2. Posizione storica di Pirro.
Pirro, re d'Epiro, non era che un condottiero avventuroso. Benchè egli facesse risalire la sua genealogia fino ad Eaco e ad Achille, e non gli mancasse la possibilità, quando fosse stato d'indole più riposata, di vivere e morire come «Re» d'un piccolo popolo montanaro sotto l'alto dominio dei Macedoni, e, anche, forse, indipendente, Pirro ciò non per tanto non fu più che un cavaliere di ventura.
Non mancò chi lo volle paragonare ad Alessandro il Macedone; e veramente non può negarsi ch'egli meditasse la fondazione di un regno ellenico d'occidente, di cui l'Epiro, la Magna Grecia e la Sicilia avrebbero formato il nerbo, e che avrebbe avuto la signoria sui due mari italici, respingendo Roma e Cartagine a confondersi col mondo barbarico, che cingeva come un nebbioso orizzonte la serena sfera degli stati ellenici. Concetto questo, grande e audace non meno di quello che condusse il re di Macedonia oltre l'Ellesponto.
Ma non è solo il diverso risultato che distingue la spedizione orientale dalla spedizione occidentale. Alessandro col suo esercito macedone, dove sotto di lui servivano buon numero di illustri ufficiali superiori, poteva esser benissimo paragonato al gran re; ma il re d'Epiro, che, in quanto alle forze, stava alla Macedonia come all'incirca starebbe ora l'Assia alla Prussia, non riuscì a riunire intorno a sè un esercito che potesse esser degno di questo nome, se non reclutando mercenari e mendicando alleanze, che si fondavano su effimere combinazioni politiche.
Alessandro invase la Persia da conquistatore, Pirro venne in Italia come capitano al soldo d'una federazione di stati di secondo ordine; Alessandro lasciò il suo paese ereditario, sicuro da ogni attacco mercè la compiuta soggezione della Grecia e il ragguardevole esercito lasciatovi sotto gli ordini di Antipatro; Pirro non aveva altra garanzia per la integrità del suo territorio che la parola d'un vicino sospetto.
Per entrambi i conquistatori, nel caso che la loro impresa riuscisse, era necessario abbandonare la patria, la quale non poteva essere il centro di gravità del nuovo stato; ma sarebbe riuscito assai meno difficile trapiantare la sede della monarchia macedone in Babilonia, che fondare una dinastia militare a Taranto o a Siracusa.
Perchè era affatto impossibile ridurre la democrazia delle repubbliche greche, per quanto da molti anni quasi in agonia, alle strette forme d'uno stato militare.
Filippo sapeva bene cosa si facesse quando non volle incorporare le repubbliche greche nel suo regno. In oriente invece non si doveva temere alcuna opposizione nazionale; in quelle vaste regioni vivevano da lungo tempo classi dominanti e classi serve, le une presso le altre, e il mutar padrone riusciva, alle varie moltitudini, indifferente e talvolta desiderato.
In occidente era ben possibile vincere i Romani, i Sanniti, i Cartaginesi, ma nessun conquistatore avrebbe potuto mutare gli Italici in altrettanti fellah egiziani, o ridurre i contadini romani a livellarii d'una baronia ellenica.
Tutto ben considerato, la propria potenza, gli alleati, le forze degli avversari, il concetto del macedone, guardato sotto ogni aspetto, ci si presenta come un'impresa eseguibile, quello dell'epirota come un'impresa impossibile; l'uno ci appare come il compimento d'una grande missione storica, l'altro come un memorabile errore; l'uno come la pietra fondamentale di un nuovo sistema di stati e di una nuova fase di civiltà, l'altro come un puro episodio storico.
L'opera di Alessandro sopravvisse al suo autore ancorchè egli fosse morto prematuramente; Pirro prima di morire vide cogli occhi propri crollare tutto il suo edificio. Furono due audaci e grandi nature d'uomini; ma Pirro non era che il primo capitano del suo tempo, Alessandro era innanzi tutto, e principalmente, il più grande genio politico dell'epoca; e se la perspicacia di distinguere il possibile dall'impossibile è quella che differenzia gli eroi dagli avventurieri, è forza annoverare Pirro fra questi ultimi e non si può metterlo a paragone di Alessandro suo parente e maggiore, come non si saprebbe paragonare il connestabile di Borbone a Luigi XI.
Eppure il nome dell'epirota risveglia in noi un certo senso di meraviglia, e quasi esercita sulle menti un fascino, che ben si spiega, sia per la cavalleresca e seducente sua personalità, sia perchè egli fu il primo greco che si misurasse coi Romani sui campi di battaglia.
Da Pirro cominciano quelle relazioni tra Roma e l'Ellade a cui è dovuto tutto l'indirizzo successivo della antica civiltà, e che perciò sono anche uno dei principali fattori della civiltà moderna.
La lotta tra falangi e coorti, tra eserciti mercenari e milizie nazionali, tra monarchia militare e governo senatorio, tra il genio personale e la forza nazionale – questa lotta tra Roma e l'ellenismo fu prima combattuta nelle battaglie tra Pirro e i duci romani; e sebbene la parte soccombente abbia più volte e con gran pertinacia rinnovato l'appello alla decisione delle armi, ogni prova novella altro non fece che confermare il già pronunziato giudizio.
Ma se i Greci rimasero soccombenti nel campo e nella curia, fuori della politica venne loro assicurata un'incontrastabile superiorità; il che già faceva presentire, che la vittoria riportata da Roma sugli Elleni sarebbe stata diversa da quella da essi riportata sui Galli e sui Fenici, ma che ad ogni modo la magìa d'Afrodite non comincia ad operare se non quando la lancia è spezzata e l'elmo e lo scudo sono messi da parte.