Lezione 13
Tratti arcaici e infantilismo del sogno
Signore e signori, ricolleghiamoci al risultato da noi raggiunto secondo il quale il lavoro onirico, sotto l’influsso della censura onirica, traspone i pensieri latenti del sogno in un altro modo di espressione. I pensieri latenti non sono diversi dai pensieri consci della nostra vita vigile, a noi ben noti. Il nuovo modo di espressione ci è però incomprensibile per molti suoi tratti. Abbiamo detto che esso risale a stadi del nostro sviluppo intellettuale che da gran tempo abbiamo superato, al linguaggio figurato, alla relazione simbolica, forse a condizioni che sono esistite prima dello sviluppo del nostro linguaggio concettuale. Per questo abbiamo chiamato arcaico o regressivo il modo di esprimersi del lavoro onirico [vedi lez. 11, in OSF, vol. 8].
Da ciò potreste concludere che attraverso uno studio più approfondito del lavoro onirico dovremmo riuscire a ottenere preziosi chiarimenti sui non ben conosciuti inizi del nostro sviluppo intellettuale. Mi auguro che ciò sia possibile, ma finora questo lavoro non è stato ancora iniziato. La preistoria cui il lavoro onirico ci riconduce è di due specie: in primo luogo la preistoria dell’individuo, l’infanzia; in secondo luogo, in quanto ciascun individuo nella sua infanzia ripete in certo qual modo in forma abbreviata l’intero sviluppo della specie umana, anche quest’altra preistoria, quella filogenetica. Si riuscirà a distinguere quale parte dei processi psichici latenti provenga dalla preistoria individuale e quale da quella filogenetica? Non lo ritengo impossibile. Mi pare, ad esempio, che la relazione simbolica, mai insegnata al singolo, abbia i requisiti per venir considerata un’eredità filogenetica.
Non è questo, tuttavia, l’unico carattere arcaico del sogno. Tutti voi conoscete bene, per personale esperienza, la singolare amnesia concernente l’infanzia. Intendo il fatto che i primi anni di vita, fino al quinto, sesto o ottavo anno, non lasciano tracce nella memoria, al contrario delle esperienze vissute successivamente. È vero che ci si imbatte in singole persone che possono vantare un ricordo ininterrotto dai loro primi esordi al momento presente; ma l’altro comportamento, caratterizzato da lacune mnestiche, è incomparabilmente più frequente. Ritengo che non ci si sia meravigliati a sufficienza di questo fatto. Il bambino è in grado di parlar bene a due anni, dimostra presto di raccapezzarsi in situazioni psichiche complicate, ha delle uscite che molti anni più tardi gli verranno raccontate, ma che avrà dimenticato. Con tutto ciò la memoria è migliore nei primi anni, perché meno sovraccarica che in seguito. Non c’è nemmeno motivo di ritenere la funzione mnemonica una prestazione mentale particolarmente elevata o difficile; al contrario, si può riscontrare una buona memoria anche in persone di livello intellettuale molto basso.448
Aggiungete a questo fatto una seconda particolarità degna di nota, e cioè che dal vuoto mnemonico che avvolge i primi anni dell’infanzia emergono singoli ricordi ben conservati, perlopiù percepiti in forma plastica, che non si capisce perché abbiano potuto, appunto, conservarsi. La nostra memoria fa una selezione nella massa di impressioni che ci colpiscono più tardi, ossia conserva ciò che per qualche verso è importante e lascia cadere l’irrilevante. Le cose si svolgono in tutt’altro modo coi ricordi infantili che sono stati conservati. Essi non corrispondono necessariamente a esperienze importanti degli anni infantili e nemmeno a quelle che avrebbero dovuto apparire tali dal punto di vista del bambino. Sono spesso talmente banali e insignificanti che non possiamo fare a meno di domandarci stupiti perché proprio quel singolo dettaglio è sfuggito all’oblio. Ho cercato a suo tempo, con l’aiuto dell’analisi, di affrontare l’enigma dell’amnesia infantile e dei residui mnestici che la interrompono, e sono giunto al risultato che anche il bambino ha conservato nel ricordo solamente ciò che è importante; solo che, attraverso i processi a voi già noti della condensazione, e in special modo dello spostamento, questi fatti importanti sono nel ricordo sostituiti da altri fatti, che appaiono irrilevanti. Per questo ho chiamato tali ricordi infantili ricordi di copertura; mediante un’analisi radicale è possibile ricavare da essi tutto il materiale che è stato dimenticato.449
Nei trattamenti psicoanalitici si pone invariabilmente il compito di colmare questa lacuna della memoria infantile, e nei casi in cui la cura ha un certo successo, quindi con estrema frequenza, siamo effettivamente in grado di riportare alla luce il contenuto di quegli anni infantili coperti dall’oblio. Queste impressioni non sono mai state realmente dimenticate: erano solo inaccessibili, latenti, appartenevano all’inconscio. Tuttavia accade altresì che esse emergano spontaneamente dall’inconscio, e ciò avviene precisamente in rapporto con certi sogni. Dunque la vita onirica sa trovare l’accesso a questi ricordi infantili latenti. Begli esempi di ciò sono riportati nella letteratura e io stesso ho potuto fornire un contributo del genere. Sognai una volta, in un certo contesto, di una persona che doveva avermi reso un servizio e che vedevo distintamente davanti a me. Si trattava di un uomo privo di un occhio, di piccola statura, grasso, la testa profondamente incassata nelle spalle. Dal contesto stabilii che era un medico. Per fortuna potei chiedere a mia madre, ancora vivente, che aspetto avesse il medico del mio paese natale, da me lasciato a tre anni, e appresi da lei che era privo di un occhio, piccolo, grasso, la testa profondamente incassata nelle spalle; appresi anche in occasione di quale infortunio da me dimenticato egli mi aveva prestato aiuto.450 Questo poter disporre del materiale dimenticato dei primi anni infantili è quindi un altro tratto arcaico del sogno.451
Lo stesso chiarimento vale per un altro degli enigmi nei quali ci siamo finora imbattuti. Vi ricorderete la nostra sorpresa quando scoprimmo che i sogni sono suscitati da desideri fortemente malvagi e licenziosamente sessuali, i quali hanno reso necessarie la censura e la deformazione onirica [vedi lez. 9, in OSF, vol. 8]. Quando interpretiamo al sognatore un sogno di questo tipo, anche se, nel migliore dei casi, egli non attacca la nostra interpretazione, pone però sempre la domanda di dove gli sia venuto un tal desiderio, dal momento che lo percepisce come estraneo ed è consapevole del suo opposto. Possiamo dimostrare questa provenienza senza esitazione. Questi impulsi di desiderio cattivi provengono dal passato, spesso da un passato che non è poi lontanissimo. È possibile provare che una volta essi erano noti e coscienti, anche se oggi non lo sono più. La donna, il cui sogno significa che vorrebbe vedere dinanzi a sé morta la sua unica figlia, ora diciassettenne, scopre sotto la nostra guida di aver effettivamente nutrito un tempo questo desiderio di morte.452 La figlia è il frutto di un matrimonio fallito, subito sciolto. Una volta, quando ancora portava la figlia in seno, dopo una violenta scenata col marito, in una crisi di rabbia si era percossa il ventre coi pugni per uccidere il bambino. Quante madri che oggi amano teneramente, forse troppo teneramente i loro figli, li hanno concepiti malvolentieri e hanno desiderato che la vita che portavano in sé potesse non svilupparsi! Anzi, hanno anche tradotto questo desiderio in azioni svariate, fortunatamente innocue. Il loro desiderio di morte nei riguardi della persona amata, che in seguito appare così misterioso, trae quindi origine dai primi tempi del loro rapporto con quella persona.
Anche il padre il cui sogno dimostra che egli desidera la morte del figlio maggiore, il prediletto, sarà indotto a ricordare che questo desiderio una volta non gli fu estraneo. Quando questo figlio era ancora lattante egli aveva spesso pensato, scontento della propria scelta matrimoniale, che se il piccolo essere, il quale non significava nulla per lui, fosse morto egli sarebbe stato di nuovo libero e avrebbe fatto miglior uso della propria libertà.453 La medesima origine può essere rintracciata per un gran numero di analoghi impulsi d’odio; essi sono ricordi di qualcosa che appartiene al passato, che una volta fu presente alla coscienza ed ebbe il suo peso nella vita psichica. Sarete propensi a concludere che tali desideri e sogni non possono presentarsi se non sono intervenuti mutamenti di un certo tipo nei rapporti con una persona, se questi rapporti sono rimasti uguali fin dall’inizio. Sono pronto a seguirvi in questa vostra deduzione, voglio soltanto avvertirvi di non prendere in considerazione la lettera del sogno, ma il suo significato a interpretazione avvenuta. Può accadere che il sogno manifesto della morte di una persona amata abbia soltanto assunto una maschera spaventosa ma significhi qualcosa di completamente diverso, oppure che la persona amata vada intesa come l’ingannevole sostituto di qualcun altro.
Sempre a questo proposito, vi verrà spontanea un’altra domanda, molto più seria, che è la seguente: “Anche se questo desiderio di morte fu una volta presente e viene confermato dal ricordo, ciò non è ancora una spiegazione. Esso è da lungo tempo superato, oggi può essere presente nell’inconscio, ma solo come un ricordo sprovvisto di affetti, non come un impulso possente. Nulla parla in favore di quest’ultimo. Perché mai dunque viene ricordato dal sogno?” Questa domanda è veramente legittima. Ogni tentativo di risposta ci porterebbe troppo lontano e ci costringerebbe a prendere posizione nei confronti di uno dei punti più importanti della teoria del sogno. E io sono obbligato a rimanere nell’ambito della nostra discussione e a stringere il discorso. Preparatevi quindi a una rinuncia provvisoria.454 Accontentiamoci di prendere atto che la dimostrazione del promovimento del sogno da parte di questo desiderio superato è possibile, e continuiamo a indagare se anche altri desideri cattivi ammettano la stessa derivazione dal passato.
Rimaniamo ai desideri di eliminazione di persone, che possiamo perlopiù far risalire all’illimitato egoismo del sognatore. Si può dimostrare spessissimo che il sogno si struttura in base a un desiderio di tal genere. Ogni volta che nella vita qualcuno ci ostacola il cammino – e quanto spesso ciò è inevitabile, data la complessità dei rapporti umani! – il sogno è subito pronto a farlo morire, si tratti pure del padre, della madre, di un fratello, di un coniuge e così via. A suo tempo ci stupimmo parecchio di questa malvagità della natura umana e non eravamo certamente disposti ad ammettere senz’altro l’esattezza di questo risultato dell’interpretazione dei sogni. Ma non appena fummo indotti a cercare nel passato l’origine di tali desideri, scoprimmo che vi è un periodo, nel passato di ognuno di noi, nel quale questo egoismo e questi impulsi di desiderio, rivolti persino contro le persone più prossime, non hanno niente di sconcertante. Il bambino, proprio in quei primi anni che più tardi vengono avvolti da amnesia, mostra questo egoismo spesso in forma estremamente marcata, e invariabilmente ne pone in risalto rudimenti o, più esattamente, residui. Il bambino, per l’appunto, ama innanzitutto sé stesso e solo più tardi impara ad amare gli altri, a sacrificare agli altri qualcosa del proprio Io. Anche le persone che sembra amare fin dall’inizio, le ama innanzitutto perché di esse ha bisogno, perché non ne può fare a meno, dunque di nuovo per motivi egoistici. Solo più tardi l’impulso ad amare si rende indipendente dall’egoismo. In effetti egli ha imparato ad amare dall’egoismo.
A questo proposito può essere istruttivo confrontare l’atteggiamento del bambino verso i fratelli con quello verso i genitori. Il bambino piccolo non ama necessariamente i suoi fratelli, spesso palesemente non li ama affatto. È indubbio che egli odia in essi i propri concorrenti, ed è noto quanto spesso questo atteggiamento permanga ininterrottamente per molti anni, fino al tempo della maturità e persino più in là ancora. Abbastanza spesso a esso si sostituisce o, per meglio dire, si sovrappone un atteggiamento più affettuoso; ma quello ostile sembra essere con assoluta regolarità il più antico. Si può osservarlo con maggior facilità in bambini da due anni e mezzo fino a quattro o cinque anni, quando sopravviene un nuovo fratellino. Questi ha perlopiù un’accoglienza molto scortese. Espressioni quali: “Non mi piace, voglio che la cicogna se lo riporti via” sono assai frequenti. In seguito ogni occasione sarà buona per denigrare il nuovo arrivato, e tentativi di fargli persino del male, veri e propri attentati, non sono niente di inaudito. Se la differenza di età è minore, il bambino si trova già davanti il concorrente quando in lui si risveglia un’attività psichica più intensa, e gli è più facile adattarsi. Se la differenza è maggiore, il nuovo bambino può risvegliare fin dall’inizio una certa simpatia come oggetto interessante, come una specie di bambola vivente, e con una differenza di età di otto e più anni possono già entrare in gioco, specie nelle femmine, impulsi premurosi, materni. Ma diciamo il vero: se dietro il sogno di un adulto si scopre il desiderio della morte dei fratelli, raramente è il caso di trovarlo enigmatico e si può indicarne senza difficoltà il prototipo nell’infanzia o anche, abbastanza spesso, negli anni successivi della convivenza.455
Non esiste probabilmente nessuna stanza dei giochi senza violenti conflitti tra i suoi ospiti. I motivi sono la rivalità per l’amore dei genitori, per la proprietà comune, per lo spazio in cui muoversi. Gli impulsi ostili si rivolgono sia verso i fratelli maggiori, sia verso i minori. Credo sia stato Bernard Shaw a formulare il detto:456 “Di regola c’è solo una persona che una ragazza inglese odia più di sua madre; ed è la sorella maggiore.” In questa enunciazione c’è però qualcosa che ci sconcerta. Ammettiamo pure, se proprio è indispensabile, che l’odio e la rivalità tra fratelli siano comprensibili, ma come è possibile che sentimenti d’odio s’introducano nel rapporto tra figlia e madre, tra genitori e figli?
Questo rapporto è senza dubbio più favorevole dell’altro, anche dal punto di vista del bambino. Ed è quanto noi ci aspettiamo; troviamo molto più scandaloso se manca l’amore tra genitori e figli che non se manca tra fratelli. Nel primo caso abbiamo, per così dire, reso sacro qualcosa che nell’altro abbiamo lasciato profano. Ciò nondimeno l’osservazione quotidiana ci mostra quanto spesso le relazioni emotive tra genitori e figli adulti restino inferiori all’ideale innalzato dalla società, quanto spesso l’ostilità sia lì pronta e verrebbe espressa se non venisse trattenuta da un misto di affetto e di pietà filiale. I motivi di ciò sono universalmente noti e mostrano una tendenza alla separazione tra gli individui dello stesso sesso, la figlia dalla madre, il figlio dal padre. La figlia trova nella madre l’autorità che limita il suo volere e che è investita del compito di imporle la rinuncia alla libertà sessuale, richiesta dalla società; inoltre nella madre trova, in alcuni casi, anche la rivale che lotta per non essere soppiantata. La stessa cosa si ripete, in modo ancor più acuto, tra figlio e padre. Per il figlio è personificata nel padre ogni costrizione sociale sopportata controvoglia; il padre gli sbarra l’accesso all’esercizio della propria volontà, al godimento sessuale in giovane età e, dove esistono beni familiari comuni, al godimento di questi. L’attesa della morte del padre raggiunge, nel caso dell’erede al trono, un’intensità che sfiora la tragedia. Meno minacciati appaiono i rapporti tra padre e figlia, tra madre e figlio. Quest’ultimo offre gli esempi più puri di un affetto immutabile, non turbato da alcuna considerazione egoistica.457
Perché parlo di queste cose che in fin dei conti sono luoghi comuni che tutti sanno? Perché esiste un’innegabile inclinazione a smentire che esse abbiano importanza nella vita e a spacciare per adempiuto, molto più di quanto realmente sia, l’ideale richiesto dalla società. Comunque è preferibile che sia lo psicologo a dire la verità e che questo compito non sia lasciato al cinico. D’altra parte la gente smentisce queste cose solo nella vita reale, mentre all’arte narrativa e drammatica è concesso servirsi della tematica che sorge dal turbamento di questo ideale.
In numerosissimi casi non abbiamo quindi di che meravigliarci se il sogno rivela il desiderio di eliminare i genitori, particolarmente il genitore dello stesso sesso. È lecito supporre che tale desiderio sia presente anche nella vita vigile e talvolta sia addirittura cosciente, quando può mascherarsi sotto un altro motivo come, nel caso del nostro sognatore dell’esempio 3 [vedi lez. 12, in OSF, vol. 8], sotto la compassione per l’inutile sofferenza del padre. Di rado l’ostilità domina il rapporto in modo esclusivo, molto più spesso essa recede dinanzi a impulsi più affettuosi, dai quali viene repressa, e deve attendere fino a che un sogno, per così dire, la isoli. Ciò che nel sogno, in seguito a questo isolamento, si mostra in proporzioni enormi, torna poi a rimpicciolirsi quando è reinserito dalla nostra interpretazione nel contesto della vita.458 Troviamo però questo desiderio onirico anche là dove non ha alcun sostegno nella vita e dove l’adulto non è mai costretto ad ammetterlo nello stato vigile. Ciò dipende dal fatto che il motivo più profondo e più costante dell’estraniamento, specie tra le persone del medesimo sesso, si è fatto valere già nell’infanzia.
Mi riferisco alla competizione amorosa, con chiara accentuazione del carattere sessuale. Già da piccolo, il figlio comincia a sviluppare un’affettuosità particolare per la madre, che considera come cosa propria, e ad avvertire nel padre un rivale che gli contrasta questo possesso esclusivo; e, allo stesso modo, la figlioletta vede nella madre una persona che disturba il suo affettuoso rapporto con il padre e che tiene un posto che lei stessa potrebbe occupare molto bene. Apprendiamo dall’osservazione quanto sia precoce l’età cui risalgono questi atteggiamenti. Li designiamo col nome di “complesso edipico”, perché la leggenda di Edipo realizza con un’attenuazione minima i due desideri estremi risultanti dalla situazione del figlio: uccidere il padre e prendere in moglie la madre. Non intendo sostenere che il complesso edipico esaurisca la relazione dei figli con i genitori; nulla di più facile che tale relazione sia molto più complicata. Inoltre il complesso edipico può essere più o meno pronunciato e può addirittura essere rovesciato; ma è un fattore che compare regolarmente e ha una grande importanza nella vita psichica infantile; è maggiore il pericolo di sottovalutare il suo influsso e quello degli sviluppi che ne conseguono, che non di sopravvalutarlo. Del resto spesso i bambini reagiscono con l’atteggiamento edipico a una sollecitazione dei genitori, i quali, nella loro predilezione, si lasciano guidare abbastanza spesso dalla differenza di sesso, così che il padre preferisce la figlia, la madre il figlio, oppure, nel caso di cattiva riuscita del matrimonio, li prendono come sostituto dell’oggetto del loro amore, che ha perso il suo valore.459
Non si può certo dire che il mondo sia stato riconoscente alla ricerca psicoanalitica per la scoperta del complesso edipico. Al contrario, questa ha suscitato la più violenta opposizione degli adulti, e certuni che avevano trascurato di partecipare al generale ripudio di questa relazione emotiva proscritta, o colpita da tabù, più tardi hanno riparato alla propria colpa sottraendo al complesso il suo valore per mezzo delle loro interpretazioni distorte.460 Secondo la mia immutata convinzione non c’è qui niente da smentire, niente da ammantare. C’è solo da familiarizzarsi con un fatto, che la stessa leggenda greca ha riconosciuto come nostro ineluttabile destino. È interessante d’altronde che il complesso edipico, espulso dalla vita, sia stato lasciato alla poesia, messo per così dire a sua completa disposizione. Rank ha mostrato in uno studio accurato461 come proprio il complesso edipico abbia fornito all’arte drammatica una ricca tematica in infinite varianti, attenuazioni e travestimenti, ossia in quelle deformazioni che già conosciamo come opera della censura. Noi pertanto potremo attribuire questo complesso edipico anche a quei sognatori che sono stati così fortunati da sottrarsi ai conflitti coi propri genitori nella vita successiva. Intimamente legato ad esso troviamo ciò che chiamiamo il complesso di evirazione, la reazione all’intimidazione sessuale o imbrigliamento dell’attività sessuale dell’infanzia, attribuiti al padre.462
Indirizzati dalle indagini sinora condotte allo studio della vita psichica infantile, potremo ragionevolmente aspettarci di trovare colà anche la spiegazione dell’origine degli altri desideri onirici proibiti, cioè degli eccessivi impulsi sessuali. Avvertiamo quindi l’urgenza di studiare anche lo sviluppo della vita sessuale infantile e apprendiamo da parecchie fonti quanto segue.
È innanzitutto un errore insostenibile asserire che il bambino non ha una vita sessuale e supporre che la sessualità inizi soltanto al tempo della pubertà, con la maturazione dei genitali. Al contrario, il bambino ha fin dall’inizio una ricca vita sessuale, che si differenzia in molti punti da quella ritenuta in seguito normale. Ciò che noi chiamiamo “perverso” nella vita degli adulti si scosta dalla normalità nei seguenti punti: primo, per l’incuranza della barriera tra le specie (dell’abisso tra uomo e animale); secondo, per lo scavalcamento della barriera del disgusto; terzo, di quella dell’incesto (del divieto di ricercare soddisfacimento sessuale con stretti consanguinei); quarto, di quella dell’uguaglianza di sesso; e, quinto, per il trasferimento del ruolo dei genitali ad altri organi e parti del corpo. Tutte queste barriere non esistono fin dall’inizio, ma vengono erette solo a poco a poco nel corso dello sviluppo e dell’educazione. Il bambino piccolo ne è libero. Egli non conosce ancora il grande abisso tra uomo e animale; l’orgoglio con cui l’uomo si separa dall’animale cresce in lui solo più tardi.463 Inizialmente non mostra alcun disgusto di fronte agli escrementi, ma lo apprende lentamente, indottovi dall’educazione; non dà alcun particolare valore alla differenza tra i sessi, e attribuisce anzi ai due sessi la stessa conformazione dei genitali; rivolge le sue prime brame sessuali e la sua curiosità sulle persone a lui più vicine e, per altri motivi, più care: sui genitori, sui fratelli, su chi ha cura di lui; e infine si evidenzia in lui – ciò che più tardi proromperà di nuovo al culmine del rapporto amoroso – il fatto che egli non si aspetta piacere solo dalle parti sessuali, ma che molte altre parti del corpo reclamano per sé la medesima sensibilità, permettono analoghe sensazioni di piacere e possono quindi svolgere il ruolo di genitali. Il bambino può quindi venir definito “perverso polimorfo” e, se esercita tutti questi impulsi solo in forma rudimentale, ciò dipende, da una parte, dalla loro minor intensità rispetto a periodi successivi della vita, e dall’altra, dal fatto che l’educazione reprime subito energicamente tutte le manifestazioni sessuali del bambino. Questa repressione prosegue poi, per così dire, nella teoria, in quanto gli adulti si sforzano di non vedere una parte delle manifestazioni sessuali infantili e di spogliare le altre, travisandole, della loro natura sessuale fino al punto in cui riescono finalmente a sconfessare il tutto. Sono spesso le stesse persone che prima, stando con i bambini, infieriscono contro tutti i loro vizietti sessuali quelle che poi, a tavolino, ne difendono la purezza sessuale. Nel caso in cui siano lasciati a sé stessi, o sotto l’influenza di una seduzione, i bambini si esibiscono spesso in prestazioni notevolissime di attività sessuale perversa. Naturalmente gli adulti hanno ragione a non prenderle sul serio, considerandole “bambinate” e “giochetti”, perché il bambino non può essere ritenuto pienamente capace e responsabile né davanti al tribunale della morale né davanti alla legge; ma intanto queste cose esistono, hanno la loro importanza sia come indizi di costituzione innata, sia come cause e premesse di sviluppi successivi, ci danno informazioni sulla vita sessuale infantile e quindi sulla vita sessuale dell’uomo in genere. Se dunque dietro i nostri sogni deformati ritroviamo tutti questi impulsi di desideri perversi, ciò significa soltanto che il sogno ha compiuto anche in questo campo il cammino a ritroso verso la condizione infantile.
Un particolare rilievo meritano ancora, tra questi desideri proibiti, quelli incestuosi, cioè rivolti al rapporto sessuale con genitori e fratelli. Sapete quale ribrezzo venga provato, o perlomeno professato, nella società umana verso un rapporto simile, e come siano insistenti i divieti contro di esso. Si sono fatti gli sforzi più immani per spiegare questo orrore per l’incesto. Gli uni hanno supposto che si tratti di preveggenza della natura riguardo alla riproduzione, preveggenza che avrebbe trovato in questo divieto la propria rappresentanza psichica, dato che i contatti tra consanguinei peggiorerebbero i caratteri della razza; gli altri hanno sostenuto che, attraverso la convivenza fin dall’infanzia, le brame sessuali vengono distolte dalle persone in questione. In ambedue i casi, peraltro, l’elusione dell’incesto sarebbe assicurata automaticamente e non si comprenderebbe perché siano necessarie severe proibizioni, che indicano piuttosto la presenza di un’intensa aspirazione ad attuarlo. Dalle ricerche psicoanalitiche è inequivocabilmente risultato che la scelta amorosa incestuosa si instaura invece per prima e invariabilmente, e che solo più tardi ha inizio contro di essa una resistenza, la cui derivazione dalla psicologia individuale è peraltro da respingere.464
Riassumiamo quanto abbiamo ricavato per la comprensione del sogno dall’approfondimento della psicologia infantile. Non soltanto abbiamo trovato che il materiale delle esperienze infantili dimenticate è accessibile al sogno, ma abbiamo anche visto che la vita psichica del bambino, con tutte le sue peculiarità, il suo egoismo, la sua scelta amorosa incestuosa ecc., continua a sussistere nel sogno, ossia nell’inconscio, e che il sogno ci riconduce ogni notte a questo stadio infantile. Ci viene così convalidato che ciò che nella vita psichica è inconscio è infantile. L’impressione così sconcertante, che ci sia nell’uomo tanta malvagità, comincia a venir meno. Questa spaventosa malvagità è semplicemente il tratto iniziale, primitivo, infantile, della vita psichica, che possiamo trovare operante nel bambino, ma che in lui in parte non notiamo per le sue piccole dimensioni, in parte non prendiamo sul serio perché non pretendiamo dal bambino alcuna elevatezza morale. Il sogno, regredendo a questo stadio, desta l’impressione di aver portato alla luce la malvagità che è in noi. Ma ci siamo lasciati spaventare da qualcosa che non è altro che un’ingannevole apparenza. Non siamo così cattivi come eravamo indotti a supporre dall’interpretazione dei sogni.
Se gli impulsi cattivi dei sogni sono soltanto infantilismi, sono cioè un ritorno agli inizi del nostro sviluppo etico (dal momento che il sogno ci rifà semplicemente bambini nel pensare e nel sentire), allora, a essere ragionevoli, non abbiamo bisogno di vergognarci di questi sogni cattivi. Ma l’esser ragionevoli costituisce una parte soltanto della vita psichica, al di là della quale accadono nella psiche ogni sorta di cose che non sono ragionevoli; e accade così che, irragionevolmente e nonostante tutto, ci vergogniamo di questi sogni.465 Li sottoponiamo alla censura onirica, ci vergogniamo e ci arrabbiamo se, eccezionalmente, uno di questi desideri è riuscito a penetrare nella coscienza in forma talmente inalterata che siamo obbligati a riconoscerlo; anzi, talvolta ci vergogniamo perfino dei sogni deformati proprio come se li comprendessimo. Pensate soltanto all’indignato giudizio di quella brava signora, piuttosto anziana, sul suo sogno non interpretato dei “servizi d’amore” [vedi lez. 9, in OSF, vol. 8]. Il problema non è dunque ancora risolto e rimane la possibilità che, occupandoci ulteriormente della malvagità del sogno, perveniamo a un altro giudizio e a un altro apprezzamento della natura umana [vedi lez. 21, in OSF, vol. 8].
Come risultato dell’intera indagine, atteniamoci a due punti fermi, i quali significano però soltanto l’inizio di nuovi enigmi e di nuovi dubbi. Primo: la regressione del lavoro onirico non è soltanto formale, ma anche materiale. Essa non solo traduce i nostri pensieri in una forma primitiva di espressione, ma risveglia anche la peculiarità della nostra vita psichica primitiva, l’antica strapotenza dell’Io, gli impulsi iniziali della nostra vita sessuale, e addirittura il nostro antico patrimonio intellettuale, se tale possiamo considerare la relazione simbolica. E, secondo: tutti questi antichi tratti infantili, che una volta erano dominanti, e i soli dominanti, dobbiamo oggi ascriverli all’inconscio, modificando e allargando le nostre rappresentazioni di esso. “Inconscio” non è più un nome che indica ciò che è latente in un determinato momento; l’inconscio è un particolare regno della psiche con impulsi di desiderio propri, con una propria forma espressiva e con propri caratteristici meccanismi psichici che non vigono altrove. I pensieri onirici latenti, che abbiamo scoperto attraverso l’interpretazione del sogno, non appartengono però a questo regno; sono piuttosto simili a quelli che avremmo potuto pensare anche nello stato di veglia. Eppure sono inconsci; come si risolve dunque questa contraddizione? Cominciamo a intuire che qui bisogna procedere a una distinzione. Qualcosa che ha origine dalla nostra vita cosciente e ne condivide i caratteri – noi lo chiamiamo “residui diurni” – si incontra, per formare il sogno, con qualcos’altro che proviene dal regno dell’inconscio di cui abbiamo parlato. Tra queste due componenti si effettua il lavoro onirico. L’influsso esercitato sui residui diurni dal sopravvenire dell’inconscio implica certamente il determinarsi della regressione. È questa l’intuizione più profonda circa la natura del sogno alla quale possiamo giungere qui, prima di aver esplorato altri campi psichici. Ma fra poco sarà tempo di applicare un altro nome al carattere inconscio dei pensieri onirici latenti, per distinguerlo dall’inconscio proveniente da quel regno dell’infantile.466
Possiamo naturalmente sollevare anche la questione seguente: cosa obbliga l’attività psichica durante il sonno a effettuare questa regressione? perché non liquida in altro modo gli stimoli psichici che disturbano il sonno? e se, per i motivi propri della censura onirica, è costretta a servirsi del travestimento offerto dall’antica forma espressiva ora incomprensibile, a che le serve la reviviscenza di antichi impulsi psichici, di desideri e tratti del carattere ormai superati, ovverosia la regressione materiale, che viene ad aggiungersi a quella formale? L’unica risposta che ci potrebbe soddisfare sarebbe che solo in tal modo può venir formato un sogno, che, dal punto di vista dinamico, l’abolizione dello stimolo del sogno non è possibile altrimenti. Ma per ora non abbiamo il diritto di dare una simile risposta.