7 . I Numidi.
Mentre dunque la potenza dei Fenici andava decadendo nella patria adottiva, come da lungo tempo si era eclissata nella loro patria, accanto ad essi sorse un nuovo stato.
Da tempi immemorabili, come ancora oggi, il litorale dell'Africa settentrionale è abitato da un popolo, che si dà il nome di Schillah o Tamazit, che i Greci ed i Romani chiamavano Nomadi o Numidi, cioè popolo pastore, gli Arabi chiamavano Schavi, ossia pastori, e che noi chiamiamo Berberi o Kabili.
Questo popolo, da quanto finora si conosce dalle ricerche fatte sulla sua lingua, non è affine a nessuna delle nazioni conosciute.
Ai tempi di Cartagine queste stirpi, ad eccezione di quelle stabilite immediatamente attorno a Cartagine o sulla costa, avevano in generale serbata la loro indipendenza e continuato a condurre una vita dedicata alla pastorizia ed ai cavalli, come ancora oggi continuano gli abitanti dell'Atlante, benchè a loro non fosse rimasto estraneo l'alfabeto ed in generale la civiltà dei Fenici, ed accadesse che gli Sceicchi dei Berberi facessero educare in Cartagine i loro figli e si unissero in matrimonio con nobili famiglie fenicie.
La politica romana non voleva possedimenti immediati in Africa e preferiva lasciarvi sorgere uno stato non così forte da non sentire il bisogno della protezione romana, ma sufficiente per tenervi curva la potenza di Cartagine che era ormai ridotta alla sola Africa, e per impedire qualunque movimento libero alla tormentata città.
Ciò che si cercava si rinvenne nei principi indigeni.
Al tempo della guerra annibalica gl'indigeni dell'Africa settentrionale ubbidivano a tre signori principali, a ciascuno dei quali, secondo il costume del paese, parecchi principi erano vassalli; il re della Mauritania Bocchas, che comandava dall'Atlantico al fiume Mulvia (ora sul confine marocchino francese); il re dei Massessili Siface, cui era soggetto il paese dal fiume Mulvia al così detto capo Forato (fra Djidjeli e Bona) nelle odierne provincie d'Orano e d'Algeri, ed il re dei Massilj Massinissa, il quale imperava sul confine che si stendeva dal capo Forato sino al confine cartaginese nell'odierna provincia di Costantina.
Il più forte fra essi, Siface, re di Siga, era stato vinto nell'ultima guerra combattuta tra Roma e Cartagine, fatto prigioniero e tradotto in Italia, ove morì in carcere.
I vasti suoi dominii toccarono in maggior parte a Massinissa, e sebbene Vermina, figlio di Siface, avesse riavuto dai Romani, dietro umili preghiere, una piccola parte del territorio paterno (554-200), non riuscì però a soppiantare il più antico alleato dei Romani nella posizione di oppressore privilegiato di Cartagine.
Massinissa fu il fondatore del regno numidico: di rado l'elezione o la sorte posero un uomo al suo giusto posto, come Massinissa.
Sano di corpo, conservò una grande agilità fino nella più grave età; moderato e sobrio come un arabo, atto a sostenere qualunque disagio, capace di restare dalla mattina alla sera al medesimo posto e di sedere a cavallo per ventiquattr'ore; provato nelle bizzarre e forsennate vicende della sua gioventù, come soldato e come generale sui campi di battaglia in Spagna; esperto ugualmente nella difficile arte di mantenere la disciplina nella numerosa famiglia ed il buon ordine nel suo stato; egualmente pronto senza alcun riguardo a gettarsi ai piedi del potente protettore ed a calpestare con pari indifferenza il debole vicino; ed in aggiunta a tutto ciò avendo una perfetta conoscenza delle condizioni di Cartagine, dove egli era stato educato e dove aveva avuto libero accesso nelle più ragguardevoli famiglie; pieno del più acerbo odio africano contro gli oppressori suoi e della sua nazione, – quest'uomo singolare era l'anima della rigenerazione della sua nazione, che pareva volgesse alla dissoluzione, e della quale le buone e le cattive qualità sembravano in lui quasi personificate.
La fortuna, come in ogni altra cosa, così gli fu propizia anche lasciandogli il tempo necessario pel compimento della sua opera.
Morì di novant'anni (516-605=238-149) dopo un regno di sessanta, fino all'ultimo istante nel pieno uso di tutte le facoltà fisiche e morali, lasciando un figlio d'un anno e fama di essere stato l'uomo più forte nonchè il migliore ed il più felice re dei suoi tempi.