5.Rottura con Perseo.
Il senato romano si accorse di aver già troppo tentennato, e che era ormai tempo di finirla con questa agitazione.
La cacciata del capo tracico Abrupoli, alleato dei Romani, la coalizione della Macedonia con Bisanzio, cogli Etoli e con una parte delle città beote, erano altrettante violazioni della pace del 557=197, ed erano motivi sufficienti per dichiarare ufficialmente la guerra; ma il vero motivo era che la Macedonia stava mutando la sua sovranità apparente in una sovranità reale, togliendo a Roma il patronato sugli Elleni.
Sino dal 581=173 gli ambasciatori romani dichiararono nell'assemblea degli Achei, abbastanza chiaramente, che una lega con Perseo equivaleva ad una separazione dall'alleanza romana.
Nel 582=172 venne Eumene in persona a Roma con un lungo elenco di rimostranze, ed espose al senato il vero stato delle cose; dopo di che il senato, contro ogni aspettativa, votò in seduta segreta la dichiarazione di guerra, e fece subito munire di guarnigioni i porti dell'Epiro.
Per formalità, fu spedita in Macedonia un'ambasceria, la cui missione era tale, che Perseo, sapendo di non poter tornare indietro, rispose di essere pronto a stipulare con Roma un trattato simile a quello del 557=197, che egli però considerava come abrogato; e invitò gli ambasciatori ad uscire dal suo regno entro tre giorni.
Così la guerra era dichiarata di fatto.
Era l'autunno del 582=172; Perseo, volendo, poteva occupare tutta la Grecia, porre dappertutto il partito macedone al governo, distruggere fors'anche la guarnigione romana di 5000 uomini che si trovava presso Apollonia sotto il comando di Gneo Sicinio, e rendere assai difficile lo sbarco ai Romani.
Ma il re, che incominciava già a tremare per il serio andamento che prendevano le cose, s'impegnò col consolare Quinto Marcio Filippo, suo ospite, in trattative sulle frivole cause della dichiarazione di guerra dei Romani, si lasciò indurre a differire l'attacco ed a fare un altro tentativo in Roma per conservare la pace; ma il senato, come era ben naturale, rispose coll'espulsione di tutti i Macedoni dall'Italia e coll'imbarco delle legioni. I senatori dell'antica scuola, veramente, biasimarono la «nuova scienza» del loro collega e la scaltrezza contraria alle tradizioni romane; ma lo scopo era raggiunto e l'inverno passò senza che Perseo si movesse.
Con tanto maggior zelo approfittarono di questo intervallo i diplomatici romani per togliere a Perseo ogni appoggio in Grecia.
Degli Achei erano sicuri. Nemmeno il partito dei patriotti greci – il quale nè aveva approvato quei movimenti sociali, nè andava più in là del desiderio di una saggia neutralità – pensava di buttarsi nelle braccia di Perseo; inoltre, coll'influenza dei Romani, era arrivato al potere il partito avversario, che senz'altro si era unito con Roma.
La lega etolica aveva, è vero, chiesto aiuto a Perseo durante le sue guerre intestine, ma il nuovo duce Licisco, scelto sotto gli occhi dell'ambasciatore romano, era più romano degli stessi Romani.
Anche presso i Tessali prevalse il partito romano. Persino i Beoti, che sino dai più antichi tempi erano partigiani della Macedonia, e la cui condizione economica era pessima, non s'erano dichiarati apertamente in favore di Perseo; lasciarono però che tre delle loro città, Tisbe, Aliarto e Coronea, si unissero, per propria iniziativa, a Perseo.
Alle proteste dell'ambasciatore romano per questo fatto, il governo della confederazione beotica rispose informandolo dello stato delle cose. L'ambasciatore dichiarò che, per meglio accertare quali città tenessero per Roma e quali le fossero ostili, sarebbe stato opportuno che ognuna si pronunciasse separatamente in sua presenza; dopo di che, naturalmente, la confederazione beotica senz'altro si sciolse.
Non è vero che il grande edifizio di Epaminonda sia stato distrutto dai Romani; esso crollò prima che essi vi ponessero mano e fu, senza dubbio il preludio dello scioglimento delle altre leghe greche ancora più compatte di questa[1].