4 Diritto privato.
In tutti gli altri casi, nei quali fosse leso solo l'individuo e non fosse turbata la pubblica pace, lo stato procede soltanto a richiesta dell'offeso, il quale sottomette la sua decisione (lex) al re (indi lege agere e i «giorni di parlare»). Il re invita ora l'avversario a comparire o, in caso di bisogno, lo costringe con la violenza a presentarsi innanzi a lui. Quando le due parti sono comparse e l'accusatore ha esposto le sue pretese che l'accusato rifiuta di soddisfare, allora il re può esaminare la questione personalmente o farla decidere in suo nome da un luogotenente.
La forma ordinaria dell'espiazione per un'offesa di questa specie era l'aggiustamento tra l'offensore e l'offeso; lo stato interveniva soltanto in via suppletoria se il ladro non soddisfacesse il derubato, il danneggiatore il danneggiato con un sufficiente indennizzo (poena), se ad alcuno fosse negato il suo avere, o non fosse soddisfatta la sua giusta richiesta.
Come e in quali casi il furto fosse espiabile, e che cosa il derubato fosse autorizzato a pretendere dal ladro, non si può con precisione stabilire. Dal ladro preso sul fatto però il danneggiato esigeva di più che da quello il quale veniva scoperto dopo il fatto, essendo da scontarsi anche l'esacerbazione più forte contro quello che contro questo. Se il furto non ammetteva risarcimento, o se il ladro non era in grado di pagare la multa chiesta dal danneggiato e approvata dal giudice, allora questi aggiudicava il ladro come schiavo al derubato.
Nel danno (iniuria) recato al corpo e alle cose il danneggiato, ne' casi di lieve momento, doveva accontentarsi del risarcimento; ma se si trattava della perdita d'un membro, il mutilato poteva esigere occhio per occhio, dente per dente.
La proprietà privata è sempre fondata direttamente o indirettamente sull'assegnazione fatta dallo stato di singole cose a singoli cittadini, e principalmente se trattasi di proprietà fondiaria, la quale deriva dalla attribuzione di determinate porzioni delle terre comunali ai singoli cittadini, per cui soltanto il cittadino e chi dal comune era in questo caso pareggiato al cittadino, è capace di possedere. Anzi, siccome la terra aratoria presso i Romani continuò ad essere per lungo tempo coltivata in comune, e fu divisa soltanto in un'epoca proporzionalmente più recente, così la nozione della proprietà privata non si formò sui beni immobili ma sullo «stato degli schiavi e del bestiame» (familia pecuniaque).
Ogni proprietà passa libera da mano in mano: il diritto romano non fa un'essenziale differenza tra beni mobili e beni immobili, e non riconosce nei figli o in altri parenti alcun diritto assoluto sui beni paterni e di famiglia. Ma il padre non può di suo arbitrio privare i figli del loro diritto ereditario, poichè egli non può sciogliersi dalla patria potestà, nè fare un testamento in questo senso, senza l'assenso di tutto il comune, il quale poteva rifiutarlo, ed in simili casi vi si è spesse volte, rifiutato.
Il padre poteva però durante la sua vita prendere delle misure dannose pei figli, poichè la legge era parca nelle limitazioni personali del proprietario, e concedeva in generale ad ogni uomo adulto la facoltà di disporre liberamente dei suoi beni. La legge, per la quale colui che vendeva il patrimonio avito privandone i propri figli era d'autorità considerato come un pazzo e posto sotto tutela, deve risalire all'epoca in cui l'agro fu per la prima volta ripartito e quindi la conservazione del patrimonio privato aveva una maggior importanza per la repubblica. In questo modo le due tesi opposte dell'illimitata facoltà accordata al proprietario di disporre liberamente dei suoi beni e della conservazione dei beni di famiglia, furono, per quanto è possibile, riunite nel diritto romano.
Ad eccezione delle immunità, indispensabili particolarmente per l'economia rurale, non si concedeva alcuna restrizione del diritto reale di proprietà. Legalmente impossibili erano anche l'enfiteusi e la rendita fondiaria reale. Invece della pignorazione, che non trova luogo nel diritto, serviva il trasferimento immediato della proprietà della cosa data in pegno al creditore, come se egli fosse stato un vero compratore. Il creditore però impegnava la sua fede (fiducia) di non vendere l'oggetto sino alla scadenza, e di restituirlo al debitore dopo che questi avesse eseguito il rimborso della somma prestatagli[5].