49. Il dramma della nazione celtica.
La nazione celtica non esisteva più. La sua distruzione politica era divenuta un fatto compiuto per opera di Cesare, la distruzione nazionale incominciata andava regolarmente progredendo. Non era questa una rovina accidentale, come la fatalità ne prepara talvolta anche a popoli suscettibili di sviluppo, ma una catastrofe provocata per propria colpa e in certo modo una catastrofe storicamente necessaria.
Già l'andamento dell'ultima guerra lo prova, si voglia considerarla nell'insieme o nei suoi particolari. Quando stava per fondarsi il dominio straniero, poche province soltanto, e queste per lo più germaniche o semigermaniche, vi si pronunciavano energicamente avverse. Quando il dominio straniero fu fondato i tentativi per scuoterlo furono fatti senza senno o furono l'opera di alcuni nobili eminenti e perciò subito e interamente finiti colla morte o coll'immediato arresto di un Induziomaro, di un Camulogeno, di un Vercingetorige, di un Correo.
La guerra degli assedi e la guerra alla spicciolata, nella quale di solito si sviluppa tutta la morale portata dalle guerre popolari, erano e rimasero in questa lotta celtica una caratteristica meschinità. In ogni pagina della storia celtica si legge confermata la severa sentenza pronunciata da uno dei pochi Romani che sapevano non doversi disprezzare i così detti barbari, che i Celti arditamente sfidavano il futuro pericolo, ma che dinanzi al pericolo presente mancava loro il coraggio.
Nell'impetuoso vortice della storia del mondo che tritura inesorabilmente tutti i popoli che non hanno la durezza e la flessibilità dell'acciaio, una simile azione non poteva durare lungamente; era giusto che i Celti di terraferma patissero per opera dei Romani la stessa sorte che i loro compatriotti nell'Irlanda soffrono ancora ai giorni nostri per opera dei Sassoni: la sorte di essere assorbiti come fermento di futuro sviluppo da una nazionalità politicamente superiore.
Sul punto di congedarci da questa memorabile azione ci si conceda di ricordare che nelle relazioni degli antichi sui Celti stabiliti sulle rive della Loira e della Senna non manca nemmeno uno di quei tratti caratteristici, nei quali noi siamo abituati di riconoscere il Paddy[26]. Vi ritroviamo ogni cosa: la trascuratezza nella coltivazione dei campi; la mania di banchettare e di duellare; la millanteria – qui ricorderemo quella spada di Cesare appesa nel sacro bosco degli Alvergnati, dopo la vittoria presso Gergovia, che il già supposto suo padrone considerò sorridendo in quel luogo consacrato, ordinando di rispettare con ogni cura il sacro podere; il loro discorso pieno di similitudini e di iperboli, di allusioni e di barocchi giuochi di parole; l'umore faceto – e ne abbiamo un esempio nella disposizione che se uno interrompeva un altro che parlasse in pubblico, a questo perturbatore veniva fatto per ordine della polizia un grosso buco ben visibile nel vestito; il grande piacere che trovavano nel canto e nel racconto delle gesta dei tempi passati e il più deciso talento oratorio e poetico; la curiosità a tal segno che non si lasciava passare nessun commerciante prima che egli nella pubblica via non avesse raccontato ciò che sapesse o non sapesse di nuovo e la folle credulità che agiva dietro simili notizie per cui nei cantoni meglio ordinati veniva ingiunto con rigore ai viandanti di comunicare ai soli impiegati municipali le notizie non sicure; la pietà filiale, che vedeva un padre nel sacerdote e che in tutto con questi si consigliava; l'insuperabile tenerezza nel sentimento nazionale e l'unione quasi di famiglia degli indigeni contro lo straniero; l'inclinazione a sottomettersi al primo condottiero che incontravano e a formare delle bande, ma insieme una assoluta incapacità di mantenere quel vero coraggio che è scevro egualmente di soverchia baldanza e di pusillanimità; un'assoluta incapacità nel riconoscere il momento giusto nell'attendere o nell'irrompere, di giungere ad una qualsiasi organizzazione, ad una qualsiasi ferma disciplina militare o politica, o anche soltanto di sopportarla.
Sarà in tutti i tempi e in tutti i luoghi la stessa nazione infingarda e poetica, debole e cordiale, curiosa, crudele, amabile, destra, ma assolutamente incapace politicamente e perciò la sua sorte è anche stata sempre e ovunque la stessa.