13. La guerra voluta da Aquilio.
Ma non era intenzione di Aquilio di permetterlo; e poichè egli non poteva costringere il suo governo a dichiarare la guerra a Mitridate, si servì all'uopo del re Nicomede.
Questi già nelle mani del capitano romano e suo debitore per le sue spese di guerra e per le somme personalmente garantite al generale, non potè sottrarsi alla volontà di Aquilio di iniziare le ostilità.
Ne seguì la dichiarazione di guerra bitinica; ma persino quando le navi di Nicomede chiusero il Bosforo a quelle del Ponto ed alle sue, e penetrando nei distretti al confine del Ponto saccheggiarono la contrada di Amastri, Mitridate rimase ancora fermo nella sua politica di pace. Invece di rigettare i Bitini oltre i confini, egli si rivolse all'ambasceria romana e la pregò di interporsi o di volergli permettere l'autodifesa. Ma gli fu risposto da Aquilio che in ogni circostanza egli doveva astenersi dal far la guerra contro Nicomede.
Naturalmente ciò era abbastanza chiaro. Precisamente la stessa politica era stata adoperata contro Cartagine: si lasciava assalire la vittima dalla muta romana e le si proibiva di difendersene.
Anche Mitridate si diede come perduto, appunto come avevano fatto i Cartaginesi; ma se i Fenici si erano arresi per disperazione, il re di Sinope fece appunto il contrario e radunò le sue truppe e le sue navi: – «non si difende forse» pare abbia egli detto «anche colui che deve soggiacere contro i briganti?»
Suo figlio Ariobarzane ricevette l'ordine di entrare in Cappadocia; ma ancora una volta mandò un messaggio agli ambasciatori romani per riferir loro a quali estremi la necessità lo aveva costretto e ad esigere da essi un'ultima dichiarazione.
Questa suonò come era da aspettarsi. Benchè nè il senato romano nè il re Mitridate, nè il re Nicomede avessero voluto la rottura, Aquilio la volle, e si ebbe la guerra (fine dell'anno 665 = 89).