2. Combattimento presso il Ticino.
Nella pianura tra il Ticino e la Sesia, non lungi da Vercelli, la cavalleria romana, avanzatasi colla fanteria leggera per eseguire una forte ricognizione, si scontrò colla cavalleria cartaginese venuta innanzi col medesimo scopo, l'una e l'altra condotte dai comandanti in persona. Scipione accettò l'offertogli combattimento malgrado la superiorità del nemico; ma la sua fanteria leggera, schierata avanti la fronte dei suoi cavalli, fu rotta dall'urto della cavalleria pesante del nemico, e mentre questa attaccava di fronte la massa della cavalleria romana, la cavalleria leggera dei Numidi, dopo aver fatto sgombrare dal campo le sbaragliate schiere della fanteria, attaccò la cavalleria romana ai fianchi ed alle spalle; questo decise il combattimento.
Le perdite dei Romani furono molto considerevoli; il console stesso, che come soldato riparò agli errori del capitano, riportò una grave ferita, e andò debitore della vita soltanto alla devozione del figlio diciassettenne, il quale, spintosi coraggiosamente in mezzo ai nemici, costrinse il proprio squadrone a seguirlo e strappò loro il padre di mano. Scipione, accertate in questo combattimento le forze del nemico, si accorse dell'errore commesso occupando con un esercito di forze inferiori una pianura col fiume alle spalle, e decise quindi di ritirarsi sotto gli occhi del suo avversario all'altra sponda del Po.
Ristrette che furono le operazioni sopra un campo meno vasto, e perduta che ebbe il console l'illusione sulla invincibilità delle armi romane, ritrovò il suo talento militare non comune, paralizzato momentaneamente dall'audacissima impresa del suo giovane rivale. Così, mentre Annibale si disponeva ad una battaglia campale, Scipione, con una marcia rapidamente concepita ed eseguita con sicurezza, giunse all'altra sponda del fiume che aveva intempestivamente abbandonata e ruppe il ponte dietro l'esercito; i 600 uomini incaricati di coprire quell'operazione si trovarono naturalmente tagliati fuori e furono fatti prigionieri. Ma essendo il corso superiore del fiume in potere di Annibale non gli si poteva impedire di risalirlo, di attraversarlo sopra un ponte di barche e di trovarsi in pochi giorni sull'altra sponda di fronte all'esercito romano.
Questo aveva preso posizione nella pianura di contro a Piacenza; ma l'ammutinamento di una sezione di Celti nel campo romano e l'insurrezione dei Galli dilagante di nuovo tutt'attorno, obbligarono il console ad abbandonare quella pianura e ad accamparsi sulle colline dietro la Trebbia, ciò che fu eseguito senza perdite importanti, perchè i cavalieri numidi, che l'inseguivano, perdettero il tempo nel saccheggiare ed incendiare il campo abbandonato. In questa forte posizione, coll'ala sinistra appoggiata all'Appennino, colla destra al Po ed alla fortezza di Piacenza, colla fronte coperta dalla Trebbia abbondante di acque in quella stagione, Scipione non poteva certamente salvare gli importanti magazzini di Clastidium (Casteggio), essendone tagliato fuori dall'esercito nemico, nè impedire i movimenti insurrezionali di tutti i cantoni dei Galli, meno quello dei Cenomani rimasto fedele ai Romani; poteva, per altro, impedire ad Annibale ogni ulteriore avanzata costringendolo a porre il suo campo di fronte a quello dei Romani.
La posizione presa da Scipione e la minaccia dei Cenomani d'invadere l'Insubria impedirono alla massa principale dei Galli insorti di unirsi immediatamente al nemico, e diede opportunità al secondo esercito romano, che nel frattempo era arrivato da Lilibeo a Rimini, di giungere a Piacenza attraversando senza gravi impedimenti il paese ribelle, e di unirsi coll'esercito del Po.
Scipione aveva assolto compiutamente e splendidamente il suo difficile compito. L'esercito romano, portato ora a quasi 40.000 uomini, eguale in numero a quello del nemico, se non nella cavalleria almeno nella fanteria, non aveva altro da fare che fermarsi dove si trovava per costringere l'avversario a tentare nell'inverno il passaggio del fiume e l'attacco del campo romano, o sospendere la sua marcia e mettere a prova la volubilità dei Galli coi molesti quartieri d'inverno.