3 Roma, emporio del Lazio.
Molto tempo prima che una colonia cittadina sorgesse sul Tevere, i Ramni, i Tizi e i Luceri, prima divisi, poi uniti, devono aver avuto la loro rocca sui colli tiberini e lavorato le loro terre, dimorando nei circostanti villaggi. La festa del lupo, che la famiglia dei Fabi celebrava sul monte Palatino[3], può essere una tradizione di quei remotissimi tempi; una festa di contadini e di pastori che conserva i semplici scherzi della semplicità patriarcale e che, cosa singolare, si è conservata nella Roma cristiana più lungamente di tutte le altre feste pagane.
Da queste colonie sorse poi in seguito Roma.
Non si può quindi parlare di una vera fondazione di città, come vuole la leggenda: Roma non fu edificata in un giorno. È da considerare più attentamente come Roma abbia potuto così rapidamente pervenire ad un'eminente posizione politica fra i federati latini, mentre date le condizioni del luogo si sarebbe dovuto aspettare il contrario.
Il suolo, sul quale fu fabbricata la città di Roma, è meno salubre e meno fertile di quello del maggior numero delle antiche città latine. Nelle immediate vicinanze di Roma, non prospera nè la vite, nè il fico, e vi difetta l'acqua sorgiva. Nè l'ottima sorgente delle Camene, fuori della porta Capena, nè il pozzo capitolino compreso più tardi nel tulliano, sono abbondanti d'acqua. A ciò si aggiunga il frequente straripare del fiume, che a causa del lento pendio non può sfociare nel mare con la necessaria celerità le piene alimentate dai torrenti durante la stagione piovosa; a cagion di che le acque, traboccando, impaludano poi nelle valli. Il luogo è tutt'altro che attraente per l'agricoltore e fin dagli antichi tempi si disse che la prima colonia di contadini, che vi si stabilì, non può aver preso dimora per naturale elezione in un luogo così malsano e infecondo, e che perciò la necessità o qualche altra particolare ragione deve aver determinato la fondazione di questa città.
Anche la leggenda avverte questa singolarità. La narrazione che ci rappresenta Roma fondata da fuorusciti d'Alba condotti da Romolo e Remo, figli d'un principe albano, non è altro che un ingenuo espediente dell'antichissima semistoria per spiegare la fondazione della città in un luogo tanto sfavorevole e, nello stesso tempo, per innestarne l'origine alla metropoli universale del Lazio.
La storia deve innanzi tutto sgombrare il terreno di codeste favole, che vorrebbero apparire storia, e che invece non sono altro che poco spiritosi autoschediasmi: dopo di che le sarà forse concesso di fare un altro passo; e considerate le particolari condizioni de' luoghi, potrà forse metter fuori una ragionata supposizione, non diciamo già sulla fondazione, ma sulle cause del rapido e mirabile incremento di Roma e della sua situazione privilegiata in mezzo alle altre genti latine.
Consideriamo dunque anzitutto attentamente i più antichi confini del territorio romano: verso oriente, entro il raggio d'un miglio dalle mura serviane – ond'è che i confini del distretto romano devono essere stati prossimi alle porte della città – sorgono le città d'Antenne, Fidene, Cenina, Collazia e Gabio. Verso mezzogiorno, ad una distanza di 15 miglia, si incontrano i potenti comuni di Tuscolo e di Alba; e sembra che da questo lato il territorio romano non si sia esteso oltre le fosse Cluilie a 5 miglia da Roma. E così nella direzione sud-ovest il confine tra Roma e Lavinia non oltrepassava la sesta colonna miliare.
Mentre il territorio romano è chiuso dalla parte di terra in così angusti limiti, esso si estende invece da antichissimo tempo senza ostacoli lungo le due sponde del Tevere verso il mare, e tra la città e il litorale non s'incontra nessun luogo importante che si mostri come antico centro distrettuale e nessuna traccia di limiti confinari.
La leggenda, che conosce il segreto di tutte le origini, narra come i possedimenti romani sulla sponda destra del Tevere, i sette villaggi (septem pagi) e le ricche saline alle foci di questo fiume, siano state tolte dal re Romolo ai Veienti e come il re Anco abbia fortificato il monte di Giano (Ianiculum) sulla sponda destra del Tevere, e fondato sulla sinistra il Pireo romano, la città del porto, posta alla bocca del fiume (Ostia).
Che i possedimenti sulla sponda etrusca siano sempre appartenuti piuttosto all'antichissima marca romana lo prova bene il boschetto vicino alla quarta colonna miliare della strada portuense, che vi fu posteriormente aperta; questo boschetto consacrato alla dea creatrice (dea Dia) era l'antichissimo ritrovo della festa romana dell'agricoltura e della confraternita degli aratori; e infatti la gente dei Romilii, la più ragguardevole tra le genti romane, ebbe qui stanza e il Gianicolo era una parte della città stessa; Ostia una colonia cittadina, ossia sobborgo. Ora tutto questo non può essere semplice effetto del caso.
Il Tevere è la naturale strada commerciale del Lazio; la sua foce, in un litorale privo di porti, è il necessario ancoraggio dei naviganti. Inoltre il Tevere è da antichissimi tempi la barriera della razza latina contro i vicini del settentrione. Nessun luogo più di quello dove sorge Roma era acconcio, sia come emporio del commercio latino fluviale e marittimo, sia come piazzaforte marittima del Lazio, poichè esso riuniva in sè i vantaggi di una posizione forte e dell'immediata vicinanza del fiume; esso comandava le due rive fino alla foce, ciò che riusciva opportunissimo, tanto al barcaiolo che scendeva pel Tevere e per l'Anio, quanto al navigatore, il quale, per la modesta portata delle navi di quei tempi, rifugiandosi nel fiume, trovava maggior protezione contro la pirateria di quanto non ne trovasse sull'aperta spiaggia del mare.
Che Roma debba, se non la sua origine, almeno la sua importanza a tali condizioni commerciali e strategiche, lo dimostrano anche altri numerosi indizi di ben maggior importanza che non le narrazioni di novellette in veste storica. Da queste condizioni topografiche derivano le antichissime relazioni con Cere (Caere) la città più vicina e l'alleata commerciale di Roma, la quale era per l'Etruria ciò che Roma era pel Lazio. Da ciò l'importanza grandissima che nella repubblica romana si dava al ponte sul Tevere, e in generale alla costruzione dei ponti; da ciò la galera come stemma della città, da ciò l'antichissimo dazio romano del porto, a cui da principio era soggetto soltanto ciò che entrava in Ostia, o ne usciva per essere venduto (promercale), e non ciò che serviva pel proprio uso del caricatore (usuarium), insomma una vera e propria imposta sul commercio; da ciò infine, per dirlo in anticipazione, l'apparizione in Roma più presto che altrove, delle monete coniate e dei trattati di commercio con paesi oltremarini.
Sotto questo aspetto si può dire, come vorrebbe la leggenda, che la città di Roma fu fondata in un luogo eletto apposta, e non cresciuta a caso, e che essa, tra le città latine, è piuttosto la più recente che la più antica. Non può dubitarsi che il suolo del Lazio fosse già in parte coltivato, e che il monte albano e parecchie altre alture della campagna, servissero già da rocche quando sul Tevere sorse l'emporio confinario dei Latini. Chi ardirebbe ora affermare se la città di Roma sia sorta per una decisione della lega latina, o se debba la sua esistenza al colpo d'occhio profetico d'uno sconosciuto fondatore, o invece al naturale sviluppo dei commerci? A questa considerazione va aggiunta l'altra importantissima della forma chiusa con cui questa città ci si presentò fin dagli albori della sua storia. Il costume latino di abitare villaggi aperti e di raccogliersi nella rocca solo in occasione di feste e adunanze, o in caso di necessità, fu, secondo ogni apparenza, modificato nella marca di Roma, assai prima che in qualunque altro luogo del Lazio. Non già che il Romano abbia cessato di lavorare egli stesso i suoi poderi, o di considerarli come la sua vera e prima abitazione; ma se non altro la malaria della campagna doveva far sì che egli prediligesse la dimora sulle più ventilate e salubri colline della città; e insieme ai contadini deve da antichissimo tempo aver preso dimora nella città una numerosa popolazione non agricola di forestieri e di indigeni. Così viene in qualche modo a spiegarsi la densa popolazione dell'agro romano, il quale paludoso in parte e arenoso, non occupava che una superficie di cinque miglia e mezzo quadrate, e sin dai primordi della più antica costituzione somministrava già una guardia cittadina di 3300 uomini liberi, e contava perciò almeno 10.000 abitanti liberi. Ma ciò non basta. Chi conosce i Romani e la loro storia, sa che il carattere particolare della loro attività pubblica e privata dipende dalla loro vita cittadina e mercantile, e che l'antitesi fra i Romani e gli altri Latini, e specialmente tra i Romani e gli Italici, è innanzi tutto l'antitesi tra il cittadino e il contadino. Non già che Roma sia una città mercantile come Corinto o Cartagine, poichè il Lazio è un paese essenzialmente agricolo, e Roma fu e rimane sempre una città latina. Ma ciò che distingue Roma tra il gran numero delle altre città latine è la sua posizione commerciale e il suo spirito cittadino. Se Roma fu l'emporio e il mercato dei paesi latini, è naturale che accanto, anzi al disopra dell'economia rurale latina, si venisse svolgendo con forza e celerità una forma di vivere cittadino, e che con questo si preparassero le fondamenta di una successiva separazione.
Seguire questo sviluppo mercantile e strategico di Roma è impresa molto più importante e meno disagevole che l'inutile compito di sottoporre ad analisi chimica altri comuni del mondo antico, poco diversi gli uni dagli altri, e senza alcuna speciale caratteristica. E noi possiamo in qualche modo seguire quello sviluppo urbano nelle tradizioni intorno alle successive costruzioni delle mura e dei valli che circondarono Roma, la cui topografia interna deve necessariamente essere venuta a mano a mano proporzionandosi allo accrescimento del comune.