28.Storia straniera.
Della storia straniera i Romani non si preoccupavano se non per quel tanto che reputavasi necessario sapersi da un uomo colto.
Così si dice che Fabio il vecchio conoscesse perfettamente non solo la storia delle guerre romane, ma anche delle straniere; e non può dubitarsi che Catone fosse assiduo lettore di Tucidide e degli storici greci.
Ma eccettuata la collezione di aneddoti e di sentenze che Catone raccolse per proprio uso da questa lettura, non troviamo alcun indizio che i Romani si applicassero a questo genere letterario.
All'assenza di una letteratura storica, corrisponde la deficienza d'una critica adeguata, di modo che nè agli scrittori nè ai lettori veniva in mente di rilevare le contraddizioni interne ed esterne. Così, benchè il re Tarquinio il Superbo, alla morte del padre, fosse già adolescente e non giungesse al trono che trentanove anni dopo, quando vi salì, veniva considerato ancora come un giovane. Gli storici romani credono che Pitagora, venuto in Italia una generazione prima della cacciata dei re, sia stato amico del savio Numa.
Gli ambasciatori, spediti l'anno 262=492 da Roma a Siracusa, avrebbero, secondo le cronache, trattato con Dionisio il vecchio, il quale salì sul trono ottantasei anni dopo (348=406). Questa ingenua deficienza di critica si manifestò particolarmente nell'assestamento della cronologia romana.
Poichè secondo questa cronologia che probabilmente era stata nelle sue linee fondamentali già fissata durante l'epoca precedente – la fondazione di Roma avvenne 240 anni prima della consacrazione del tempio capitolino, 360 anni prima dell'incendio della città per opera dei Galli, e siccome quest'ultimo avvenimento, registrato anche nelle opere storiche greche, è dell'anno dell'arconte ateniese, Pirgione, 388 anni prima di Cristo, olimpiade 98, anno I, la fondazione di Roma sarebbe avvenuta perciò nell'anno I dell'8a olimpiade.
Secondo la cronologia d'Eratostene, che sino d'allora era già considerata come fondamentale, questo anno corrispondeva al 436 dopo la caduta di Troia, ma ciò non impedì che l'abiatico del troiano Enea fosse considerato come fondatore di Roma.
Catone, che, come buon finanziere sapeva far di conto, riscontrò questo calcolo, richiamò senza dubbio l'attenzione generale su tale contraddizione, ma non pare che vi abbia proposto un rimedio; questo solo sappiamo, che non è da attribuirsi a lui l'inserzione della lista dei re d'Alba, fatta a questo scopo in un'epoca posteriore.
La stessa mancanza di critica che riscontriamo nella storia primitiva la troviamo sino ad un certo grado anche nella narrazione degli avvenimenti del tempo storico.
I racconti erano sempre coloriti secondo la passione e i partiti, come, per es., l'esposizione di Fabio sull'origine della seconda guerra punica, esposizione che fu da Polibio censurata con quella fredda asprezza che gli è propria. Ma in questi casi è più giusta la diffidenza che la censura. È poco men che ridicolo pretendere dai Romani contemporanei d'Annibale un giudizio equanime sui loro nemici mortali, ma con tutto ciò non si è potuto provare che i padri della storia romana abbiano coscentemente alterato i fatti, almeno per quanto lo consentiva il loro sincero patriottismo.