46. Le ultime battaglie.
L'espugnazione di Alesia e la capitolazione dell'esercito che vi si trovava chiuso, furono un terribile colpo portato all'insurrezione celtica; ma alla nazione ne erano toccati altri egualmente gravi, eppure la lotta era stata sempre rinnovata.
Però la perdita di Vercingetorige era irreparabile. Con lui si era raggiunta l'unità nella nazione; sembrava che con lui fosse di nuovo scomparsa. Non troviamo traccia che l'insurrezione avesse fatto un tentativo per continuare la difesa generale del paese ed eleggere un nuovo supremo duce; la lega patriottica si sciolse da sè; e tutti i distretti rimasero liberi di combattere o di trattare con i Romani.
Naturalmente prevaleva in generale la tendenza per la pace. Anche Cesare era interessato a vederla ripristinata. Dei dieci anni della sua luogotenenza sette erano già trascorsi, l'ultimo gli era stato conteso dai suoi avversari politici nella capitale; egli poteva calcolare con qualche sicurezza ancora su due estati, e se il suo interesse ed il suo onore volevano che egli rimettesse al suo successore le province nuovamente conquistate in una passabile condizione di pace e sufficentemente tranquille, bisogna convenire che per raggiungere una simile meta il tempo era davvero troppo scarso.
L'usare clemenza era in questo caso un maggior bisogno per il vincitore che per i vinti; ed egli poteva ringraziare la sua stella, che l'interna dissoluzione e la leggerezza naturale dei Celti venissero in suo aiuto. Là dove esisteva un forte partito favorevole ai Romani, come nei due più importanti cantoni della Gallia media, quello degli Edui e quello degli Alvergnati, subito dopo l'espugnazione di Alesia fu accordato alle province il pieno ristabilimento dei loro primitivi rapporti con Roma, e furono persino restituiti senza riscatto i loro prigionieri, che sommavano a 20.000, mentre quelli degli altri cantoni passarono nella misera condizione di schiavi dei vittoriosi legionari.
Come gli Edui e gli Alvergnati, così si sottomise alla sua sorte la maggior parte dei distretti gallici, che soffrirono senz'altra difesa tutte le inevitabili punizioni. Ma non pochi durarono anche fedeli alla causa perduta, o per stolta leggerezza o per cupa disperazione, finchè non arrivarono entro i loro confini le truppe romane di esecuzione. Simili spedizioni furono fatte nell'inverno del 702-3 = 52-1 contro i Biturigi ed i Carnuti.
Più seria resistenza opposero i Bellovaci, i quali l'anno prima non avevano preso parte alla liberazione di Alesia; sembrava volessero provare ch'essi in quella decisiva giornata non avevano mancato almeno di coraggio e di amore per la libertà. A questa lotta concorsero gli Atrebati, gli Ambiani, i Caleti ed altri distretti belgi; il valoroso re degli Atrebati, Commio, al quale i Romani meno che ad altri perdonavano la sua adesione all'insurrezione, e contro cui Labieno non molto prima aveva ordito un tentativo d'assassinio, condusse ai Bellovaci una schiera di 500 cavalieri germanici, il cui pregio era stato riconosciuto nella campagna dell'anno precedente.
Il risoluto e valente bellovaco, Correo, a cui era toccata in sorte la direzione della guerra, la conduceva come già l'aveva condotta Vercingetorige, e con non minore successo; benchè Cesare andasse raccogliendo a poco a poco la massima parte del suo esercito, non poteva però nè decidere la fanteria dei Bellovaci ad accettare battaglia, e nemmeno impedire che essa occupasse delle posizioni che meglio la mettessero al sicuro contro le superiori forze di Cesare. La cavalleria romana, e specialmente i contingenti celti, ebbero a soffrire in parecchi combattimenti sensibili perdite dalla cavalleria nemica e specialmente da quella germanica di Commio.
Ma dopo che Correo rimase ucciso in una scaramuccia coi foraggiatori romani, cessò anche qui la resistenza; il vincitore pose delle condizioni sopportabili, che furono accettate dai Bellovaci e dai loro alleati. I Treviriani furono ricondotti da Labieno all'obbedienza e il territorio degli Eburoni, posti al bando, fu un'altra volta corso e devastato.
Così fu vinta l'ultima resistenza della lega belga. Ancora un tentativo di scuotere la signoria dei Romani fu fatto dai distretti marittimi d'accordo coi loro vicini stanziati sulla Loira. Sulla bassa Loira si adunarono schiere d'insorti dei distretti degli Andi, dei Carnuti e di altri vicini e assediarono in Lemonum (Poitiers), il principe dei Pittoni partigiano dei Romani. Ma anche contro di essi sorse ben presto un'importante armata romana; allora gli insorti rinunciarono all'assedio e partirono per porsi al sicuro dietro la Loira. Furono raggiunti e battuti; in conseguenza di che i Carnuti e gli altri distretti insorti e persino i marittimi fecero atto di sottomissione.
La resistenza aveva toccato la sua fine; a stento si trovava ancora qualche condottiero di bande che tenesse alto il vessillo nazionale. Il temerario Drappe ed il fedele compagno d'arme di Vercingetorige, Lucterio, raccolsero, dopo lo scioglimento dell'esercito, che si trovava sulla Loira, i più risoluti campioni e si gettarono nella forte città montana di Uxellodunum sul Lot[23] che poterono approvvigionare sufficentemente dopo gravi e micidiali combattimenti.
Nonostante la perdita dei suoi capi, dei quali Drappe era stato fatto prigioniero e Lucterio si era allontanato dalla città, il presidio si difese valorosamente fino agli estremi; soltanto dopo l'arrivo di Cesare e dopo che per suo ordine era stata tolta agli assediati l'acqua deviandone il corso per mezzo di condotti sotterranei, la fortezza, quest'ultima rocca della nazione celtica, cadde in potere dei Romani.
Per contrassegnare gli ultimi propugnatori della causa dell'indipendenza Cesare ordinò di tagliare le mani a tutto il presidio e di lasciare poi che ognuno tornasse al suo focolare.
Cesare, al quale anzitutto stava a cuore di farla finita in tutta la Gallia almeno colla resistenza aperta, concesse al re Commio, che si manteneva ancora nella regione d'Arras e continuava a battersi sin nell'inverno del 703-4 = 51-50 colle truppe romane, di far la pace, e lasciò perfino che quest'uomo irritato e non a torto diffidente si rifiutasse arrogantemente di comparire in persona nel campo romano.
È molto probabile che Cesare si accontentasse egualmente, tanto nei distretti del nord-ovest come in quelli del nord-est della Gallia che erano di difficile accesso, di una sottomissione di nome e forse anche di un armistizio di fatto.