27. Ripresa delle ostilità.
Col suo ritorno risorse apertamente il partito patriottico; fu cassata l'infame sentenza pronunciata contro Asdrubale; mediante la destrezza d'Annibale si strinsero nuovi rapporti con gli sceicchi numidi e non solo fu nell'assemblea del popolo rifiutata la sanzione alla pace conchiusa di fatto, ma fu anche infranto l'armistizio spogliando un convoglio di navi romane da trasporto, naufragate sulle coste africane, e persino assaltando una nave da guerra che aveva a bordo ambasciatori romani.
Giustamente irritato, Scipione partì dal suo campo presso Tunisi (552=202) e percorrendo l'ubertosa valle del Bagrada (Medscherda), non accordò più capitolazioni ai paesi, ma fece prendere e vendere in massa tutti gli abitanti dei villaggi e delle città.
Egli si era già inoltrato di molto nel paese e si trovava presso Naraggara (all'occidente di Sicca, ora Kef, ai confini di Tunisi e Algeri) quando s'incontrò con Annibale, il quale gli si era mosso incontro da Adrumeto.
Il capitano cartaginese tentò, in un abboccamento, di ottenere dal generale romano migliori condizioni; ma Scipione, che era già arrivato al massimo delle concessioni, non poteva, dopo la rottura dell'armistizio, assolutamente acconsentirvi, e non è credibile che Annibale, con questo tentativo, avesse altro scopo se non quello di far comprendere alla moltitudine che i patrioti non erano assolutamente nemici della pace.
L'abboccamento non condusse a nessun risultato e così si venne alla battaglia decisiva presso Zama[4] (probabilmente non lungi da Sicca).
Annibale ordinò la sua fanteria su tre linee: nella prima collocò le truppe mercenarie cartaginesi, nella seconda la milizia africana e la guardia cittadina di Cartagine nonchè il corpo dei Macedoni, nella terza i veterani che aveva seco condotti dall'Italia. Dinanzi alla linea erano gli ottanta elefanti; alle ali i cavalieri.
Anche Scipione ordinò le sue legioni su tre linee come era costume dei Romani, e in modo che gli elefanti potessero muovere attraverso la linea e accanto alla medesima senza romperla.
Questa previdenza non solo riuscì completamente, ma gli elefanti, sbandatisi lateralmente, misero il disordine nella cavalleria cartaginese in modo che la cavalleria di Scipione, accresciuta dalle schiere di Massinissa, che rendevano le forze dei Romani molto superiori, ebbe facilmente il sopravvento, e si dette ad inseguire quella nemica col ferro alle reni.
Più seria fu la lotta delle fanterie. Il combattimento fra le due prime linee durò lungo tempo e nella micidiale mischia si disordinarono entrambe, sicchè fu loro necessario ripiegare sulle seconde linee per raccogliersi.
I Romani vi riuscirono; la milizia cartaginese invece si mostrò così incerta e vacillante che i mercenari si credettero traditi, cosicchè vennero con quella alle mani.
Annibale però non tardò a raccogliere sulle ali i resti delle due prime linee, e spinse innanzi, su tutta la fronte, le sue truppe scelte d'Italia.
Scipione, per contro, raccolse nel centro tutte le truppe della prima linea atte a combattere, e fece accostare la seconda e la terza linea a destra e a sinistra della prima. Una seconda e più terribile strage incominciò allora sullo stesso campo; i veterani d'Annibale non si perdettero di coraggio malgrado il maggior numero dei nemici, fino a tanto che non venne a stringerli da tutte le parti la cavalleria dei Romani e quella di Massinissa reduce dall'inseguimento della sbaragliata cavalleria nemica.
Così finiva la battaglia non solo, ma finiva anche l'esercito cartaginese; quei medesimi soldati che quattordici anni prima avevano piegato presso Canne, resero la pariglia presso Zama ai loro vincitori. Annibale, fuggitivo, giunse ad Adrumeto con un pugno d'uomini.