16.Il protettorato romano.
Tutti gli stati ellenici erano quindi sottomessi al protettorato romano, e l'intero regno di Alessandro il grande era caduto in potere della repubblica romana, divenuta come l'erede dei suoi eredi.
Da tutte le parti affluivano a Roma re ed ambasciatori per porgere alla repubblica le loro congratulazioni, e in questa circostanza si dimostrò ancora una volta che le adulazioni non sono mai così umilianti come quando i re fanno anticamera.
Massinissa, che solo per assoluto divieto si era astenuto di recarvisi in persona, ordinò a suo figlio di dichiarare ch'egli si considerava come semplice usufruttuario, essendo i Romani i veri padroni del suo regno, e che egli si sarebbe sempre accontentato di quello ch'essi gli avrebbero lasciato.
Questa dichiarazione era almeno conforme a verità.
Prusia, re di Bitinia, il quale aveva da scontare la sua neutralità, fu però colui che in questa gara di adulazioni riportò la palma. Quando fu introdotto in senato prostrò la faccia a terra e rese omaggio agli «dei salvatori». Essendo egli tanto abbietto, dice Polibio, gli si diede una cortese risposta e gli si fece dono della flotta di Perseo.
Il momento per simili omaggi era per lo meno ben scelto.
Polibio fa decorrere il compimento del dominio mondiale dei Romani dalla giornata di Pidna. È questa, in sostanza, l'ultima battaglia in cui Roma scese in campo contro una potenza civilizzata sua pari; tutti i successivi combattimenti sono ribellioni o guerre contro popoli posti fuori del raggio della civiltà romano-greca, guerre contro i cosiddetti barbari.
Il mondo civilizzato riconobbe d'allora in poi nel senato romano la suprema corte di giustizia, i cui delegati decidevano in ultima istanza tra popoli e re. Per apprenderne la favella ed i costumi vennero a stabilirsi in Roma principi stranieri e giovani nobili. Una sola volta fu fatto dal grande Mitridate del Ponto un serio ed aperto tentativo per sottrarsi a questa signoria. Ma la giornata di Pidna indica nello stesso tempo, l'ultimo momento in cui il senato tiene ancora con fermezza alla massima di stato di non caricarsi possibilmente di possedimenti e di presidî al di là dei mari italici e di mantenere il buon ordine negli stati posti sotto il protettorato romano soltanto colla supremazia politica.
Quegli stati quindi non dovevano nè sciogliersi per totale impotenza ed anarchia, come avvenne in Grecia, nè passare dalla semilibera loro condizione ad una piena indipendenza, come tentò, non senza qualche successo, la Macedonia.
Nessuno stato doveva cadere interamente in rovina, ma nessuno doveva ambire ad esistere per forza propria; perciò il nemico vinto aveva, presso i diplomatici romani, per lo meno una posizione eguale, spesso migliore, che non l'alleato onesto; e lo sconfitto veniva sollevato, mentre chi voleva sorreggersi da sè veniva abbassato. Di ciò fecero esperimento gli Etoli, la Macedonia dopo la guerra d'Asia, Rodi, Pergamo.
Senonchè questa parte di protettore divenne non solo ben presto intollerabile ai signori ed ai servi, ma lo stesso protettorato romano, coll'ingrato suo lavoro di Sisifo, che doveva sempre ricominciare, si dimostrò internamente impossibile.
I principî di un cambiamento di sistema e della crescente avversione di Roma a tollerare nella sua vicinanza persino stati di ordine medio che si mantenessero in relativa indipendenza, si rivelano già chiaramente dopo la battaglia di Pidna nella distruzione della monarchia macedone.
L'intervento, che andava facendosi sempre più frequente, e che si rendeva sempre più indispensabile negli affari interni dei piccoli stati greci a cagione del loro mal governo e della loro anarchia politica e sociale, il disarmo della Macedonia, per la quale al confine settentrionale si richiedeva ben altra difesa che non una semplice guardia, e, finalmente, i cominciati versamenti delle imposte fondiarie della Macedonia e dell'Illiria nelle casse di Roma. sono altrettanti indizi della imminente conversione degli stati clienti in sudditi di Roma.