Ho presentato questo lavoro come frammento di un’analisi; ma si sarà visto ch’esso è ben più incompleto di quanto il titolo lasciasse prevedere. È perciò opportuno ch’io tenti di spiegare il motivo delle sue lacune, tutt’altro che casuali.
Un certo numero di risultati dell’analisi sono stati omessi, perché non erano abbastanza certi quando il trattamento fu interrotto, o perché sarebbe stato necessario continuarne l’esame fino a raggiungere una visione d’insieme. In altri punti, quando m’è parso ammissibile, ho additato gli sviluppi probabili di singole soluzioni. Ho tralasciato totalmente di esporre la tecnica, tutt’altro che di per sé evidente, che sola consente di estrarre dal materiale grezzo delle associazioni del paziente il puro filone delle preziose idee inconsce; ciò che comporta lo svantaggio di non permettere al lettore di verificare la correttezza del mio procedimento nel corso dell’esposizione di questo caso. Ma trattare contemporaneamente la tecnica di un’analisi e l’intima struttura di un caso d’isteria mi si era rivelato assolutamente malpratico; per me sarebbe stato un compito quasi impossibile, per il lettore una lettura sicuramente ostica. La tecnica esige un’esposizione a parte, illustrata con numerosi esempi tratti dai casi più diversi e in cui sia consentito di prescindere dal risultato conseguito nei singoli casi. Neppure ho cercato di giustificare le premesse psicologiche implicite nelle mie descrizioni dei fenomeni mentali. Una giustificazione superficiale non servirebbe a nulla; una completa richiederebbe un lavoro a sé. Posso solo assicurare che ho intrapreso lo studio dei fenomeni rivelati dall’osservazione degli psiconevrotici senza essere legato ad alcun sistema psicologico determinato, e che ho poi rettificato le mie opinioni fino a quando non mi sono sembrate atte a dar ragione dell’insieme delle osservazioni. Non ripongo alcun orgoglio nell’aver evitato speculazioni; per contro il materiale su cui si fondano le mie ipotesi è stato il frutto della più ampia e laboriosa osservazione. La fermezza del mio punto di vista per quanto riguarda l’inconscio susciterà probabilmente particolare opposizione, poiché io tratto rappresentazioni inconsce, giri di pensieri e moti inconsci come se fossero oggetti della psicologia altrettanto veri e indubitabili di tutti i fenomeni consci; ma sono certo che chiunque prenda a indagare sullo stesso campo fenomenico con lo stesso metodo non potrà fare a meno, nonostante ogni protesta dei filosofi, di collocarsi nello stesso punto di vista.
Quei colleghi che hanno considerato puramente psicologica la mia teoria dell’isteria, e quindi a priori inadatta a risolvere problemi patologici, potranno forse persuadersi in base al presente lavoro ch’essi, nella loro obiezione, trasferivano indebitamente sulla teoria un carattere che appartiene soltanto alla tecnica. Soltanto la tecnica terapeutica è puramente psicologica; la teoria non trascura affatto di indicare il fondamento organico delle nevrosi, pur se non lo ricerca in un’alterazione anatomo-patologica e pur sostituendo alle modificazioni chimiche, probabili, ma oggi ancora inafferrabili, il concetto provvisorio di funzione organica. Nessuno forse vorrà negare il carattere di fattore organico alla funzione sessuale, nella quale io ravviso il fondamento dell’isteria e delle psiconevrosi in genere. Sono d’accordo nel ritenere che una teoria della vita sessuale non possa non ammettere l’azione eccitante di certe sostanze sessuali. In effetti, tra tutti i quadri clinici che ci offre l’osservazione, i fenomeni dell’intossicazione e dell’astinenza, in connessione con l’uso di certi veleni cronici, sono i più simili alle psiconevrosi genuine.581
Ho fatto anche a meno di esporre quel che le nostre attuali conoscenze ci consentirebbero di dire sulla “compiacenza somatica”, sui germi infantili delle perversioni, sulle zone erogene e sulla disposizione alla bisessualità, limitandomi a mettere in rilievo i punti in cui l’analisi si imbatteva in questi fondamenti organici dei sintomi. Non si sarebbe potuto far di più trattando di un caso particolare, e d’altra parte a una discussione superficiale di questi fattori si opponevano le considerazioni di cui è detto più sopra. V’è qui ricca materia per altri lavori, fondati su gran numero di analisi.
Con questa pubblicazione tanto incompiuta ho voluto tuttavia raggiungere due scopi. In primo luogo integrare il mio precedente libro sull’interpretazione dei sogni, mostrando come tale arte, altrimenti inutile, possa essere impiegata per scoprire ciò che vi è di nascosto e di rimosso nella vita psichica; di tale tecnica interpretativa, affine alla psicoanalitica, ho pertanto tenuto conto nell’analisi dei due sogni qui riportati. In secondo luogo ho voluto destare interesse per una serie di rapporti, ancor oggi assolutamente ignorati dalla scienza perché identificabili soltanto con l’uso di questo particolare procedimento. Forse nessuno aveva potuto avere prima d’ora un’idea esatta della complessità dei processi psichici nell’isteria, della coesistenza dei moti più diversi, della connessione reciproca dei contrari, delle rimozioni e degli spostamenti e così via. Il rilievo dato da Janet all’idée fixe582 che si trasforma in sintomo è in realtà soltanto una povera schematizzazione. Non si può fare a meno di sospettare che gli eccitamenti cui si legano rappresentazioni alle quali fa difetto l’ammissibilità alla coscienza,583 reagiscono tra loro in modo diverso, hanno un corso diverso e modi di espressione diversi da quelli degli eccitamenti che chiamiamo “normali”, il cui contenuto rappresentativo ci diviene cosciente. Se non si hanno più dubbi in merito, non v’è più difficoltà a capire una terapia che elimina i sintomi nevrotici trasformando le rappresentazioni del primo tipo in rappresentazioni normali.
Ho anche voluto mostrare che la sessualità non è un deus ex machina che interviene isolatamente in un qualche punto del meccanismo caratteristico dei processi isterici, ma costituisce al contrario la forza motrice di ogni singolo sintomo e di ogni singola manifestazione di un sintomo. I fenomeni morbosi sono, per così dire, l’attività sessuale del malato. Un singolo caso non potrà mai dimostrare una tesi così generale; ma io non posso che ripetere in ogni occasione, perché in ogni occasione ne ho la riprova, che la sessualità è la chiave del problema delle psiconevrosi e delle nevrosi in genere. Chi la disdegna, non sarà mai in grado di forzare l’accesso. Attendo ancora notizie di ricerche che contraddicano questa tesi o ne limitino la portata; finora ho inteso al riguardo solo espressioni di malcontento o d’incredulità personali, cui è sufficiente ribattere con le parole di Charcot: “Ça n’empêche pas d’exister.”584
Questo caso, della cui storia clinica e del cui trattamento ho qui pubblicato un frammento, non è neppure atto a porre nella sua giusta luce il valore della terapia psicoanalitica. Non soltanto la brevità del trattamento (appena tre mesi), ma anche un altro fattore inerente al caso hanno impedito che la cura terminasse con quel miglioramento, riconosciuto dal malato e dai parenti, che si ottiene in generale e che si avvicina più o meno alla guarigione completa. Risultati soddisfacenti di questo tipo vengono raggiunti quando i fenomeni morbosi sussistono solo in forza del conflitto interno tra gli impulsi connessi con la sessualità. In questi casi si riscontra un miglioramento del malato nella misura in cui si è contribuito a risolvere i suoi problemi psichici traducendo il materiale patogeno in materiale normale. Le cose vanno in modo diverso se i sintomi sono messi al servizio di motivi esterni, com’era accaduto nel caso di Dora negli ultimi due anni. Si rimane sorpresi e talora si può essere sfiduciati nel vedere che le condizioni del malato non si modificano in modo sensibile neppure ad analisi molto avanzata. Anche in questi casi, tuttavia, la realtà è meno brutta di quel che sembra; i sintomi, è vero, non scompaiono durante il lavoro analitico, ma se ne vanno qualche tempo dopo, quando ormai sono sciolti i rapporti col medico. Il rinvio della guarigione o del miglioramento, in realtà, è dovuto soltanto alla persona del medico.
Debbo aggiungere qualcosa a spiegazione di questo dato di fatto. Si può affermare che, in tutti i casi, la formazione di nuovi sintomi cessa durante la cura psicoanalitica. Ma la capacità produttiva della nevrosi non è per questo affatto spenta; essa si esercita creando un particolare tipo di formazioni mentali, perlopiù inconsce, che possono denominarsi traslazioni.
Che cosa sono le traslazioni? Sono riedizioni, copie degli impulsi e delle fantasie che devono essere risvegliati e resi coscienti durante il progresso dell’analisi, in cui però – e questo è il loro carattere peculiare – a una persona della storia precedente viene sostituita la persona del medico. In altri termini, un gran numero di esperienze psichiche precedenti riprendono vita, non però come stato passato, ma come relazione attuale con la persona del medico. Vi sono traslazioni il cui contenuto non differisce in nulla da quello del modello, se si eccettua la sostituzione della persona; queste sono allora, per seguire la metafora, vere e proprie “ristampe” o riedizioni invariate. Altre sono compiute con più arte, subiscono una mitigazione del loro contenuto, una sublimazione, come io la chiamo, e sono persino capaci di divenire consce appoggiandosi su una qualche particolarità reale, abilmente utilizzata, della persona del medico o del suo ambiente. In questo caso non si tratta più di ristampe, ma di rifacimenti.
Se ci si inoltra nella teoria della tecnica analitica, si giunge alla conclusione che la traslazione è un requisito necessario. Ci si convince perlomeno che in pratica essa non può essere evitata con alcun mezzo, e che è necessario combattere quest’ultima creazione della malattia come le precedenti. Ora, questa parte del lavoro è decisamente la più difficile. L’interpretazione dei sogni, l’estrazione dei pensieri e dei ricordi inconsci dalle associazioni del malato e gli altri procedimenti di traduzione sono facili da apprendere; in essi lo stesso paziente fornisce sempre il testo. La traslazione, invece, dev’essere intuita dal medico senza l’aiuto del malato, sulla base di piccoli indizi e guardandosi dai giudizi arbitrari. Non va però in alcun caso tralasciata, perché la traslazione viene utilizzata per la formazione di tutti gli ostacoli che rendono il materiale inaccessibile alla cura, e perché solo dopo che è stata sciolta il malato ha la sensazione di essere convinto dell’esattezza dei vari nessi costruiti dall’analisi.
Si sarà portati a considerare un grave inconveniente del già scomodo procedimento analitico il fatto che sia il metodo stesso ad aumentare il lavoro del medico, creando una nuova specie di prodotti psichici patologici; anzi, si vorrà persino dedurre dall’esistenza delle traslazioni un peggioramento delle condizioni del malato nel corso della cura analitica. Ambedue queste considerazioni sono erronee. La traslazione non arreca al medico un aggravio di lavoro; per il medico è infatti indifferente che un certo impulso che deve vincere nel malato si riferisca a lui stesso o a un’altra persona. Né la cura, mediante la traslazione, impone al malato sforzi che altrimenti si sarebbero potuti risparmiare. La guarigione di nevrosi anche in cliniche in cui il trattamento psicoanalitico è escluso; l’affermazione che l’isteria non è guarita dai metodi bensì dal medico; quella specie di cieca dipendenza che, nelle cure per suggestione ipnotica, avvince stabilmente il malato al medico che l’ha liberato dai suoi sintomi: ecco tutti fatti la cui spiegazione scientifica può essere vista solo nelle “traslazioni” che il malato effettua sempre sulla persona del medico. La cura psicoanalitica non crea la traslazione, essa la scopre solamente, così come tutti gli altri processi psichici nascosti. La differenza risiede solo in questo: durante gli altri trattamenti, il malato si limita a evocare spontaneamente traslazioni affettuose e amichevoli che favoriscono la sua guarigione; quando questo è impossibile, il malato si distacca quanto più presto può dal medico che non gli è “simpatico”, e senza esserne affatto influenzato. Nella psicoanalisi invece – e ciò per la differenza dei fattori su cui si basa – tutti gli impulsi, anche quelli ostili, vengono risvegliati e utilizzati dall’analisi col renderli coscienti, e in tal modo la traslazione viene continuamente annullata. La traslazione, destinata a divenire il più grave ostacolo per la psicoanalisi, diviene il suo migliore alleato se si riesce ogni volta a intuirla e a tradurne il senso al malato.585
Dovevo parlare della traslazione perché solo con questo fattore posso spiegare le particolarità dell’analisi di Dora. Ciò che costituisce la principale caratteristica di quest’analisi e che la rende adatta per una prima pubblicazione introduttiva, la sua particolare chiarezza, è in stretto rapporto con il suo grave difetto, quello che ne causò l’interruzione prematura. Non riuscii a rendermi tempestivamente padrone della traslazione; la prontezza con cui la paziente mise durante la cura a mia disposizione una parte del materiale patogeno, distolse la mia attenzione dai primi segni della traslazione ch’ella andava preparando con un’altra parte di quel materiale, a me ancora ignota. In principio era chiaro che nella sua fantasia Dora mi sostituiva al padre, cosa concepibile anche in vista della differenza d’età tra lei e me. Essa anche coscientemente mi paragonava sempre al padre, cercava ansiosamente di accertarsi s’io fossi veramente sincero con lei o non facessi invece come il padre che, diceva, “preferiva sempre i segreti e le vie traverse”. Quando poi sopravvenne il primo sogno, in cui essa si persuadeva a lasciare la cura come, a suo tempo, la casa dei K., anch’io avrei dovuto esser messo sull’avviso e dirle: “Adesso Lei ha compiuto una traslazione dal signor K. a me. Ha notato qualcosa che Le potrebbe far pensare a cattive intenzioni da parte mia, analoghe (direttamente o in forma sublimata) a quelle del signor K.? O L’ha colpita qualcosa in me, è venuta a sapere qualcosa di me che ha fatto convergere su me la Sua inclinazione, come già sul signor K.?” La sua attenzione si sarebbe portata allora su qualche particolare delle nostre relazioni, relativo alla mia persona o al mio ambiente, che avrebbe fatto schermo a qualcosa di analogo, ma di assai più importante, riguardante il signor K.; e lo scioglimento di questa traslazione avrebbe reso accessibile all’analisi nuovo materiale, probabilmente composto da ricordi reali. Ma io trascurai questo primo avvertimento, mi dissi che c’era ancora tempo, dato che non si vedevano altri progressi della traslazione e che il materiale dell’analisi non era ancora esaurito. La traslazione poté quindi cogliermi alla sprovvista; a causa di un ignoto fattore per cui le ricordavo il signor K., la paziente si vendicò su di me come aveva voluto vendicarsi di lui e mi lasciò come egli stesso, secondo lei, l’aveva ingannata e lasciata. In tal modo ella mise in atto una parte essenziale dei suoi ricordi e delle sue fantasie, invece di riprodurla nella cura.586 Quale fosse questo fattore ignoto non posso naturalmente sapere; penso avesse a che vedere col denaro, o che fosse gelosia per un’altra mia paziente rimasta in rapporti dopo la guarigione con la mia famiglia. Quando si riesce a incorporare a tempo la traslazione nell’analisi quest’ultima diviene più lenta e meno chiara, ma meglio garantita da resistenze improvvise e invincibili.
Nel secondo sogno di Dora la traslazione è presente in numerose e chiare allusioni. Quando la paziente me lo raccontò non sapevo ancora (lo appresi solo due giorni dopo) che avremmo avuto soltanto altre due ore per il nostro lavoro; lo stesso lasso di tempo che Dora aveva passato davanti alla Madonna di San Sisto, lo stesso ch’ella aveva preso a misura (correggendo in “due ore” il tempo prima indicato in “due ore e mezzo”) del cammino che poi non percorse per fare il giro del lago. Lo sforzo di raggiungere una meta e la necessità di aspettare contenuti nel sogno, che erano in rapporto col giovanotto in Germania e provenivano dall’attesa necessaria per il matrimonio con il signor K., erano già stati espressi qualche giorno prima nella traslazione: la cura durava troppo, lei non avrebbe avuto la pazienza di aspettare tanto; mentre nelle prime settimane era stata abbastanza ragionevole da non protestare quando le dicevo che la guarigione avrebbe richiesto pressappoco un anno. Il rifiuto di farsi accompagnare, la decisione di andar sola che troviamo nel sogno, pure provenienti dalla visita alla galleria di Dresda, dovevo sperimentarli io stesso a tempo debito. Essi significavano: “Poiché tutti gli uomini sono così orribili, preferisco non sposarmi: questa è la mia vendetta.”587
Quando impulsi di crudeltà e motivi di vendetta, già impiegati nella vita ordinaria per il mantenimento dei sintomi, si trasferiscono sul medico durante la cura, prima che questi abbia avuto tempo di distaccarli dalla sua persona riconducendoli alle loro fonti, non c’è da meravigliarsi se lo stato del malato non si lascia influenzare dagli sforzi terapeutici. Qual migliore vendetta per il malato che dimostrare al medico, con la sua stessa persona, quant’egli sia impotente e incapace? Ciò nonostante, ritengo che non si debba sottovalutare il valore terapeutico di trattamenti anche così frammentari come quello di Dora.
Solo quindici mesi dopo la fine del trattamento e la stesura di questa mia relazione potei avere notizie dello stato di Dora e quindi dell’esito della cura. Il primo aprile, data non del tutto indifferente – sappiamo che tutto ciò che si riferiva al tempo non era mai per lei privo di significato –, ella si ripresentò da me per completare la sua storia e per chiedere nuovamente il mio aiuto; ma mi bastò guardarla in volto per capire che questa richiesta non andava presa sul serio. Disse che nelle quattro o cinque settimane successive alla fine della cura si era sentita “sottosopra”; poi era avvenuto un grande miglioramento, le crisi si erano fatte più rare, l’umore più sollevato. Nel maggio dell’anno precedente era morto uno dei bambini dei K., che era sempre stato malaticcio. Essa aveva colto l’occasione di questo lutto per fare una visita di condoglianze ai K., che l’avevano ricevuta come se nulla fosse successo negli ultimi tre anni. Allora si era conciliata con loro, si era presa la sua rivincita mettendo così termine alla faccenda in modo per lei soddisfacente. Alla signora, Dora aveva detto: “So bene che hai una relazione con mio padre”, e quella non aveva negato. Quanto al marito, lo aveva indotto a riconoscere la verità della scena del lago sempre da lui contestata, e aveva poi informato il padre di questo riconoscimento che giustificava tutto il suo atteggiamento precedente. Non aveva riallacciato la relazione con quella famiglia.
La paziente continuò a star bene fino alla metà di ottobre, quando fu colta da un nuovo accesso d’afonia che durò sei settimane. Stupito, le domandai se la crisi avesse avuto una causa precisa, e appresi che infatti era stata preceduta da un forte spavento. Aveva dovuto assistere all’investimento di un passante da parte di una carrozza. Dora si risolse poi a dirmi che l’incidente non era capitato ad altri che al signor K. L’aveva incontrato un giorno per via, le era venuto incontro in un punto di traffico intenso, era rimasto di fronte a lei come smarrito e si era lasciato cogliere, nella sua fissità attonita, da una carrozza che lo aveva gettato a terra.588 D’altronde si era persuasa subito che egli ne era uscito pressoché illeso. Mi disse pure che provava ancora un certo batticuore quando sentiva parlare dei rapporti tra il padre e la signora K., nei quali peraltro non s’immischiava più. Ora era assorta nei suoi studi, non pensava a sposarsi.
Era venuta a chiedere il mio aiuto per una nevralgia facciale destra che la perseguitava giorno e notte. “Da quando?” – “Esattamente da quindici giorni.”589 Non potei trattenermi dal sorridere e le feci osservare che esattamente quindici giorni prima (eravamo nel 1902) doveva aver letto sui giornali una notizia che si riferiva a me;590 ella me ne dette conferma.
La pseudonevralgia corrispondeva dunque a un’autopunizione, al rimorso per lo schiaffo dato a suo tempo al signor K. e per aver trasferito la sua vendetta su di me. Non so che specie di aiuto aveva voluto chiedermi la paziente; promisi comunque di perdonarla per avermi privato della soddisfazione di guarirla radicalmente.
Sono passati anni da quella visita. Dora si è sposata, e precisamente – se non m’ingannano tutti gli indizi – con il giovane di cui si parlava nelle associazioni all’inizio dell’analisi del secondo sogno.591 Come il primo sogno indicava il distacco dall’uomo amato e il ritorno al padre, ossia la fuga dalla vita nella malattia, così questo secondo sogno preannunciava dunque che si sarebbe staccata dal padre restituendosi alla vita.