3. I precedenti di Pirro.
Il re Pirro era figlio di Eacide, signore dei Molossi (popoli stabiliti nel paese ove ora sorge Janina), il quale, risparmiato da Alessandro perchè suo parente e suo fedele, fu dopo la morte di lui sbalzato nel vortice della guerra per la successione della Macedonia, onde prima ne perdette il regno, poi la vita (441 = 313). Suo figlio, che aveva allora sei anni, fu salvato da Glaucia, signore dei Taulanti illirici e, ancora adolescente, combattendosi la guerra pel possesso della Macedonia, fu da Demetrio Poliorcete riposto nel suo principato (447 = 307) che di nuovo perdette pochi anni appresso pel riacquistato predominio della frazione a lui contraria (452 = 302); ond'è, ch'egli come principe fuoruscito cominciò, al seguito dei capitani macedoni, la sua carriera militare. Ben presto si fece notare per le personali sua qualità. Combattè le ultime campagne di Antigono sotto la scuola di questo ex generale di Alessandro, che si compiaceva scoprendo nel giovanetto il guerriero nato, a cui, secondo ciò che pronosticava il vecchio condottiero, non mancava che l'età per essere fin d'allora il primo soldato del suo tempo.
L'infelice battaglia presso Isso lo condusse ostaggio in Alessandria alla corte del fondatore della dinastia dei Lagidi, dove con le ardite e risolute sue maniere, con la sua indole soldatesca, sprezzante di tutto quello che non s'attenesse al mestiere delle armi, seppe attirarsi non solo l'attenzione del Tolomeo, sagace estimatore di uomini, ma per la sua maschia bellezza, che non era diminuita dal fiero aspetto e dal grave portamento, anche la simpatia delle donne del re.
Il temerario Demetrio stava appunto in quei giorni ritentando di farsi un nuovo regno, e questa volta s'era rivolto alla Macedonia coll'intento, ben naturale, di muovere di là per rinnovare l'impero di Alessandro.
Bisognava imbrigliare que' vasti disegni e tener occupato Demetrio nei suoi stati; il Lagide, che da fine politico sapeva trar partito dai carattere ardenti come era quello del giovane epirota, non solo fece cosa ben accetta alla regina Berenice sua moglie, ma provvide anche ai casi suoi sposando al giovane principe la principessa Antigone sua figliastra, e proteggendo con la potente sua influenza l'amato «figliastro», perchè potesse ritornare in patria (458 = 296).
Così rimesso nel retaggio paterno tutti si strinsero intorno a lui. I valorosi Epiroti, gli Albanesi di quei tempi, rinfocolando la tradizionale fedeltà con nuovo entusiasmo, pendevano ai cenni dell'animoso giovane, cui diedero il soprannome di «Aquilotto».
Durante i tumulti e le guerre che in Macedonia (457 = 297) tennero dietro alla morte di Cassandro, l'epirota, allargato il suo territorio, e occupato a poco a poco il litorale del golfo ambracico, l'isola Corcira, una parte del territorio macedone, con non piccola meraviglia degli stessi Macedoni, tenne testa al re Demetrio con forze di gran lunga inferiori alle sue.
E quando Demetrio, per i suoi errori, precipitò dal trono macedone, la dignità reale fu spontaneamente offerta al cavalleresco suo rivale e congiunto, che dopo tutto era degli Alessandridi (476 = 278).
Infatti nessuno più di Pirro era degno di cingere la corona di Filippo e di Alessandro. In un tempo di profonda depravazione, nel quale il titolo al principato e la sovranità cominciavano a parer sinonimo di vituperio, il carattere di Pirro, temperato, senza macchia, doveva brillare rapidamente.
Egli che, come Alessandro, conservava in mezzo agli amici il cuore aperto e aveva saputo preservarsi dalle tentazioni del dispotismo orientale e dall'aria sultanesca così odiosa ai Macedoni, come Alessandro, era riconosciuto per il primo tattico dei suoi tempi, e sembrava il re fatto apposta per i liberi contadini della Macedonia, i quali, benchè stremati e immiseriti, si mantenevano lontani dalla decadenza dei costumi e immuni dalla viltà generale, che il governo dei diadochi aveva introdotto nella Grecia e nell'Asia.
Ma l'orgoglio nazionale, smisurato tra i Macedoni, per cui il più meschino principotto del paese era preferito al più prode straniero, la dissennata avversione dell'esercito macedone per qualsiasi generale che non fosse loro compaesano, avversione che già aveva perduto il più gran capitano della scuola di Alessandro, Eumene da Cardia, minavano la signoria del principe epirota.
Così Pirro, vedendo di non poter reggere la Macedonia senza far violenza ai sentimenti dei Macedoni, ed essendo troppo debole, o forse troppo generoso per regnare contro il desiderio del popolo, dopo sette mesi abbandonò il regno al suo mal governo nazionale, e tornò ai suoi fidi Epiroti (476 = 278).
Ma l'uomo che aveva portato la corona di Alessandro, il cognato di Demetrio, il genero del Lagide e d'Agatocle da Siracusa, il valentissimo stratega, che scriveva libri e trattati scientifici sull'arte della guerra, non poteva certamente rassegnarsi a passare la vita a rivedere, a un dato tempo dell'anno, i conti del reale amministratore del bestiame, e tra i capi tribù de' suoi valorosi Epiroti che venivano a offrirgli i consueti tributi in buoi e in pecore, a rinnovargli sull'altare di Giove il giuramento di fedeltà e ripetere egli stesso la promessa di mantenere le leggi, e, per rinsaldar i patti, a banchettare poi tutta la notte con loro.
Se per lui non v'era posto sul trono macedone, nemmeno poteva rimanere impotente nella sua patria; egli poteva essere il primo, e quindi non era possibile che si rassegnasse a rimaner secondo. Così rivolse i suoi sguardi e i suoi pensieri altrove. I re, che si disputavano il possesso della Macedonia, benchè per tutte le altre cose fossero sempre in contrasto, non tardarono a trovare l'accordo nell'agevolare il volontario allontanamento di così pericoloso competitore.
Dal canto suo, Pirro, era sicuro che i suoi fidi Epiroti lo avrebbero seguito ovunque egli li avesse condotti.
Le condizioni d'Italia erano appunto, in quel tempo, tali da far credere possibile l'impresa, che quaranta anni prima aveva tentato Alessandro d'Epiro, parente di Pirro, cugino di suo padre, e che allora forse andava macchinando anche suo suocero Agatocle, e per questo Pirro decise di rinunciare ai suoi disegni sulla Macedonia e di fondare per sè e per la nazione ellenica un nuovo regno in occidente.