14. Misure repressive del governo.
Era questa una fortuna per il governo, poichè, per quanto già da lungo tempo fosse stata apertamente annunziata l'incombente guerra civile, la propria irresoluzione e l'arrugginita macchina amministrativa non gli avevano concesso di iniziare nessun preparativo militare.
Ora soltanto si pensò a bandire la leva in massa ed a mandare ufficiali superiori nelle singole province d'Italia, affinchè ciascuno nel suo distretto sopprimesse l'insurrezione; nello stesso tempo furono allontanati dalla capitale i gladiatori, e ordinate delle pattuglie per assicurarsi contro gli incendiari.
Catilina si trovava in una penosa posizione. Era stata sua intenzione che l'insurrezione scoppiasse in occasione delle elezioni contemporaneamente tanto nella capitale quanto nell'Etruria; la cattiva riuscita della prima e lo scoppio avvenuto nella seconda lo compromise personalmente e compromise tutto il successo della sua impresa.
Dopo che i suoi avevano impugnato le armi contro il governo, egli non poteva più rimanere in Roma; e tuttavia non solo gli importava che la congiura nella capitale scoppiasse senza indugio, ma che avvenisse prima che egli abbandonasse Roma: egli conosceva troppo bene i suoi soci per potersene fidare.
I più ragguardevoli fra i congiurati, Publio Lentulo Sura, console nel 683 = 71, più tardi cacciato dal senato e ora di nuovo pretore per rientrare in senato, e i due ex-pretori Publio Autronio e Lucio Cassio, erano uomini inetti; Lentulo un aristocratico triviale, gran parolaio e di grandi pretese, ma di lenta intelligenza e irresoluto nell'agire, Autronio notevole solo per la sua voce stridula e quanto a Lucio Cassio nessuno comprendeva come un uomo così enormemente grasso e stupido si fosse associato ai congiurati.
Catilina non poteva poi mettere alla testa i più abili fra i congiurati, come sarebbero stati il giovine senatore Caio Cetego ed i cavalieri Lucio Statilio e Publio Gabinio Capitone, perchè persino fra i congiurati si conservava ancora la gerarchia tradizionale delle classi, e anche gli anarchici ritenevano di non poter vincere se non si metteva alla testa un consolare o per lo meno un pretore.
Per quanto l'esercito degli insorti richiedesse perciò insistentemente il suo generale e per quanto rischioso fosse per lui il rimanere più a lungo presso la sede del governo dopo lo scoppio dell'insurrezione, tuttavia Catilina si decise di fermarsi ancora a Roma. Abituato ad imporsi ai suoi vili avversari colla sfacciata sua arroganza, egli si mostrava nel foro e al senato; e alle minaccie, che gli facevano, rispondeva che si guardassero bene dallo spingerlo agli estremi, perchè colui al quale si incendia la casa è obbligato a spegnere l'incendio sotto le macerie.
E difatti nessuno fra i privati nè fra i pubblici funzionari osò di metter le mani sull'uomo fatale; era inutile che un giovane nobile lo citasse dinanzi al tribunale per un atto qualsiasi di violenza, giacchè prima che il processo fosse portato a fine lo stato delle cose doveva da molto tempo essere deciso in altro modo.
Senonchè anche i piani di Catilina fallirono principalmente perchè gli agenti del governo si erano introdotti in mezzo ai congiurati e lo tenevano costantemente al corrente di tutti i particolari del complotto.
Allorchè, ad esempio, i congiurati comparvero sotto le mura dell'importante fortezza di Fiesole (1 novembre) che credevano di prendere con un colpo di mano, essi vi trovarono il presidio in guardia e rafforzato, e nello stesso modo andarono falliti tutti i piani.
Malgrado la sua temerarietà, Catilina riconobbe la necessità di abbandonare Roma sollecitamente; ma, prima di partire, nell'ultima adunanza dei congiurati tenutasi nella notte dal 6 al 7 novembre, dietro sua stringente esortazione, fu deciso di assassinare, ancor prima della partenza del capo, il console Cicerone che dirigeva particolarmente la contro-mina, e di eseguire immediatamente questa decisione, per prevenire ogni tradimento.
Infatti il giorno 7 di buon mattino gli assalitori prescelti bussarono alla porta di casa del console, ma essi trovarono aumentato il numero delle guardie e furono respinti; anche questa volta gli informatori del governo avevano prevenuto il piano dei congiurati.
Il giorno seguente (8 novembre) Cicerone convocò il senato. E a Catilina bastò ancora l'animo di lasciarvisi vedere e di tentare una difesa contro i violenti attacchi del console, il quale gli rinfacciò gli avvenimenti degli ultimi giorni; ma nessuno più l'ascoltava e vicino a lui i sedili si vuotavano.