8. Estensione e civilizzazione della Numidia.
Noi abbiamo già narrato con quale calcolata precisione i Romani nell'alta direzione degli affari africani facessero emergere la loro simpatia per Massinissa, e come questi approfittasse sollecitamente e senza riguardo di quel tacito permesso per estendere il suo territorio a spese di Cartagine.
Tutto il paese interno fino ai limiti del deserto venne in potere di quel principe indigeno e persino la valle superiore del Bagrada (Medscherda) colla ricca città di Vaga. Anche sul litorale a levante di Cartagine egli occupò l'antica città dei Sidoni, Leptis Magna, ed altre terre; così che il suo regno si estendeva dai confini della Mauritania sino a quelli della Cirenaica circondando sul continente, da ogni lato, il territorio cartaginese ininterrottamente.
Non v'è alcun dubbio, ch'egli considerasse Cartagine come la sua futura capitale; ne è prova il partito libico che vi esisteva.
Ma non soltanto colla diminuzione del territorio egli recava danno a Cartagine.
I pastori nomadi divennero un altro popolo sotto il gran re. Seguendo il suo esempio di dissodare vastissime tenute per lasciare a ciascuno dei suoi figli ragguardevoli latifondi, anche i suoi sudditi cominciarono ad esercitare l'agricoltura ed a rendere stabile la loro dimora.
Nello stesso modo che aveva trasformato i suoi pastori in cittadini, trasformò le sue orde di predoni in soldati, che dai Romani furono considerati degni di combattere accanto alle legioni, e lasciò ai suoi successori un tesoro ben fornito, un esercito ben disciplinato e perfino una flotta.
La sua residenza, Cirta (Costantina), fu la fiorente capitale di uno stato possente e una delle sedi principali della civiltà fenicia, che trovò sollecita cura alla corte del re dei Berberi colla speranza di un futuro regno numidico-cartaginese.
La nazione dei Libi, fino allora oppressa, s'innalzò così in faccia a se stessa, ed i costumi e la lingua indigena s'insinuarono nelle antiche città fenicie, come per esempio nella Magna Leptide.
Sotto l'egida di Roma il Berbero cominciò a sentirsi eguale, anzi superiore ai Cartaginesi; gli ambasciatori cartaginesi dovettero udire in Roma che essi, sul suolo africano erano stranieri e che il paese apparteneva ai Libi.
La civiltà fenicio-nazionale dell'Africa settentrionale, che esisteva ancor viva e forte perfino al tempo degl'imperatori che tutto avevano romanizzato, fu meno opera dei Cartaginesi che di Massinissa.