14. Sbarco dei Romani in Macedonia.
Nell'autunno del 554=200 approdava presso Apollonia il console Publio Sulpicio Galba colle sue due legioni, con mille cavalieri numidi e persino con elefanti provenienti dal bottino cartaginese.
A questa notizia il re ritornò sollecitamente dall'Ellesponto in Tessalia. Ma, sia per la stagione già troppo avanzata, sia per la malattia del generale romano, quell'anno non si fece altro, per terra, se non una ricognizione in forze, nella quale furono occupati dai Romani i luoghi più vicini e particolarmente la colonia macedone di Antipatrea.
Per l'anno seguente fu organizzato un attacco combinato contro la Macedonia d'accordo coi barbari del settentrione e particolarmente con Pleurato, allora signore di Scodra, e con Batone, principe dei Dardani, che furono solleciti ad approfittare della favorevole occasione.
Più importanti furono le imprese della flotta romana, che si componeva di cento vascelli coperti e di ottanta leggeri.
Mentre la maggior parte di essa svernava presso Corcira, una squadra comandata da Gaio Claudio Centone si recò al Pireo per soccorrere gli angustiati Ateniesi. Avendo Centone trovato già abbastanza protetto il paese attico contro le scorrerie del presidio di Corinto e contro i corsari macedoni, passò oltre, e giunse improvvisamente dinanzi a Calcide in Eubea, la principale piazza d'armi di Filippo nella Grecia, dove erano i magazzini, le provvigioni da guerra e i prigionieri, e dove il comandante Sopatro s'aspettava tutt'altro che un'aggressione dei Romani.
Alle mura non difese fu data la scalata, i soldati della guarnigione furono uccisi, vennero liberati i prigionieri ed arse le provvigioni: purtroppo si mancava di truppe per occupare e conservare l'importante piazza.
Pervenuta a Filippo la notizia di questa sorpresa, pieno d'ira partì immediatamente da Demetriade nella Tessalia per Calcide, e, non avendovi trovata altra traccia del nemico che le rovine da esso lasciate, proseguì la sua marcia alla volta d'Atene con l'animo di rendere la pariglia.
Ma la sorpresa della città andò fallita, e fallito andò anche l'assalto, malgrado che il re mettesse a repentaglio la propria vita.
L'avvicinarsi di Gaio Claudio dal Pireo, e quello di Attalo da Egina, lo costrinsero a battere in ritirata. Ciò nonpertanto egli si trattenne ancora per qualche tempo in Grecia; ma i suoi successi tanto politici che militari furono di poco rilievo.
Invano egli tentò di accaparrarsi gli Achei, nè furono più felici i suoi attacchi contro Eleusi, contro il Pireo ed un secondo tentativo contro Atene stessa. Altro non gli rimaneva che sfogare la naturale sua irritazione in un modo indegno, devastando il paese ed abbattendo gli alberi dell'accademia, ritornandosene poscia verso il settentrione. Così passò l'inverno.