31. Fermento fra gli schiavi.
Fin qui abbiamo narrato come il senato restaurato da Silla provvedesse alla guardia dei confini in Macedonia, alla clientela dei re vassalli dell'Asia minore e alla polizia del mare; i risultati non erano in alcun luogo soddisfacenti.
Non migliori successi ebbe il governo in un altro più urgente affare: nella sorveglianza del proletariato delle province e soprattutto dell'Italia.
Il cancro del proletariato degli schiavi rodeva le midolla di tutti gli stati dell'antichità, e tanto più quanto maggiormente erano prosperi; poichè la potenza e la ricchezza, nelle condizioni in cui erano allora gli stati, portavano regolarmente ad uno sproporzionato aumento nel numero degli schiavi. Naturalmente Roma ne soffriva le conseguenze più di qualsiasi altro stato dell'antichità.
Già il governo del sesto secolo aveva dovuto mettere in campo delle truppe contro le bande degli schiavi pastori ed agricoltori che erano fuggiti. Il sistema delle piantagioni, adottato dagli speculatori italici in proporzioni sempre maggiori, aveva aumentato all'infinito il pericoloso male; nei tempi delle crisi dei Gracchi e di Mario ed in stretta relazione colle medesime erano avvenute delle sollevazioni di schiavi in parecchi punti dello stato romano, ed in Sicilia ne erano infine derivate due sanguinose guerre (619-622 = 135-132 e 652-654 = 102-100).
Ma il decennio del governo della restaurazione dopo la morte di Silla fu l'età dell'oro tanto pei pirati in mare, quanto per le bande di egual genere in terraferma e specialmente nella penisola italica fino allora abbastanza bene ordinata. D'una sicurezza pubblica non si poteva più nemmeno parlare. Nella capitale e nei territori meno popolati d'Italia i furti si succedevano senza tregua e gli assassinî erano frequenti.
Contro il rapimento di uomini schiavi e liberi fu, probabilmente in questa epoca, emanato uno speciale plebiscito; contro la violenta espropriazione di terreni in questi tempi venne introdotta una procedura sommaria.
Questi delitti dovevano apparire pericolosi particolarmente perchè commessi dai proletari, ma vi partecipavano in grandi proporzioni, come autori morali e interessati nel guadagno, anche persone della classe elevata.
Specialmente il rapimento d'uomini e l'appropriazione delle terre avvenivano assai di frequente per opera dei sopraintendenti delle grandi tenute, e venivano eseguiti da schiere di schiavi spesso armati, che nelle tenute stesse si radunavano; e parecchi personaggi assai rispettati non sdegnavano di accettare ciò che qualcuno dei loro zelanti sicarî procurava loro nel modo stesso come Mefistofele tolse di vista a Fausto i tigli di Filemone.
Come stessero le cose è dimostrato dalle maggiori pene introdotte verso il 676 = 78 per i delitti commessi con bande armate contro la proprietà da uno dei migliori ottimati, Marco Lucullo, nella sua qualità di preside dell'amministrazione della giustizia nella capitale[5], collo scopo manifesto di costringere i proprietari delle grandi masse di schiavi ad esercitare su di essi una più severa sorveglianza col pericolo di vedersene spossessati.
Là dove si rubava e si assassinava per ordine dei signori, queste masse di schiavi e di proletari avevano buon giuoco per fare altrettanto per loro conto; bastava quindi una scintilla per fare avvampare la terribile materia infiammabile e per mutare il proletariato in un esercito insurrezionale.
L'occasione non si fece aspettare. I combattimenti dei gladiatori, che allora occupavano il primo posto nei divertimenti popolari in Italia avevano fatto sorgere moltissimi stabilimenti, specialmente in Capua e nei dintorni, nei quali si custodivano o si istruivano quegli schiavi che per divertire il popolo sovrano erano destinati ad uccidere o ad essere uccisi; naturalmente erano per lo più valorosi prigionieri di guerra, i quali non si erano dimenticati di aver combattuto altre volte contro i Romani sui campi di battaglia.
Un certo numero di questi uomini disperati fuggì (681 = 73) da una di tali scuole di Capua e si portò sul Vesuvio. Alla loro testa si trovavano due Celti, denominati come schiavi Crisso ed Enomao, e il trace Spartaco.