6. Scipione Emiliano.
Lo stesso governo romano cominciò finalmente a persuadersi che ciò non poteva durare, e si decise di affidare l'espugnazione della piccola città provinciale spagnola, in via straordinaria, al primo generale romano, Scipione Emiliano.
Ma per la guerra gli furono assegnati scarsi mezzi finanziari e negato, per gli intrighi di parte e il timore di riuscire molesti al popolo sovrano, perfino il permesso di levar soldati. Ma l'accompagnò volontariamente un gran numero di amici e di clienti, tra i quali suo fratello Massimo Emiliano, il quale pochi anni prima si era distinto nella direzione della guerra contro Viriate.
Facendo assegnamento su questa eletta schiera costituitasi a guardia del generale, Scipione incominciò dalla riorganizzazione dell'esercito profondamente guasto (620 = 134). Prima di tutto egli volle purgato il campo degli impedimenta – vi si trovavano 2000 sgualdrine ed una enorme quantità d'indovini e di sacerdoti d'ogni sorta – ed essendo i soldati inabili alla pugna, li costrinse a lavorare intorno alle fortificazioni e a marciare.
Sul principio dell'estate il generale evitò ogni combattimento coi Numantini, limitandosi alla distruzione delle provviste nelle vicinanze e a castigare i Vaccei che rifornivano di grano i Numantini, obbligandoli a riconoscere la supremazia di Roma. Solo all'avvicinarsi dell'inverno Scipione raccolse le sue truppe intorno a Numanzia. Oltre il contingente numidico di cavalleria, fanteria e dodici elefanti, capitanati dal principe Giugurta, ed i numerosi contingenti spagnoli, vi erano quattro legioni, in tutto 60.000 uomini, che assediavano una città, la cui popolazione contava tutt'al più 8000 cittadini capaci di portare le armi. Ciò non pertanto gli assediati offrivano spesso battaglia, ma ben sapendo Scipione che d'un tratto non si sradica una inveterata indisciplina, rifiutava ogni conflitto; e se alle sortite degli assediati conveniva rispondere, appariva allora purtroppo chiaramente la giustificazione di questa tattica per la vile fuga dei legionari, a stento arrestati dalla presenza dello stesso generale.
Mai un generale trattò i suoi soldati con un disprezzo maggiore di quello di Scipione per l'esercito numantino; nè si contentò solo di amare parole, ma anche con i fatti volle dimostrare in qual conto li tenesse.
Per la prima volta i Romani combatterono con la zappa e la marra, quando solo da essi dipendeva di servirsi della daga. Alla distanza di più di due chilometri fu costruito tutt'intorno alle mura della città un doppio riparo, munito di mura, di torri e di fossati, e finalmente chiuso anche il Duero, pel quale da principio erano penetrate alcune provvigioni col mezzo di audaci barcaiuoli e nuotatori. Così non osandosi dare l'assalto alla città si dovette pensare ad opprimerla colla fame, cosa tanto più facile questa perchè i cittadini non avevano potuto raccogliere provviste nell'estate trascorsa. E non passò molto che i Numantini difettarono di ogni cosa.
Uno dei loro più arditi, Retogene, con pochi compagni si fece strada con le armi tra le file dei nemici; e la commovente sua preghiera di non lasciar perire senza soccorso i consanguinei fece grande impressione, almeno in Luzia città degli Arevachi. Ma prima che i cittadini di questa città si fossero mossi, Scipione informato di tutto dai partigiani di Roma nella stessa Luzia, comparve con grandi forze sotto le mura di questa città e obbligò le autorità a consegnargli i capi del movimento; erano quattrocento giovani eletti ai quali per ordine del generale romano vennero tagliate le mani.
Tolta così ai Numantini l'ultima speranza, essi mandarono ambasciatori a Scipione per trattare della resa, e chiesero a lui valoroso, di risparmiare i valorosi; ma quando al loro ritorno annunziarono che Scipione esigeva che si arrendessero a discrezione, essi furono lacerati a furore di popolo, e così nuovo tempo trascorse prima che la fame e la pestilenza riducessero agli estremi ogni resistenza.
Fu inviata allora al quartiere generale romano una seconda ambasceria per dichiarare che la città accettava qualsiasi condizione. Quando la cittadinanza fu invitata a comparire, il giorno seguente, dinanzi alle porte, pregò che si concedesse qualche giorno di proroga per lasciare il tempo necessario per morire a coloro tra i cittadini che avessero deciso di non sopravvivere alla fine della libertà. Fu loro concesso, e non pochi ne profittarono. Comparvero alla fine le miserande schiere alle porte della città. Scipione scelse cinquanta tra i più distinti cittadini per trascinarli dietro al suo trionfo; gli altri furono venduti come schiavi, la città fu rasa al suolo e il suo territorio diviso fra le città vicine.
Ciò avvenne nell'autunno del 621 = 133, quindici mesi dall'assunzione di Scipione al supremo comando.
Con la resa di Numanzia la scure romana colpì alla radice l'opposizione. Per qualche fiamma sporadica serpeggiante qua e là, qualche marcia militare e poche multe pecuniarie bastarono a far riconoscere la supremazia romana in tutta la Spagna citeriore.