione del sogno si deduce che le nostre ipotesi sono inesatte, tale inferenza viene invalidata dall’osservazione che, al contrario, la pluralità di significati o indeterminatezza del sogno costituisce propriamente una delle sue caratteristiche necessarie e prevedibili.
Ricordiamoci di aver detto che il lavoro onirico compie la traduzione dei pensieri onirici in una forma primitiva d’espressione, analoga alla scrittura ideografica [ibid.]. Ma tutti questi sistemi primitivi di espressione sono caratterizzati da siffatte indeterminazioni e ambiguità, senza che con ciò abbiamo il diritto di metterne in dubbio l’utilità pratica. Sapete che la coincidenza degli opposti nel lavoro onirico è analoga al cosiddetto “significato opposto delle parole primordiali” nei linguaggi più antichi. Abel, il filologo al quale dobbiamo questo punto di vista,482 ci invita a non credere che la comunicazione che una persona faceva all’altra per mezzo di parole così ambivalenti fosse per questo ambigua. Il tono e il gesto, al contrario, dovevano rendere del tutto inequivocabile nel contesto del discorso quale dei due contrastanti significati si intendeva comunicare. Nella scrittura, dove non c’è il gesto, esso era sostituito da un ideogramma aggiuntivo, non destinato a esser pronunciato, per esempio dalla figura di un omino indolentemente accovacciato oppure rigidamente eretto, a seconda che l’ambivalente ken della scrittura geroglifica dovesse significare “debole” o “forte”. Così, nonostante parole e segni avessero più di un significato, i malintesi venivano evitati [ibid.].
Gli antichi sistemi di espressione, per esempio le scritture di quelle antichissime lingue, consentono una quantità di indeterminatezze che non tollereremmo nella nostra attuale scrittura. Così in certe scritture semitiche vengono indicate solo le consonanti delle parole; le vocali omesse vanno inserite dal lettore, sulla base della sua conoscenza e del contesto. Non proprio così, ma in modo assai simile, procede la scrittura geroglifica, ragion per cui la pronuncia dell’antico egizio ci è rimasta sconosciuta. La scrittura sacra dell’egizio conosce anche altre indeterminatezze. Così, ad esempio, è lasciato all’arbitrio di chi scrive allineare le figure da destra a sinistra o da sinistra a destra. Per poter leggere bisogna attenersi alla regola di leggere nel verso dei volti delle figure, degli uccelli e così via. Chi scriveva poteva però disporre gli ideogrammi anche in colonne verticali e, nelle iscrizioni su oggetti più piccoli, in base a considerazioni di decoratività e di riempimento dello spazio poteva variare anche in altro modo l’ordine dei segni. Il maggior inconveniente della scrittura geroglifica è senz’altro che non conosce separazione tra le parole. Le figure si susseguono nella pagina a distanze uguali tra loro e, in generale, non si può sapere se un segno appartenga ancora alla parola che precede o costituisca l’inizio di una nuova parola. Invece nella scrittura cuneiforme persiana un cuneo obliquo funge da “divisore delle parole”.
Una lingua e una scrittura oltremodo antica, ma usata ancor oggi da quattrocento milioni di persone, è quella cinese. Non crediate che io ne capisca qualcosa; mi sono informato su di essa solo perché speravo di trovare analogie con le indeterminatezze del sogno. E la mia aspettativa non è andata delusa. La lingua cinese è piena di indeterminatezze che ci potrebbero incutere spavento. È noto che essa si compone di una quantità di suoni sillabici che possono venir pronunciati da soli o combinati in coppie. Uno dei dialetti principali possiede circa 400 di tali suoni. Ora, poiché si stima che il vocabolario di questo dialetto consista di 4000 parole all’incirca, ne consegue che ciascun suono ha in media dieci significati diversi, meno alcuni, ma altri, in compenso, di più. Esiste però tutta una serie di espedienti per evitare l’ambiguità, dal momento che non si può indovinare soltanto dal contesto quale dei dieci significati del suono sillabico il parlatore voglia evocare in chi ascolta. Tra questi espedienti, la combinazione di due suoni in una parola composta e l’uso di quattro diversi “toni” con cui vengono pronunciate le sillabe. Ancor più interessante per il nostro confronto è la circostanza che in questa lingua non esiste praticamente la grammatica. Di nessuna delle parole monosillabiche si può dire se sia un sostantivo, un verbo o un aggettivo, e mancano tutte le variazioni verbali attraverso le quali si potrebbero riconoscere il genere, il numero, la terminazione, il tempo o il modo. La lingua è composta dunque, per così dire, solamente del materiale grezzo, proprio come il linguaggio dei nostri pensieri viene risolto dal lavoro onirico nel suo materiale grezzo, omettendo di esprimere le relazioni. Nel cinese, in tutti i casi di indeterminatezza, la decisione viene lasciata all’intelligenza dell’ascoltatore, che si lascia guidare dal contesto. Mi sono annotato un esempio di proverbio cinese, che tradotto letteralmente suona:
“Poco ciò che vedere molto ciò che mirabile.”
Non è difficile da capire. Esso può voler dire: quanto meno uno ha visto, tanto più trova da ammirare, oppure: molto c’è da ammirare per colui che poco ha visto. Non è naturalmente il caso di decidere tra queste due traduzioni, diverse solo sotto il profilo grammaticale. Nonostante queste indeterminatezze, la lingua cinese, a quanto ci viene assicurato, è un mezzo eccellente di espressione del pensiero. Non necessariamente, dunque, l’indeterminatezza conduce all’ambiguità.
In verità dobbiamo convenire che la situazione è assai più sfavorevole per il sistema espressivo del sogno che per tutte queste lingue e scritture antiche; poiché queste in fondo sono destinate alla comunicazione, cioè appositamente intese a esser sempre comprese, non importa per quali vie e con quali espedienti. Proprio questo carattere manca invece al sogno. Il sogno non vuol dire niente a nessuno, non è un veicolo di comunicazione, al contrario è destinato a rimanere incompreso. Non dovremmo quindi meravigliarci e confonderci se risultasse che un gran numero di ambiguità e di indeterminatezze del sogno rimangono insolute. L’unica acquisizione sicura derivante dal nostro confronto è la scoperta che queste indeterminatezze, che potevano essere usate come arma contro la validità delle nostre interpretazioni oniriche, sono invece caratteri regolarmente riscontrabili in tutti i sistemi primitivi di espressione.
Fino a che punto giunga effettivamente l’intelligibilità del sogno può essere stabilito solo attraverso la pratica e l’esperienza.483 Molto lontano, ritengo; e la verifica dei risultati ottenuti da analisti addestrati nel modo giusto conferma la mia opinione. Il pubblico profano, e anche il pubblico scientifico profano, si compiace notoriamente, di fronte alle difficoltà e incertezze di un lavoro scientifico, di ostentare uno scetticismo superiore. Secondo me a torto. Forse non a tutti voi è noto che una situazione simile si è presentata nella decifrazione delle iscrizioni assiro-babilonesi. Ci fu un tempo in cui l’opinione pubblica era assai incline a dichiarare che i decifratori della scrittura cuneiforme erano dei visionari e che tutta la loro ricerca era un “imbroglio”. Nel 1857 la “Royal Asiatic Society” fece però una prova decisiva. Invitò quattro dei più eminenti studiosi di scrittura cuneiforme, Rawlinson, Hincks, Fox Talbot e Oppert, a inviarle in busta sigillata traduzioni indipendenti di una iscrizione appena trovata, e confrontate le quattro versioni poté proclamare che la loro concordanza era abbastanza grande da giustificare la fiducia nei risultati ottenuti e la certezza di ulteriori progressi. Le beffe da parte dell’ambiente colto profano diminuirono gradualmente e da allora la sicurezza nella lettura dei documenti in scrittura cuneiforme è straordinariamente aumentata.
2. Una seconda serie di perplessità è strettamente legata all’impressione, a cui certamente nemmeno voi avete potuto sottrarvi, che una quantità di soluzioni date dall’interpretazione onirica, e alle quali ci vediamo costretti, appaiono forzate, artificiose, tirate per i capelli, quindi arbitrarie, o addirittura comiche e facete. Queste critiche sono talmente frequenti che voglio scegliere a caso l’ultima di cui mi è giunta notizia. Ascoltate: recentemente, nella libera Svizzera, un direttore d’istituto è stato destituito dal suo posto perché si occupava di psicoanalisi. Egli ha protestato e un giornale di Berna ha portato a pubblica conoscenza il giudizio delle autorità scolastiche su di lui. Da questo documento stralcio alcune frasi che si riferiscono alla psicoanalisi: “Inoltre sorprende l’affettazione e l’artificiosità di molti esempi che anche si riscontrano nel citato libro del dottor Pfister di Zurigo (...) È veramente sorprendente quindi che un direttore d’istituto faccia proprie tutte queste affermazioni e pseudodimostrazioni senza sottoporle a critica.” Queste frasi vengono presentate come la conclusione di una persona che “giudica pacatamente”. Ritengo piuttosto che sia “artificiosa” questa pacatezza. Vediamo più da vicino queste critiche, nella speranza che un po’ di riflessione e un po’ di cognizione di causa non possano recare alcuno svantaggio neppure a un giudizio pacato.
È veramente confortante vedere con quanta rapidità e imperturbabilità un individuo possa sentenziare secondo le sue prime impressioni su un delicato problema di psicologia del profondo. Le interpretazioni gli sembrano affettate e forzate, non gli piacciono, quindi sono errate e tutte quelle storie d’interpretazione non valgono nulla; non una sola volta è sfiorato dal pensiero fugace dell’altra possibilità, che queste interpretazioni debbano apparire tali per buone ragioni; al che si riallaccerebbe l’ulteriore domanda: quali siano queste buone ragioni.
I fatti giudicati si riferiscono sostanzialmente ai risultati dello spostamento, che voi avete conosciuto come il più forte mezzo della censura onirica. Grazie allo spostamento la censura onirica crea formazioni sostitutive, che noi abbiamo designato come allusioni. Si tratta però di allusioni che non sono facili da riconoscere come tali, delle quali non è facile trovare il bandolo che porta all’elemento autentico, e che con questo sono in rapporto attraverso le più strane, le più inusitate associazioni estrinseche.484 In tutti questi casi si tratta però di cose che devono venir nascoste, che sono destinate a essere tenute segrete; è questo infatti che vuol raggiungere la censura onirica. Ma non ci si può attendere di trovare al suo posto, nella posizione che gli spetta, qualcosa che è stato nascosto. I posti di controllo alle frontiere oggi in funzione operano a questo riguardo in modo più scaltro delle autorità scolastiche svizzere. Nella ricerca di documenti e di piani non si accontentano di ispezionare cartelle e portafogli, ma prendono in considerazione la possibilità che le spie e i contrabbandieri portino simili cose proibite nelle parti più riposte dei loro indumenti, dove decisamente non dovrebbero stare, come per esempio fra le doppie suole degli stivali. E, se quel che vanno cercando è stato riposto proprio lì, si può ben dire che... chi cerca trova!
Se tra un elemento onirico latente e il suo sostituto manifesto riteniamo possibili i nessi più fuorvianti, più strani, che appaiono ora comici ora faceti, è perché ci basiamo su una ricca casistica la cui soluzione, di regola, non è stata scoperta da noi. Spesso non è possibile raggiungere queste interpretazioni con le nostre forze; nessuna persona assennata sarebbe in grado di indovinare certi nessi. Il sognatore ci dà la traduzione tutt’a un tratto, per mezzo della sua associazione diretta – e ciò gli è possibile senz’altro perché è in lui che questa formazione sostitutiva si è prodotta –, oppure ci fornisce un materiale talmente cospicuo che la soluzione non richiede più una speciale perspicacia, ma ci si impone inevitabilmente. Se il sognatore non ci aiuta in uno di questi due modi, l’elemento manifesto ci rimane per sempre incomprensibile. Consentitemi di aggiungere ancora un esempio di questo tipo, recentemente occorsomi. Una delle mie pazienti, durante il trattamento, ha perduto il padre. Da allora si serve di ogni occasione per farlo rivivere in sogno. In uno dei suoi sogni il padre si presenta in una certa connessione non utilizzabile ulteriormente, e dice: “Sono le undici e un quarto, sono le undici e mezzo, sono le undici e tre quarti.” Nell’interpretazione di questa stranezza le venne in mente soltanto che al padre faceva piacere se i figli più grandicelli osservavano puntualmente l’orario dei pasti. Ciò era certamente in rapporto con l’elemento onirico, ma non permetteva alcuna conclusione sulla sua origine. Esisteva il sospetto, giustificato dalla situazione della cura in quel momento, che in questo sogno c’entrasse una ribellione critica, accuratamente repressa, contro il padre amato e rispettato. Nel corso ulteriore delle sue associazioni, apparentemente assai lontane dal sogno, la sognatrice racconta che il giorno prima si era molto discusso di psicologia in sua presenza e che un suo parente aveva dichiarato: “L’Urmensch [uomo primitivo] continua a vivere in ciascuno di noi.” Adesso crediamo di capire. Questa parola le offrì la splendida opportunità di far rivivere ancora una volta il padre morto. Essa lo trasformò nel sogno in un Uhrmensch [uomo dell’orologio], facendogli annunziare i quarti d’ora precedenti il mezzogiorno.
Non potrete fare a meno di rilevare la somiglianza di questo esempio con un motto di spirito; e in effetti si è verificato abbastanza spesso che la battuta del sognatore sia stata attribuita all’interprete. Ci sono anche altri esempi ove non è affatto facile decidere se si abbia a che fare con un motto di spirito o con un sogno. Ma vi ricordate che lo stesso dubbio ci è venuto a proposito di certi lapsus verbali [vedi lez. 3, in OSF, vol. 8]. Un uomo racconta di aver sognato che suo zio gli ha dato un bacio, mentre sedevano nella sua auto(mobile).485 Egli stesso aggiunge molto in fretta l’interpretazione: significa autoerotismo (un termine, tratto dalla teoria della libido, che designa il soddisfacimento ottenuto senza oggetto estraneo). Quest’uomo si è dunque permesso di farci uno scherzo e ha spacciato come sogno una battuta che gli è venuta in mente? Non lo credo; egli ha realmente sognato. Ma da dove proviene questa sbalorditiva somiglianza? Tempo addietro questa domanda mi ha distolto per un tratto dalla mia strada, imponendomi la necessità di sottoporre a un’approfondita indagine il motto di spirito stesso.486 Da ciò è risultato che nella genesi del motto di spirito un processo di pensiero preconscio487 viene abbandonato per un istante all’elaborazione inconscia, dalla quale emerge poi come motto di spirito. Sotto l’influsso dell’inconscio esso subisce l’azione dei meccanismi colà vigenti, della condensazione e dello spostamento, quindi degli stessi processi che abbiamo trovato all’opera nel lavoro onirico, ed è a questa comunanza che va ascritta la somiglianza tra motto di spirito e sogno, quando essa si verifica. Dall’involontaria “spiritosaggine onirica”, tuttavia, non si ottiene nulla del piacere derivante dal motto di spirito. Il perché lo potete apprendere se approfondite lo studio del motto di spirito. Lo “spirito” onirico ci appare un cattivo spirito, non ci fa ridere, ci lascia freddi.488
In questo campo ricalchiamo le orme dell’antica interpretazione dei sogni, la quale, accanto a molte cose inutili, ci ha lasciato qualche buon esempio di interpretazione che noi stessi non sapremmo superare. Vi racconto ora un sogno di importanza storica di Alessandro Magno [vedi lez. 5, in OSF, vol. 8] riferito, con alcune varianti, da Plutarco e Artemidoro di Daldi. Mentre nel 322 a.C. era impegnato nell’assedio della città di Tiro, ostinatamente difesa, Alessandro sognò di vedere un satiro danzante. Un interprete di sogni che si trovava con l’esercito, Aristandro, gli interpretò questo sogno scomponendo la parola σάτυρος in σὰ Τὕρος (tua è Tiro) e promettendogli quindi il trionfo sulla città. Alessandro si lasciò indurre da questa interpretazione a continuare l’assedio ed espugnò finalmente Tiro. L’interpretazione, che può sembrare artificiosa, era senza dubbio quella giusta.489
3. Mi è facile immaginare che vi farà particolare impressione la notizia che contro la nostra concezione del sogno sono state sollevate obiezioni anche da persone che si sono occupate per parecchio tempo dell’interpretazione di sogni in qualità di psicoanalisti. Sarebbe stato chieder troppo che un così cospicuo incentivo a nuovi errori rimanesse inutilizzato, e così, attraverso confusioni concettuali e generalizzazioni ingiustificate, sono emerse affermazioni che, quanto a inesattezza, non hanno nulla da invidiare alla concezione medica del sogno. Una di queste vi è già nota. Dice che il sogno è impegnato in tentativi di adattamento alla realtà presente e in tentativi di soluzione di compiti futuri, che quindi persegue una “tendenza prospettica” (Maeder).490 Abbiamo già dimostrato [vedi lez. 14, in OSF, vol. 8] che questa affermazione si basa su una confusione fra il sogno e i pensieri onirici latenti e che quindi ha come premessa la mancata considerazione del lavoro onirico. Come caratterizzazione dell’attività psichica inconscia alla quale appartengono i pensieri onirici, essa da una parte non costituisce una novità e, dall’altra, non è esauriente, perché l’attività psichica inconscia contiene molte altre cose oltre la preparazione del futuro. Una confusione di gran lunga più grave sembra essere alla base della dichiarazione che dietro ogni sogno si trova la “clausola di morte”.491 Non so precisamente che cosa voglia dire questa formula, ma suppongo che dietro di essa si nasconda una confusione tra il sogno e la personalità del sognatore nel suo complesso.492
Una ingiustificata generalizzazione tratta da qualche esempio preciso è contenuta nella tesi che ogni sogno ammette due interpretazioni, una, quella da noi indicata, la cosiddetta interpretazione psicoanalitica, e un’altra, la cosiddetta interpretazione anagogica, la quale prescinde dai moti pulsionali e mira a descrivere le più elevate prestazioni psichiche (Silberer).493 Esistono sogni di questo tipo, ma è vano cercare di estendere questa concezione alla maggioranza dei sogni. Del tutto incomprensibile, dopo tutto ciò che avete udito, vi apparirà l’affermazione che tutti i sogni debbono essere interpretati bisessualmente, come il punto di confluenza di una corrente che possiamo chiamare virile con una femminile (Adler).494 Singoli sogni di questo tipo ovviamente esistono, e più avanti potrete vedere che sono costruiti come certi sintomi isterici. Menziono tutte queste scoperte di nuove caratteristiche universali del sogno per mettervi in guardia da esse o, quanto meno, per non lasciarvi in dubbio sul mio modo di giudicarle.
4. Il valore oggettivo dell’indagine sul sogno parve un giorno messo in questione dall’osservazione che i pazienti in trattamento analitico regolavano il contenuto dei loro sogni a seconda delle teorie preferite dai loro medici, sognando gli uni prevalentemente di moti pulsionali sessuali, gli altri di aspirazione alla potenza [Adler], e altri ancora addirittura di rinascita (Stekel). Il peso di questa osservazione si riduce considerando che gli uomini sognavano già prima che ci fosse un trattamento psicoanalitico che potesse dare una direzione ai loro sogni, e che coloro che adesso si trovano in cura erano soliti sognare anche nel periodo precedente il trattamento. C’è comunque del vero in questa novità, ma si vede subito che si tratta di cosa ovvia e irrilevante per la teoria del sogno. I residui diurni che suscitano il sogno sono strascichi dei forti interessi della vita vigile. Una volta che i discorsi del medico e i suoi suggerimenti siano divenuti importanti per l’analizzato, essi entrano nella sfera dei residui diurni, possono costituire gli stimoli psichici per la formazione del sogno al pari degli altri interessi irrisolti e affettivamente accentuati del giorno precedente, e agiscono analogamente agli stimoli somatici che influiscono sul dormiente durante il sonno. Come questi altri elementi istigatori del sogno, anche i filoni di pensiero che il medico ha sollecitato possono apparire nel contenuto onirico manifesto o venir messi in evidenza in quello latente. Sappiamo infatti che si possono produrre sogni sperimentalmente, o per essere più precisi, che si può introdurre nel sogno una parte del materiale onirico. A proposito di questo modo di influenzare i suoi pazienti, l’analista esercita quindi un ruolo non diverso da quello dello sperimentatore che, come Mourly Vold, assegna determinate posizioni alle membra dei suoi soggetti [vedi lez. 5, in OSF, vol. 8].
Si può spesso influenzare il sognatore circa l’argomento di cui deve sognare, ma non si potrà mai incidere su ciò che egli sognerà. Il meccanismo del lavoro onirico e il desiderio onirico inconscio sono sottratti a ogni influsso esterno. Già nell’esame dei sogni da stimolo somatico abbiamo riconosciuto [ibid.] che la singolarità e l’indipendenza della vita onirica si manifestano nella reazione con la quale il sogno risponde agli stimoli fisici o psichici che sono stati indotti. Alla base dell’affermazione qui discussa, la quale vuol porre in dubbio l’obiettività dell’indagine sul sogno, vi è quindi di nuovo una confusione, quella tra il sogno e il materiale onirico.495
Questo, signore e signori, è quanto volevo esporvi sui problemi del sogno. Come voi avrete intuito, ho trascurato molte cose, e vi sarete resi conto che in quasi tutti i punti ho dovuto essere incompleto. Ciò è dovuto alla connessione tra i fenomeni onirici e quelli delle nevrosi. Abbiamo studiato il sogno come introduzione alla teoria delle nevrosi e ciò è stato certamente più corretto che se avessimo fatto il contrario. Ma, come il sogno prepara alla comprensione delle nevrosi, così d’altra parte il giusto apprezzamento del sogno può essere ottenuto solo dopo che si ha conoscenza dei fenomeni nevrotici.496
Non so cosa ne penserete, ma per parte mia vi assicuro che non mi pento di aver assorbito una parte così notevole del vostro interesse e del tempo a nostra disposizione riservandoli ai problemi del sogno. Da nessun altro argomento si può attingere così rapidamente la convinzione della correttezza delle proposizioni sulle quali la psicoanalisi si regge o cade. Occorre un fastidioso lavoro di molti mesi o addirittura di anni per mostrare che i sintomi di un caso di malattia nevrotica hanno un senso, servono a un’intenzione e provengono dalle vicende del paziente. Per contro, uno sforzo di poche ore può riuscire a dimostrare le stesse cose in una creazione onirica che all’inizio è incomprensibilmente confusa, e quindi confermare tutte le premesse della psicoanalisi, la natura inconscia di alcuni processi psichici, i particolari meccanismi ai quali essi obbediscono e le forze pulsionali che in essi si manifestano. E se accanto all’impressionante analogia fra la struttura del sogno e quella del sintomo nevrotico consideriamo la rapidità con cui il sognatore si trasforma in una persona sveglia e ragionevole, non dubiteremo più che anche la nevrosi si fonda solo su un’alterazione del gioco di forze tra i poteri della vita psichica.497